Dall’Arabia Saudita un’innovazione che apre importanti prospettive per l’agricoltura nelle zone aride: un team di scienziati è riuscito a coltivare spinaci nel deserto, grazie a speciali pannelli solari in grado di estrarre acqua dall’aria
Con il riscaldamento globale e la crescente desertificazione si fa sempre più urgente la ricerca di nuove soluzioni per praticare l’agricoltura anche nelle zone più aride del pianeta, persino in pieno deserto. In Arabia Saudita, per esempio, la Al Jouf Agricultural Development Company è riuscita a far crescere l’oliveto più grande del mondo, pompando l’acqua da grande profondità e trattandola prima di utilizzarla per l’irrigazione. Ed è sempre in questo Paese, dove le estati sono secche e torride, che gli scienziati sono riusciti miracolosamente a coltivare spinaci d’acqua, una varietà diversa da quella a cui siamo abituati. A circa 80 km a nord di Jeddah, 57 piante sono cresciute in poche settimane grazie a un sistema rivoluzionario, che praticamente crea acqua dal nulla.
Strategia sostenibile e a basso costo
Si tratta di un innovativo sistema ad energia solare, che estrae il vapore dall’aria e lo condensa in acqua, producendo allo stesso tempo elettricità. “Questa tecnica, sostenibile e a basso costo, potrebbe aprire prospettive importanti per le piccole aziende agricole, costrette a lavorare la terra nelle regioni più remote e aride del pianeta, dai deserti alle isole oceaniche, senza un sistema idrico convenzionale”, ha sottolineato Peng Wang, professore di Scienze ambientali e Ingegneria presso la King Abdullah University of Science and Technology (KAUST) e autore senior dello studio, che è stato pubblicato sulla rivista Cell Reports Physical Science.
Spinaci nel deserto: come estrarre acqua dall’aria
Energia, acqua e cibo in un’unica soluzione, insomma. Prima di tutto, però, una domanda sorge spontanea: da dove arriva tutta questa umidità in una zona così arida? Il fatto che i deserti siano asciutti non significa che non ci siano molecole d’acqua nell’aria, anzi: nella zona dell’esperimento in Arabia Saudita, secondo i ricercatori, l’umidità ruota intorno al 40%, salendo addirittura all’80% di sera e di notte.
Come trasformarla in acqua? Il prototipo utilizzato, denominato WEC2P, è costituito da un pannello fotovoltaico, grande come la superficie di un banco di scuola, posto su uno strato di un materiale innovativo, formato da idrogel (simile a quello utilizzato nei bendaggi per reidratare le ferite) e cloruro di calcio (il sale che si usa per sbrinare le strade). Sotto, un grande contenitore metallico, che funge da camera di condensazione e raccolta dell’acqua.
Come funziona il sistema WEC2P
L’idrogel salino assorbe il vapore acqueo dall’ambiente circostante e, se riscaldato, rilascia il suo contenuto d’acqua. Al mattino presto è saturo di umidità: quando i primi raggi solari colpiscono il pannello fotovoltaico, questa si condensa così nella scatola di metallo sottostante.
Il processo non consuma elettricità, anzi: utilizza il calore di scarto che i pannelli solari producono durante la generazione di energia e che altrimenti andrebbe perduto. Proprio assorbendo calore l’idrogel aumenta inoltre fino al 9% l’efficienza del sistema fotovoltaico nel produrre elettricità, perché ne abbassa la temperatura.
I risultati: 57 piante di spinaci d’acqua nel deserto
I ricercatori hanno condotto il primo test di coltivazione degli spinaci d’acqua lo scorso giugno, quando il clima era molto caldo, e ora si preparano a nuove ricerche. In due settimane il pannello solare ha generato un totale di 1.519 wattora di elettricità e 57 semi, sui 60 disponibili, sono germogliati e cresciuti fino a raggiungere un’altezza di 18 centimetri. In totale, sono stati condensati circa 2 litri d’acqua.
Quali prospettive per il futuro?
L’idea per il futuro è quella di riuscire a creare un materiale più efficiente, in grado di assorbire più acqua dall’aria. Un obiettivo a cui sta lavorando anche un team di ricercatori dell’Università del Texas, ad Austin, che ha appena sviluppato un idrogel salino in grado di raccogliere fino a sei litri di acqua dolce per chilo di materiale in sole 24 ore.
La sfida sarà poi quella di utilizzare questo sistema in altre situazioni, magari anche in climi più temperati con livelli di umidità più elevati, anche se difficilmente sarà adatto per colture ad alta richiesta idrica come riso o canna da zucchero. Come ha sottolineato Wang, “quest’acqua è molto speciale, perché viene dal nulla”. Ovvero: va usata con parsimonia.
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