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Dalla ricerca clinica alla produzione bio-farmaceutica, fino all’accesso: come creare un ecosistema attrattivo per gli investimenti? Intervista agli amministratori delegati di Evotec, Takeda e UCB Italia
Un’occasione persa. Un caso emblematico degli ostacoli che possono derivare dalla burocrazia italiana. Una dimostrazione della scarsa capacità del nostro Paese di attrarre investimenti esteri. Sono solo alcune delle voci che pochi mesi fa si sono levate da più parti alla notizia che la Catalent, multinazionale farmaceutica americana, aveva rinunciato a investire 100 milioni di dollari nel suo stabilimento di Anagni, in provincia di Frosinone.
Nel luglio del 2021, infatti, Catalent aveva annunciato l’avvio della prima fase di un programma di espansione presso il sito del frusinate, con l’obiettivo di aumentare la capacità produttiva di farmaci biologici. Un investimento che avrebbe comportato anche la creazione di altri 100 posti di lavoro. Tuttavia, a causa delle lungaggini burocratiche, l’azienda farmaceutica ha poi deciso di spostare i fondi presso Oxford, nel Regno Unito, con le stesse finalità.
Non è la prima volta che una multinazionale farmaceutica rinuncia a un investimento per questioni burocratiche nel nostro Paese, ma quella che ha riguardato la Catalent risulta la più rilevante per dimensioni economiche. Viste le premesse, e nel pieno di una campagna elettorale per dare un nuovo governo al Paese, a questo punto la domanda nasce spontanea: cosa chiedono ai nuovi decisori le imprese biofarmaceutiche per creare un ecosistema attrattivo che possa spingere la propria casa madre a scegliere l’Italia come Paese nel quale investire e svilupparsi?
Ricerca, produzione, accesso
“L’attrattività dell’ecosistema italiano dovrebbe basarsi su tre direttrici fondamentali: ricerca, produzione, accesso”, sottolinea Federico Chinni, amministratore delegato di UCB Italia, multinazionale biofarmaceutica belga, tra i relatori dell’evento “Fare rete adesso. Per un ecosistema dinamico dell’innovazione”, promosso da Federchimica Assobiotec a Roma, alla fine di giugno. Rispetto alla ricerca, in particolare, Chinni evidenzia innanzitutto l’altissima qualità di quella italiana: “Basta guardare ai lavori scientifici prodotti in ambito Covid, dove la ricerca scientifica italiana si posiziona al quarto posto – almeno fino a poco tempo fa – dopo Stati Uniti, Cina e Regno Unito”.
“L’attrattività dell’ecosistema italiano dovrebbe basarsi su tre direttrici fondamentali: ricerca, produzione, accesso”
Non solo: “Ogni anno, in Italia, le imprese del farmaco investono oltre 700 milioni di euro in studi clinici e, secondo uno studio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ogni euro investito dalle aziende genera un beneficio di 2,77 euro per il Servizio Sanitario Nazionale, arrivando a più di 3 euro in ambito oncologico”, continua l’ad di UCB. Allora, cosa guarda la casa madre, a Bruxelles, per decidere dove indirizzare gli investimenti? “Per esempio, guarda al fatto che per attivare uno studio clinico in Italia sia necessaria una media di 17 settimane, quando ne servono 9 in Germania e 5 nel Regno Unito”.
Per Chinni, quindi, bisogna agire soprattutto su due fronti, al riguardo: comitati etici e contratto unico. “Non possiamo avere comitati etici che possano interagire in maniera differente a Milano o a Reggio Calabria, bisogna armonizzare le regole.” Nello stesso solco, si inserisce la richiesta di implementare il contratto unico, “che permette a chi promuove uno studio clinico e al centro clinico medesimo di interagire parlando la stessa lingua”.
Gli investimenti nella ricerca
L’elevata qualità della nostra ricerca ha costituito una leva importante anche nelle decisioni di investimento del gruppo tedesco Evotec, che ha acquisito l’italiana Rigenerand, società che opera nell’ambito della tecnologia cellulare con sede a Medolla, in provincia di Modena, nella cosiddetta Biomedical Valley. Fondata nel 2009 come spin-off dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Rigenerand è pioniera nel campo della produzione di terapie cellulari sotto cGMP (current Good Manufacturing Practice, le attuali norme di buona fabbricazione, ndr).
