Quando la piccola impresa investe su tecnologia e innovazione cresce, producendo margini e coinvolgendo talenti. Il digitale favorisce flessibilità e unicità ma ancora oggi si fatica a fare sistema. Il nostro longform domenicale ospita Stefano Micelli, docente di economia e gestione delle imprese all’Università Ca’ Foscari di Venezia
Il dibattito su produttività e salari in un’Italia che stenta a crescere in settori chiave dell’economia dimostra ancora una volta l’importanza di accelerare sulla transizione digitale. Senza un salto di qualità sul fronte delle nuove tecnologie, il tessuto economico delle imprese italiane farà sempre più fatica a trovare giovani talenti disposti a lavorare in cambio di remunerazioni modeste e carriere poco invitanti. Queste considerazioni valgono soprattutto per il mondo della piccola e media impresa che oggi stenta a intercettare una generazione attratta da contesti metropolitani e mobilità internazionale. Generalizzare, per la verità, rischia di essere fuorviante. Una serie di ricerche condotte sull’impatto del digitale nelle Pmi ha messo in evidenza come le nuove tecnologie 4.0 abbiano consentito a un gruppo (limitato) di imprese di consolidare il proprio vantaggio competitivo e di prosperare grazie a business model più evoluti. Quando la piccola impresa investe su tecnologia e innovazione cresce, produce margini e coinvolge talenti. Anche perché il digitale consente di radicalizzare il concetto di flessibilità e di produzione su misura su cui le imprese italiane hanno costruito la propria fortuna. Il problema è che queste eccellenze fanno fatica a diventare sistema.
Pensare fuori dagli schemi
Le politiche a sostegno del digitale nella piccola impresa non sono mancate. In alcuni casi hanno ottenuto qualche risultato incentivando l’acquisto di nuove tecnologie, creando connessioni nuove con il mondo dell’università e della ricerca, favorendo un dialogo più funzionale con i corpi intermedi. Il problema è la velocità del processo di transizione, sempre più legata alla possibilità di affidare l’accelerazione digitale a giovani di talento. Il problema è che questi giovani sono pochi (per motivi demografici ormai evidenti) e fanno scelte che, numeri alla mano, vanno in altre direzioni. Per questo è importante pensare fuori dagli schemi. Dobbiamo interrogarci su come promuovere accelerazioni, cortocircuiti e alleanze di tipo inedito. Perché il tempo a disposizione è limitato. Un esempio in questa direzione è il progetto Upskill 4.0, di cui sono socio fondatore assieme a diversi colleghi, a dodici ITS e ad UniCredit. Nato come spin off dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, Upskill 4.0 è una startup che punta a creare una nuova connessione fra la formazione superiore (Università e ITS) e il mondo delle imprese, in primis quelle di piccola dimensione. Di fatto si chiede alle imprese di identificare un problema che le nuove tecnologie possono risolvere: un nuovo modo di comunicare prodotto, di dialogare con il cliente, l’introduzione di tecnologie 4.0 per migliorare i processi di produzione. Per dare risposta alle domande delle imprese, si organizzano gruppi di cinque o sei studenti iscritti a ITS e Università che lavorano in gruppo seguendo la metodologia del Design Thinking. Dopo una fase di avvio in presenza, i gruppi lavorano al progetto in modalità ibrida fino alla presentazione pubblica di un prototipo effettivamente funzionante. I prototipi – è importante sottolinearlo – non sostituiscono soluzioni sviluppate e garantite da esperti del settore. Gli studenti non prendono il posto di professionisti e consulenti con anni di esperienza. L’esercizio ha, prima di tutto, una funzione esplorativa. Consente alle imprese di prefigurare un altro modo di gestire le proprie attività grazie a tecnologie di cui raramente conosce l’effettivo potenziale. Rispetto a un mercato di competenze evolute, questi prototipi consentono alle imprese di diventare più consapevoli, più capaci di esprimere una direzione di marcia e di valutare un ritorno sull’investimento.
Innovazione come pratica quotidiana
Grazie al sostegno di diverse fondazioni bancarie, Upskill 4.0 ha promosso nel corso degli ultimi due anni un centinaio di progetti in tutta Italia. Nella stragrande maggioranza dei casi, nativi digitali provenienti principalmente da fondazioni ITS hanno dimostrato di poter dare un contributo originale alla trasformazione digitale di realtà in cerca di soluzioni a problemi reali. Generazioni diverse hanno avuto la possibilità di confrontarsi su come sviluppare concretamente un cambio di passo in aree critiche della gestione di impresa. Il tutto seguendo (e imparando) metodologie di gestione dell’innovazione che oggi rappresentano lo stato dell’arte nelle imprese di maggiori dimensioni.
“La transizione che abbiamo di fronte a noi non ha un libretto di istruzioni”
Alla base dei risultati c’è la volontà di superare schemi consolidati, scommettendo sulla possibilità di superare la distinzione fra formazione e innovazione, immaginando di sviluppare prototipi efficaci grazie a metodologie che danno forma all’impegno messo in campo da studenti motivati. La transizione che abbiamo di fronte a noi non ha un libretto di istruzioni. Tanto vale costruirlo insieme, mettendo insieme generazioni e saperi diversi, costruendo un ponte fra i depositari di un sapere fare che il mondo ci invidia e giovani con competenze e sensibilità nel digitale.
In Italia progetti come Upskill 4.0 non mancano. Il problema è che non ce ne sono abbastanza. Soprattutto, queste iniziative non esprimono la forza d’urto necessaria a trasformare in profondità il nostro sistema economico. Se crediamo a una rapida trasformazione delle imprese, le lezioni apprese da queste e altre iniziative vanno scalate con una determinazione diversa. Non si tratta di coinvolgere qualche centinaio di imprese sensibili al tema. Si tratta di costruire un circuito in cui migliaia di operatori di settori diversi – dalla manifattura al turismo, dall’agricoltura ai beni culturali – sono chiamati a ripensare in tempi brevi il proprio modo di operare. Coinvolgendo le energie e i talenti ancora a disposizione. Puntando su un’idea di innovazione come pratica quotidiana in grado di coinvolgere generazioni e sensibilità diverse.