ll vademecum dello startupper
Per una volta in Italia qualcosa è chiaro: una startup innovativa è una società di capitali, costituita anche in forma di cooperativa che risponde a requisiti molto precisi:
– La maggioranza delle quote del capitale sociale, nonché dei diritti di voto in assemblea ordinaria, deve appartenere a soci persone fisiche all’atto della costituzione e nei 24 mesi successivi (in altre parole non è possibile costituire il solito modello di scatole che contengono altre scatole);
– L’oggetto sociale deve essere almeno prevalentemente orientato allo sviluppo, alla produzione e alla commercializzazione di prodotti o servizi innovativi;
– Il valore della produzione non deve superare i 5 milioni all’anno.
Più precisamente, a partire dal secondo anno di attività il totale del valore della produzione annua, risultante dall’ultimo bilancio approvato entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore ai 5 milioni di euro;
– La società non distribuisce e non ha distribuito utili;
– La società non deve essere stata costituita da oltre 4 anni, non deve essere il frutto di una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo d’azienda;
Inoltre è richiesto che siano posseduti almeno uno dei seguenti requisiti:
– Le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 20% del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della startup (escludendo spese per l’acquisto e la locazione di beni immobili) ma includendo le spese per lo sviluppo precompetitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan, servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, costi lordi del personale interno e consulenti esterni impiegati in ricerca e sviluppo, inclusi soci e amministratori, spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso. Per le startup con meno di un’anno di vita (e quindi senza un bilancio approvato) vale un’autocerticazione del legale rappresentante;
– Vi deve essere l’impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca, o che sta svolgendo un dottorato in università italiana o straniera oppure in possesso di laurea che abbia svolto da almeno 3 anni attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati italiani o esteri (così anche Steve Jobs, Mark Zuckerberg e Bill Gates possono fare la loro startup innovative anche se non sono laureati come il sottoscritto);
– Sia titolare o depositario o licenziatario di almeno una privativa industrialerelativa a un’invenzione industriale, biotecnologia, a una topografia di prodotto, a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa. Privativa è un termine medioevale (non scherzo! Sono dovuto andare a cercarla su wikipedia) che in Italia era sinonimo anche di tabaccheria, in pratica è il diritto al monopolio attraverso lo sfruttamento di una proprietà intellettuale quale ad esempio un marchio o un brevetto. E’ forse il punto più interessante e meno coperto dal 99% degli startupper.
Avete registrato il nome della vostra startup? Avete brevettato la vostra soluzione? Se almeno una risposta è no, smettete di leggere e correte a farlo. STI a parte non c’è un minuto da perdere.
Perché una startup deve esserci?Anche in questo caso le motivazioni sono concrete sia dal punto di vista fiscale sia dal punto di vista operativo, in particolar modo per la gestione e la creazione del vostro team.
L’esenzione per 4 anni del pagamento dei diritti di segreterie della CCIAA, dell’imposta di bollo e del diritto annuale, fanno circa 400 Euro minimo (mica male) art.26 comma 8 I. n221/2012).
In caso di perdite sia superiori al terzo del capitale sociale che nell’ipotesi di riduzione dello stesso al di sotto del minimo legale, in deroga al diritto societario “ordinario”, c’è un anno in più per prendere gli opportuni provvedimenti.
I contratti di lavoro a termine potranno durare fino a 4 anni in deroga a quanto previsto dal decreto legislativo 368/2001 (36 mesi+ 12 mesi con l’assistenza della direzione territoriale del lavoro) e prevedere una retribuzione composta da una parte fissa e una variabile. Tali contratti potranno anche essere sottoscritti senza soluzione di continuità.
In uno sgravio fiscale e contributivo per i piani di incentivazione basati sull’assegnazione di azioni o di quote ad amministratori, dipendenti, collaboratori e fornitori paragonando le srl a delle SPA almeno sotto questo punto di vista. Queste quote non concorreranno alla formazione della base imponibile favorendo la partecipazione all’impresa (Basta startup nel Delaware!). Il privato che compra quote o azioni di una STI avrà una detrazione IRPEF del 19% per 3 anni sulla somma investita, se è invece una società potrà portare in deduzione il 20% dell’investimento, sempre che venga mantenuto per almeno 2 anni.
Come ci si iscrive? Questa volta è semplice come registrarsi su Twitter:
– Si presenta la domanda d’iscrizione in forma telematica con firma digitale tramite una Comunicazione Unica al registro delle imprese, all’Agenzia delle Entrate, all’INPS e all’INAIL tramite il software gratuito ComUnica ;
– Ci si registra su registroimprese.it (per cui è necessario avere un dispositivo (Smart Card o Token del costo il primo di circa 25 euro e di 70 il secondo) per la firma digitale rilasciato dalla camera di commercio o da qualsiasi certificatore accreditato (la registrazione è gratuita e l’identificazione avviene tramite CNS o user id e password);
Sarà però necessario munirsi prima di:
– Autocertificazione che deve essere prodotta tramite PDF con firma digitale.
– Casella di posta elettronica certificata PEC (su Register o Aruba costa 25 euro, su Infocert c’è anche una promozione dedicata alle startup, gratuita per i primi 6 mesi).
Potrà sembrare impossibile ma io non ho trovato una versione editabile del modulo ma solo una scansione per cui immagino la startup debba ricopiarlo a mano come un amanuense (esperto di privative) e poi compilarlo con i suoi dati e salvarlo via pdf.Tuttavia, come al solito in Italia non tutto è chiaro.
Per il momento la stessa guida ad uso interno delle Camere di Commercio definisce “disciplina transitoria” la procedura per l’iscrizione alla STI e non è ancora stato emanato il decreto ministeriale di approvazione del modello digitale di domanda da produrre per chiedere l’iscrizione alla STI in tale sezione speciale quindi per il momento.La società può essere iscritta nella sezione “speciale” solo se si tratta di una società “Attiva”.
Ci si può iscrivere includendo, oltre al modello S1 (il classico per una società ordinaria) il modello S5 e non è dovuto nessun onere, nemmeno il diritto camerale annuale. Se invece si tratta di una società “inattiva” occorrerà attendere la dichiarazione di inizio attività ed iscriversi al momento solo tramite il modello S1 come società ordinaria. In questo caso si deve pagare il diritto di segreteria, dell’imposta di bollo e del diritto camerale annuale.
“Non c’è tempo da perdere, qualche centinaio di euro da risparmiare di questi tempi fanno comodo e soprattutto se sei un ricercatore questo è il momento di provarci” commenta Daniele Santoro, commercialista di Firenze senza il quale non sarei stato così preciso.
Questa procedura è valida anche per aziende costituite negli ultimi 48 mesi tramite l’auto dichiarazione con firma digitale e non sono ammesse firme manuali accompagnate da documento d’identità.