Proprio riguardo alla sua acquisizione, Ciriaco Maraschiello, amministratore delegato del sito di Evotec a Verona – anche lui tra i relatori dell’evento promosso da Federchimica Assobiotec, nell’ambito del progetto “Biotech, il futuro migliore” – è netto: “Il Gruppo ha investito in Italia perché qui ci sono le competenze, perché crede nella scienza made in Italy”. Anche l’ad di Evotec sottolinea la preparazione degli scienziati italiani, riconosciuta in tutto il mondo, per cui “l’acquisizione di Rigenerand è l’esempio che quando si hanno competenze avanzate e si dà impulso all’innovazione, si attira anche l’interesse internazionale”.
“Il Gruppo ha investito in Italia perché qui ci sono le competenze, perché crede nella scienza made in Italy”
Maraschiello, che di formazione è biochimico ed è anche vicepresidente esecutivo dello sviluppo farmaceutico globale di Evotec, spiega che nel portfolio del Gruppo ci sono soluzioni innovative terapeutiche basate anche sulle terapie cellulari: “Noi creiamo i concetti, ma ci mancava la capacità di trasformarli in prodotti medicinali somministrabili al paziente. Rigenerand fa proprio questo, consentendoci di completare la catena di valore di Evotec”.
La società italiana è stata acquisita per 23 milioni di euro, ai quali saranno aggiunti altri 13 milioni di euro per la sua crescita. “In questo momento, Rigenerand dispone di 5 impianti di produzione, ma con l’investimento che intendiamo fare entro il 2024, vogliamo triplicare la capacità produttiva, arrivando a 15 impianti. E, in meno di 5 anni – continua Maraschiello – contiamo di triplicare anche il personale”.
In generale, Evotec guarda all’Italia con grande interesse, ribadisce l’ad del sito di Verona: “Dal 2017, ovvero dall’acquisizione di Aptuit, il Gruppo ha investito più di 35 milioni di euro nel nostro centro di ricerca e sviluppo integrato. Il sito di Verona è passato da 550 addetti agli attuali 875, che ne fanno la realtà più rilevante per la ricerca e sviluppo di nuovi farmaci in Italia, e la prospettiva è quella di arrivare a 1200 persone prima del 2026”.
Ma c’è anche un altro fattore che ha convinto Evotec a investire nel nostro Paese, ci tiene a sottolineare Maraschiello: il credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo in Italia, oggetto negli ultimi tempi di molte incertezze e problematiche, che parrebbero essere state risolte. “Senza le nuove misure, sarebbe stato molto più difficile far decidere il quartier generale circa l’acquisizione di Rigenerand e la volontà di continuare a investire in modo significativo nel sito di Verona. Così, quando sono state confermate e stabilizzate, abbiamo tirato un sospiro di sollievo, perché a beneficiarne è la stessa competitività italiana”.
Gli investimenti nella produzione
Proseguendo il ragionamento secondo la logica del viaggio del farmaco dal laboratorio di ricerca al letto del paziente, la prossima tappa vede come protagonista il nostro sistema produttivo, che in Italia è molto radicato in ambito farmaceutico, rappresentando una grande opportunità rispetto all’attrazione di investimenti. “Nel 2017, l’Italia è risultata prima in Europa per produzione farmaceutica, con un valore di 31 miliardi di euro”, ricorda l’ad di UCB Italia. “Stando agli ultimi dati – continua Federico Chinni – lo scorso anno il valore della produzione si è attestato sui 34 miliardi di euro, quindi in crescita, ma siamo stati superati di nuovo dalla Germania, e anche dalla Francia, e l’aspetto più grave è che dobbiamo guardarci le spalle anche dalla Spagna, che sta avanzando in maniera molto forte”.
