La startup offre la ricarica per auto elettriche on demand, grazie a una flotta di furgoncini. Negli ultimi giorni sono circolati video con accuse di greenwashing. La replica dell’amministratore delegato Luca Fontanelli
Non si può certo parlare di comunicazione di crisi in questo caso. Non bastano le espressioni parecchio colorite di un video in cui un autista riprende il van della startup della ricarica on demand e mobile delle auto elettriche, E-GAP, accusando l’azienda di utilizzare furgoni con gruppo elettrogeno a gasolio invece che elettrico al 100% da fonti rinnovabili per impensierire più di tanto. Ciononostante Luca Fontanelli, amministratore delegato della startup, ha spiegato il perché la società ha scelto comunque di rispondere. «Il video in questione è stato caricato su TikTok. Non è diventato virale sui social, ma una questione di correttezza verso gli investitori e verso chi lavora ogni giorno ci ha imposto una reazione. C’è un’ideologia green molto forte a guidarci. Purtroppo sui social dire cose negative premia di più che dire cose positive».
Cosa fa E-GAP
Di E-GAP abbiamo parlato a più riprese, raccontando l’azienda presente in varie città d’Italia ( Milano, Roma, Bologna, Torino e Brescia) ed europee (Parigi, Madrid e Monaco) con il proprio servizio urbano che va a ricaricare le auto elettriche colmando il gap dovuto al numero ancora non adeguato di colonnine elettriche. Anzitutto, cosa possiamo dire sui van – la flotta passerà dagli attuali 60 a 88 entro fine maggio – che vengono prenotati tramite smartphone quando c’è bisogno di una ricarica rapida? «Sono tutti elettrici, alimentati da energia green che al momento preleviamo dalla rete».
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Spesso l’accusa più comune mossa alle auto elettriche è che per produrre quell’elettricità spesso si fa ricorso a fonti fossili. «Chiunque oggi si approvvigiona di energia elettrica locale, dall’Acea, Iren, A2A può richiedere al proprio fornitore che l’energia sia green. Ha un suo mercato, un suo prezzo». Parliamo dunque di elettricità prodotta tramite solare ed eolico, al quale E-GAP si appoggia totalmente. «L’Italia da questo punto di vista ha Enel che è tra i produttori di rinnovabili più importanti al mondo. Richiediamo certificazioni che attestano l’autenticità dell’energia green e con quella carichiamo van e batterie».
Il delivery dell’ultimo miglio
I piani a lungo termine di E-GAP puntano a rendere sempre più facile la consegna dell’ultimo miglio dell’energia elettrica in città. «Fin dalla fondazione l’obiettivo è sempre stato creare una piattaforma di energy delivery». I van non circolano in autostrada, tanto per inquadrare il loro perimetro d’azione. «Siamo nelle città a più alta densità di auto elettriche perché lì riscontriamo la maggiore criticità nello sviluppo di infrastrutture di ricarica». Un servizio ovviamente complementare alle colonnine di ricarica. «A tendere realizzeremo mega storage cittadini, grandi batterie che raccoglieranno da Terna l’energia che verrà prodotta con le rinnovabili. Saranno come grandi cisterne green, da cui i nostri van preleveranno l’energia da portare».
E-GAP si concentra al momento sul B2B, ma anche per i consumatori è possibile richiedere la ricarica di un van attraverso l’app. Una mezz’ora al massimo per ricaricare. Tempi competitivi, ma che comunque per diversi automobilisti sono ancora proibitivi e scoraggiano l’acquisto di un’elettrica. Su questo Fontanelli ha però le idee chiare: «Le autovetture stanno diventando sempre più performanti, in grado di ricevere energia ad alta velocità».
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L’altro nodo da affrontare riguarda le batterie. Nel dibattito tecnologico si parla spesso della Cina e di quanto Pechino abbia investito negli anni per diventare leader in tutta la filiera della mobilità elettrica. I numeri chiariscono il quadro: il paese asiatico produce il 70% delle batterie in commercio e controlla l’85% dei componenti necessari ad assemblarle. Ma secondo Fontanelli il quadro sarebbe meno sbilanciato di quanto si possa credere. «Il mercato europeo non è invaso dai cinesi. Nel nostro stabilimento di Buccinasco, vicino Milano, arrivano le celle che compriamo da società giapponesi e sudcoreane. Queste vengono assemblate, ingegnerizzate e diventano poi il cuore del sistema».