Nel 2016, Jeff Bezos (nella foto di apertura, assieme ad alcuni turisti spaziali) sostenne che lo spazio sarebbe potuto diventare il prossimo Internet, una dichiarazione che riassume le opportunità di business che lui e gli altri Space Barons hanno visto nel suo sviluppo. Ed a ragione. Entro un decennio, infatti, si prevede che il settore spaziale varrà l’esorbitante cifra di 3mila miliardi di dollari, e l’area in cui si concentrerà la nuova industria è l’orbita terrestre bassa. L’innovazione tecnologica è il cuore pulsante dell’industrializzazione dello spazio. Un importante balzo in avanti è arrivato dalla miniaturizzazione delle attrezzature spaziali, una tecnologia che ha ridotto i costi di accesso allo spazio. I vecchi satelliti tradizionali avevano le dimensioni di un autobus, ora i microsatelliti sono grandi come una lavatrice ed i nano-satelliti non sono più ingombranti di una scatola da scarpe.
È chiaro che è più economico lanciare veicoli spaziali e satelliti più piccoli e leggeri rispetto a quelli più grandi. Ormai si lanciano micro-veicoli spaziali che pesano 10 chilogrammi e che possono fare cose che prima richiedevano un veicolo spaziale da 1.000 chilogrammi. Sono anche più economici da costruire. Si tratta di veicoli spaziali da un milione di dollari invece che da centinaia di milioni di dollari. E questa è un’altra innovazione che facilita l’apertura dello spazio. I satelliti più piccoli non solo sono più economici e veloci da produrre rispetto a quelli tradizionali, ma alcuni sono già realizzati con stampanti 3D e possono essere prodotti con materiali riciclati. Ma non basta, a differenza dei vecchi fratelli, i micro e nano satelliti possono essere posizionati più vicino alla Terra, in modo da trasmettere immagini migliori e fornire comunicazioni più veloci. La miniaturizzazione, quindi, ha contribuito a sbloccare l’economia dell’orbita terrestre bassa, segnando l’avvento di una corsa allo spazio a basso costo, una maratona alla quale partecipa il settore privato.
Pionieri spaziali
Oggi vecchi e nuovi satelliti svolgono già un vasto spettro di attività utili sulla Terra, dal monitoraggio delle emissioni di anidride carbonica alle telecomunicazioni in aree remote, all’ottimizzazione dei raccolti in agricoltura e allo svolgimento delle transazioni finanziarie. La loro applicazione può migliorare le nostre condizioni di vita, mitigare e contrastare il cambiamento climatico o accelerare la risposta ai disastri naturali. Da sola l’innovazione tecnologica, tuttavia, non sarebbe stata sufficiente per sbloccare lo spazio. L’altro ingrediente chiave sono le joint venture strategiche tra settore privato, istituzioni statali e alta finanza. Quest’ultima, in particolare, negli ultimi anni ha investito in media 10 miliardi di dollari l’anno. Illuminate l’esempio della cooperazione tra la Nasa e Space X che risale a quindi anni fa e che faceva parte di una strategia per incoraggiare le aziende private a sviluppare il trasporto di merci ed equipaggio a basso costo in un momento in cui il budget della NASA era seriamente ridotto.
Nel 2021, SpaceX ha finalmente lanciato con successo venti voli per portare vari carichi nello spazio. Dal sito web di SpaceX, chiunque può ora prenotare un carico utile fino a 830 kg da portare in orbita, per un prezzo a partire da un milione di dollari, a seconda del peso del carico. Il primo volo di questo programma “Rideshare” è partito il 24 gennaio 2021, con a bordo la cifra record di 143 satelliti. La miniaturizzazione delle attrezzature spaziali potrebbe rivelarsi la spinning jenny della rivoluzione industriale dell’orbita terrestre bassa e come in passato a guidarla è il settore privato, di cui Elon Musk con la sua Space X e Jeff Bezos con Blue Origin, sono solo i personaggi più noti.
