Michele Benincaso ha 39 anni. Nel 2007 si è trasferito a Stoccolma per lavoro, dove ha creato una chitarra che porta con se secoli di tradizione Stradivari e le nuove frontiere del digitale.
Girava per la sala stampa del Web Summit di Dublino con una chitarra nera in spalla. I capelli castani raccolti da un elastico, la barba folta e una maglietta nera. A prima vista poteva sembrare un metallaro. O qualcosa del genere. Entrare nello spazio riservato alla stampa del Web Summit è praticamente impossibile se non sei un giornalista accreditato, un super ospite (da Elon Musk a Dave McClure, per dire) o un addetto alla ristorazione. Lui, Michele Benincaso, l’aria del giornalista o del vip non ce l’ha per niente. Ma era lì. Chissà come, girava per l’area stampa con area rilassata tra giornalisti arruffati sulle tastiere.
A guardarlo bene non sembra nemmeno italiano. Eppure, a voler essere maliziosi, solo un italiano sarebbe riuscito ad entrare lì dentro, chissà in che modo. Michele è di Lucera, la cittadina nel cuore del Tavoliere delle Puglie che Federico II di Svevia ha amato a tal punto da eleggerla a sua dimora preferita. Ha 39 anni, ma ne dimostra almeno 10 di meno. Ha una storia fatta di esperienze che si sono mescolate e che lo hanno portato a Stoccolma, dove ha lanciato la sua startup. Si chiama Mind Music Labs ed è l’azienda che produrrà Sensus la chitarra avveniristica, all’occhio simile a tutte le altre, che si porta fiero in spalla, ma fatta di sensori, microprocessori interni, Internet, e un’esperienza nella liuteria che lo ha portato a fare cose fuori dal comune. Alla sua chitarra ha lavorato almeno due anni.
«Sai l’ultima innovazione che è stata fatta per una chitarra? E’ quando l’hanno fatta elettrica, negli anni ’50. Da allora la musica è cambiata pochissimo». Michele è partito da questo concetto. La chitarra è stata elettrificata, collegata ad un amplificatore, per raggiungere un numero maggiore di persone. «Il motivo era semplice: se più persone ascoltavano la chitarra durante i concerti, i più lontani sentivano meno». La chitarra si e trasformata negli anni per rispondere a queste due esigenze: raggiungere col suono più persone e aumentare l’espressività del chitarrista.
Il suo prototipo si inserisce in questa linea evolutiva degli strumenti musicali. Raggiungere più persone e aumentare la creatività, con internet e digitale. «Ho messo internet e un po’ di altre cose nella chitarra. Ho fatto in modo che potesse essere condivisa in rete, un suono, un brano, in tempo reale. Con questa il chitarrista di un gruppo può suonare live da una parte opposta del mondo. O un amatore caricare le proprie performance su YouTube, o condividerle con il resto della band». E l’altro «po’ di cose»? Sono 8 sensori che cambiano il suono, l’intensità, il ritmo in relazione ai comandi. Una chitarra che si suona con le corde, ma anche con i movimenti. Perché un movimento può cambiare un suono. E potenziare l’espressività del musicista.
L’infanzia a Lucera, i Litfiba, e quel liutaio che gli disse: non farmi perdere tempo
Anni Ottanta, primi Novanta. A Lucera non c’era molto da fare. «Da bambino smontavo e montavo cose, così, per vedere cosa c’era dentro». Michele comincia a suonare a 12 anni. Per gioco. Per passare il tempo. E poi da ragazzino con degli amici mettono su una band. Suonano i Litfiba. El Diablo. Comincia ad appassionarsi alla musica. Agli amici detta suoni e tempi. «In poco tempo ho cominciato a sognare di diventare un direttore d’orchestra da grande».
Ma c’è il suo lato curioso. Quello che lo porta a smontare le cose. Smonta la sua chitarra, a pezzi. E capisce che in realtà quello che vuole fare è costruirne una sua. «Chiesi al liutaio del mio paese di prendermi come garzone. Lui mi ha risposto: guarda, non ho tempo da perderete vuoi fare davvero il liutaio vai a fare la scuola di a Cremona». E lo prese in parola. «Mica c’era internet. Chiamai il 12, mi ricordo ancora quel momento, e chiesi alla centralinista il numero della scuola». Qualche anno dopo mi presentai ai test della scuola internazionale di Liuteria.
A Cremona c’è la più importante scuola di liuteria al mondo. La liuteria internazionale Antonio Stradivari. Ci vanno persone da tutte le nazioni. Lui passa. Anno 1995. 20 persone, 3 solo italiani. Nel 2000 si diploma. E fa il musicista per un po’ di anni. Ma la sua passione per costruire le chitarre lo porta a riprendere in mano gli strumenti del mestiere. Si mette a costruire chitarre a tre braccia. E nel 2012 raggiunge il suo momento più alto quando per Paolo Tofani costruisce una chitarra tra le più belle in circolazione. La Trikanta, fatta in parte con un legno trovato in uno scavo in Bosnia e datato 8mila anni con il carbonio 14. Paolo Tofani è uno dei chitarristi italiani più bravi, l’ex degli Area, storica band milanese degli anni Settanta. Una pietra miliare della musica che aveva come frontman uno dei personaggi più importanti della storia della musica italiana. Demetrios Stratos.
