Tinder è l’app che si usa solo per “quella cosa”? No. Anzi, si rimorchia di più agli eventi digital e su Facebook. Cronaca semi-seria di un esperimento
Tinder è una delle app di dating più scaricate e probabilmente quella che gode maggiormente di una pessima reputazione dal punto di vista degli utenti che la usano. “Hai scaricato Tinder? Ma è l’app per fare sesso. Lì ci trovi solo segaioli e maiale”, urlano i più puritani.
Premessa: siamo la generazione delle chat
Io vengo dalla generazione di quelli che usavano la community di Libero per flirtare, per passare alle varie chatroom più note negli anni che vanno dal 2003 al 2009, fino ad approdare su Badoo. Ero rimasta ferma a quegli anni lì. “Ne saranno cambiate di cose da allora” – mi son detta. Certo. Facebook ha dato del filo da torcere a tutte queste app per l’incontro facile, sostituendosi a quegli ambienti nati proprio con quello scopo lì: incontrarsi per finire a letto.
Eppure, ora che ci penso bene, mi trovo a ricevere più proposte audaci su Facebook o su LinkedIn (luoghi teoricamente adibiti ad altre conversazioni) o agli eventi digital.
Un test per capire davvero chi sta su Tinder
Incuriosita quindi dalla tematica relativa al rimorchio online, parlando con un mio contatto su Facebook che mi ha spinto a provare la app (un doveroso ringraziamento va a Andres Reyes, UX Designer) a fine agosto, ho pensato di creare un mio account personale su Tinder, con nome e cognome, 5 foto mie reali prese da Facebook, interessi e professione. Così è partito il test.
A fine agosto circa, ho voluto sfidare tutta una serie di cliché su Tinder (“app del rimorchio facile”, “app per scopare”, “app delle maiale”, “app dei malati di sesso”) e ho deciso di scaricare la applicazione e testarla sia da un punto di vista della user experience, sia dal punto di vista dei contenuti.
Obiettivi del test
Il test ha avuto un duplice scopo. Innanzitutto ho voluto verificare se da un punto di vista degli usi e costumi relativi agli approcci amorosi online le persone effettivamente su Tinder fossero davvero così esplicite, in barba ai pregiudizi delle persone. In secondo luogo, e secondo i suggerimenti del mio partner in crime Andres, ho annotato quelle che a primo impatto potevano essere delle criticità circa la user experience della app. Per quanto concerne le tempistiche, ho preso come finestra temporale una settimana.
La mia settimana su Tinder
Per fare le cose fatte bene e alla luce del sole, poiché non avevo alcun motivo di nascondere la mia vera identità ho reso pubblico il mio nome e cognome e ho preso 5 delle mie foto migliori (le solite, quelle da repertorio).
Delle 60 persone con cui sono venuta in contatto, attraverso uno scambio di “cuori” e un messaggio di convenevoli “Ciao, piacere…”, solo con 5 ho approfondito la conoscenza virtuale, spostando la conversazione su Facebook. Solo a due persone ho lasciato il mio contatto telefonico (per Whatsapp). E solo con una avrei veramente portato la conoscenza offline.
Nel 90% dei casi tutti i profili avevano qualcosa in comune con me (grazie agli “interessi” di Facebook”, mi sono registrata direttamente da lì) e devo dire che sicuramente questa barriera all’ingresso ha sicuramente influenzato l’esito del test falsandone i risultati.
Composizione del campione
Delle 60 persone con cui sono venuta in contatto, quasi tutte avevano un profilo alto (neurologi, biotecnologi, ricercatori, colleghi digital marketer e giornalisti). Ho verificato su Google e da Facebook, incrociando i dati e sì: nessuno di questi mi ha raccontato delle fandonie.
Modalità ed esecuzione del test
Dopo uno scambio di 5/6 battute di presentazione, ho chiarito quasi sin da subito le cose, spiegando il motivo per cui mi ero iscritta a Tinder e lo stavo usando: “Sto conducendo un esperimento e scriverò un post per dimostrare che Tinder non è una app per scopare”.
A parte lo sgomento iniziale e un po’ diffidenza palesata con le frasi: “Ok, però non menzionare il mio nome, perché mia moglie/fidanzata non lo sa”, le conversazioni sono avvenute in maniera serena.
Identikit dei miei “match” su Tinder
- Nessuno di questi, tranne un caso, mi ha esplicitamente parlato di sesso o introdotto argomenti ambigui o proferito frasi del tipo: “Ah, non sai cosa ti farei”;
- Nessuno, tranne un caso, ha usato un vocabolario spinto;
- Di questi solo un paio mi ha confessato di essere lì per “curiosità” pur essendo impegnato;
- Di questi, quasi tutti avevano interesse a conoscermi perché “interessante”, “persona con interessi affini“;
- Di questi, tutti tranne due casi, sapevano usare bene la punteggiatura e conoscevano le più basilari regole grammaticali;
- Con quasi tutti, tranne un caso, ho potuto condividere interessi musicali, jazz, in particolare, discettare su argomenti alti di cui non so nulla (proteoma e tecniche per leggerlo), viaggi e lavoro.
User Experience: pollice verso
Non mi soffermo troppo sulla parte della User Experience perché non ne sarei capace. Dico solo che mi è venuta una tendinite e al pollice destro a forza di scorrere col dito e scartare eventuali candidati al rimorchio. Poi, sta cosa che è quasi impossibile tornare indietro (metti che ti vengano dei ripensamenti all’ultimo) se non a pagamento è frustrante.
E poi, la chat è lenta. E questo è stato tra i motivi che mi hanno spinto a portare la conversazione su Facebook (oltre a capire chi avevo di fronte).
Cosiderazioni finali
Si rimorchia di più su Facebook, LinkedIn e agli eventi digital.
Emanuela Goldoni
@emanuelagoldoni