Spazzatura spaziale
Molte sono le startup concentrate sull’industrializzazione dell’orbita terrestre bassa, pochissime però mirano a ripulirla dai detriti spaziali esistenti e da quelli che inevitabilmente il processo di industrializzazione produrrà, tra queste c’è la giapponese Astroscale, la svizzera ClearSpace, la britannica Surrey Satellite Technology Ltd., le americane Northrop Grumman e Kall Morris Incorporated. Prima di introdurre gli obiettivi di queste start up e’ bene spendere due parole sulla portata del problema dei detriti spaziali, problema serissimo ma, ahimè ignorato. Ecco come Antony David, redattore tecnologico della rivista TechTribe di Oxford ne descrive le dimensioni. «Dei quasi 9.000 satelliti lanciati, si stima che circa 5.000 restino in orbita, di cui 1.950 ancora attivi. Ci sono state circa 500 collisioni o esplosioni che hanno creato detriti più piccoli. Si ritiene che intorno ai 34.000 di questi pezzi abbiano dimensioni superiori a 10 cm, 900.000 tra 1 cm e 10 cm e 130 milioni più piccoli di 1 cm. Una piccola macchia di vernice colpendo il finestrino molto spesso di una navetta spaziale quasi lo penetrò. L’energia di un piccolo oggetto che impatta a velocità superiori a 10 km/sec è enorme.»
I detriti spaziali viaggiano a una velocità dieci volte più alta di un proiettile, il che significa che coprono la distanza tra Londra e Mosca in dieci minuti. A tali velocità, anche piccoli pezzi di detriti possono provocare gravissimi danni in una collisione che, a sua volta, ne produce altri. Poiché l’orbita terrestre bassa è una risorsa limitata, esattamente come lo è la Terra, riempirla di detriti la renderà inaccessibile: immaginate il rischio di collisione per una navetta spaziale mentre attraversa una discarica di detriti volanti per raggiungere la Luna, o quello di mettere in orbita un nuovo satellite dentro questa discarica, senza parlare del rischio che gli astronauti che lavorano fuori dalle stazioni spaziali correrebbero. Tutte le start up sopra menzionate vogliono evitare questi scenari offrendo servizi ad hoc per garantire lo sviluppo sicuro e sostenibile dello spazio a beneficio delle generazioni future. Tra gli obiettivi la manutenzione dei satelliti, l’allungamento della loro vita e la rimozione.
Tutte rappresentano un ottimo esempio della cooperazione a livello internazionale tra settore privato e pubblico nel campo della tecnologia avanzata applicata allo spazio, è infatti questa unica formula in grado di garantire una sostenibile industrializzazione dell’orbita terrestre bassa. Tra i finanziatori di Astroscale, ad esempio, ci sono imprese di venture capital giapponesi, e.g. Innovation network Corporation, JAFCO Co., Mitsubishi UFJ Capital, ma anche l’Agenzia spaziale europea e l’Agenzia spaziale britannica. Discorso analogo vale per ClearSpace che ha ricevuto finanziamenti da Swisscom Ventures, la sezione finanziaria di Swisscom, e da governo del Lussemburgo.
Anche se queste startup riuscissero ad offrire un efficiente e comprensivo sistema di pulizia nell’orbita terrestre bassa, rimane il problema della responsabilità della rimozione della spazzatura spaziale. Al momento non esistono regole applicabili per mantenere lo spazio pulito, né esiste il concetto di proprietà privata e pubblica fuori dai confini terrestri. Il pericolo è che in assenza di una legislazione internazionale riguardo allo sfruttamento a scopi di lucro dell’orbita terrestre bassa, legislazione rispettata da tutti i Paesi, l’industrializzazione dello spazio avvenga in modo selvaggio. E questo sarebbe un danno incalcolabile non solo per il pianeta, per i suoi abitanti ma anche per la democrazia.