Il trasferimento in Svezia e gli occhi sbalorditi del commesso di Jam
Ma prima un altro passaggio. Il trasferimento in Svezia. Nel 2007. Senza sapere una parola d’inglese (o quasi) e 31 anni compiuti. «Perché ho deciso di trasferirmi lì? Confesso che ho sempre subito il fascino della Scandinavia. Ma anche per lavoro. Sono andato lì, non sapevo niente, ma entravo nei negozi di musica dicendo una frase mandata a memoria: “I made this and I came from Stradivari School”». This era la Trikanta, nome preso dell’aramaico. Il commesso della Jam, un negozio di chitarre e liuteria a Stoccolma, sgrana gli occhi. Il proprietario anche. E’ assunto. Ha un lavoro. Quello che a Lucera, e in Italia, era difficile trovare.
Comincia a creare le prime collaborazioni con in gruppi musicali. Sono tanti. In Svezia, patria di Spotify, c’è una scena musicale tra le più attive al mondo. Decide che è il momento di mettere su carta la sua idea di chitarra integrata con sensori e internet. Anno 2012. Entra in contatto con ingegneri del suono. Comincia a creare il suo team. Entra nel 2013 nella KTH, la Royal Technology College di Stoccolma Conosce un professore che si appassiona al suo progetto. E comincia la fase di incubazione d’impresa. Nel 2014, a settembre crea Mind Music Labs, la sua startup. Nel giugno 2015 entra in Sting, un programma di accelerazione per Internet Of Things. Pochi mesi dopo.
A settembre 2015 prende il suo primo seed investment. «Con questi soldi possiamo sviluppare la nostra chitarra. Studiare la messa in commercio. Il nostro obbiettivo è di crearla da soli noi. Sappiamo come fare». Il costo finale non sarà superiore di molto alle chitarre elettriche in commercio ma non si può ancora fare un calcolo preciso. «L’unica cosa che possiamo dire è che nascerà già per il grande pubblico». Ora gira con la sua demo in spalla. Una bella chitarra, poco diversa dalle normali chitarre elettriche se non fosse per quello che c’è dentro. Microprocessori, microcomputer, un router e dei sensori che all’esterno si vedono quasi come accorgimenti estetici.
«Nessuno al mondo ha fatto una chitarra come la nostra»
«Sappiamo di essere i primi a fare qualcosa del genere. I primi al mondo. Nessuna azienda finora ha detto di stare lavorando a qualcosa del genere. Noi siamo i primi, sicuramente quelli con la tecnologia più avanzata di tutti» continua Michele. Nessuno ha detto niente del suo progetto fino a questo novembre, quando finalmente a prototipo completato ne ha potuto parlare. Prima di novembre non aveva nemmeno un accout Facebook, o Twitter. Nemmeno un sito.
Ora sì, perché ora comincia la sua sfida. Quella vera. Scalare il mercato. «Convincere i musicisti non sarà difficile, ne sono certo» dice sicuro Michele. «Il perché è semplice. Questa è una chitarra che fa le stesse cose di una chitarra, con un sacco di cose in più. Aumenta la loro possibilità di fare cose, proprio come la chitarra elettrica ha permesso ai chitarristi di fare più cose rispetto alla classica». Il lavoro fatto sulla chitarra è fatto da chi conosce bene le chitarre e i movimenti che servono per suonarla. Un liutaio, appunto.
«Sai come funzionano le dinamiche dei concerti? Il musicista suona, il pubblico si gasa, si muove, balla, canta, il musicista vede questo e si gasa ancora di più del pubblico. E’ uno scambio continuo di energia che Internet può solo che aumentare». La chiave è l’avvento di nuovi device come smartwatch, e wearable. Se 100 persone cominciano a saltare insieme in un certo tempo questo può essere trasmesso alla chitarra, e magari dà indicazioni al chitarrista sul cambio di tempo possibile. Aumenta le interazioni con il pubblico.
Un mondo virtuale, connesso. Ma basato sul legno usato da Stradivari. Abete rosso della Val di Fiemme tagliato sopra i 1500 metri. Perché?. «Perché io non voglio che in nessun modo la tecnologia ci allontani dalle radici, dalla fisicità, e dal sapere artigiano che si è evoluto negli anni. Io ho scelto di fare tutto questo con il legno tradizionale, il suono si trasmette con Internet è vero, ma poi deve vibrare attraverso questa struttura meravigliosa che è il legno» Il suo sguardo si accende. «Vibra. Il suono che viene fuori non è più solo quello delle corde, ma di tutto il sistema creato. Del legno, delle corde, dei sensori, di internet». Un legame forte tra il mondo, la terra, e il digitale come sfida per migliorare le cose rimandandole fedeli traspare chiaro dalle sue parole. E Michele alla terra e alla musica rimarrà fedele.
Arcangelo Rociola
@arcamasilum