In generale, per creare un ecosistema attrattivo di investimenti, secondo Chinni è necessaria innanzitutto una maggiore chiarezza nelle regole: sia a monte, ovvero nel momento in cui si decide di investire, che a valle, pensando ad esempio a tutte le questioni legate alla giustizia, e quindi agli eventuali conflitti che si potrebbero sviluppare. Ma, guardando alla produzione farmaceutica, che cosa significa fare chiarezza? “Intanto, procedere a un riordino di tutte le autorizzazioni che oggi vengono richieste alle aziende per poter aprire uno stabilimento in Italia”, spiega l’ad di UCB.
“Per creare un ecosistema attrattivo di investimenti è necessaria innanzitutto una maggiore chiarezza nelle regole”
“Poi, c’è da rilevare che per le ragioni più svariate esistono molti enti che possono mettere una parola nel processo decisionale, ma manca una visione di insieme e soprattutto una chiara accountability”. Oltre a una maggiore chiarezza e semplificazione burocratica, anche Chinni sottolinea l’importanza dell’incentivazione fiscale, come ulteriore elemento di attrattività: “Basti pensare a un tema come quello del super ammortamento, se un’azienda ha intenzione di investire in un impianto italiano, o magari a incentivi per comprare beni strumentali in grado di migliorare la qualità della produzione”.
L’attrattività della produzione italiana
Nonostante le criticità del nostro ecosistema, la multinazionale giapponese Takeda continua a puntare sull’Italia per consolidare ulteriormente la produzione di farmaci plasmaderivati, di cui detiene una quota di mercato significativa a livello mondiale. Alla fine dello scorso marzo, la filiale italiana ha presentato il nuovo piano di investimenti 2021-2025, per un valore di 275 milioni di euro, con l’obiettivo di aumentare del 100% la capacità di produrre terapie plasmaderivate. L’operazione riguarderà principalmente i due stabilimenti di Pisa e Rieti. “In generale, la decisione di rafforzare gli investimenti sui siti che lavorano il plasma – un network di 8 stabilimenti nel mondo, di cui 2 in Italia – nasce dal fatto che la domanda di plasmaderivati è cresciuta in maniera molto rilevante a livello globale”, spiega Annarita Egidi, ad di Takeda Italia.
Ma perché una quota importante di questi investimenti è destinata proprio all’Italia? “Noi ci muoviamo su due fronti: da una parte, su quello del convincimento della nostra casa madre; dall’altra, su quello del problem solving a livello locale. Le difficoltà ci sono, ma c’è anche la determinazione a superarle”, dichiara Egidi. “I colleghi dei siti produttivi sono riusciti a dimostrare che qui c’è un terreno molto fertile, con risorse umane altamente preparate, impianti a elevata produttività e sinergie con i player del sistema manifatturiero italiano, soprattutto della meccanica”, aggiunge l’ad di Takeda. Oltre ad aumentare la capacità produttiva, questi investimenti comporteranno anche “un consistente piano di assunzioni, intorno alle 150 persone, che si uniranno agli oltre mille dipendenti di Takeda già presenti in Italia”. Non solo. Egidi ci tiene a sottolineare che quando si investe a Pisa e Rieti si genera un circolo virtuoso a livello locale, “favorendo il sistema economico intorno ai siti”.
“Noi ci muoviamo su due fronti: da una parte, su quello del convincimento della nostra casa madre; dall’altra, su quello del problem solving a livello locale”
All’inizio di luglio, Takeda ha presentato il nuovo Laboratorio Controllo Qualità nello stabilimento di Pisa, il risultato di un investimento di circa 2 milioni di euro che si inserisce proprio nel nuovo piano di investimenti della multinazionale giapponese in Italia. Altri 17,4 milioni di euro saranno investiti per l’acquisto e l’installazione di una linea all’avanguardia, destinata alla lavorazione di albumina, e 30 milioni per migliorare la sostenibilità ambientale, l’efficienza, le infrastrutture e la sicurezza. Il prossimo investimento, sempre nell’ambito di questo piano, è indirizzato ad aumentare la capacità produttiva di Rieti. “Una capacità che riguarda Takeda, ma anche l’Italia, perché noi produciamo farmaci plasmaderivati anche per un consorzio di 5 regioni italiane – Toscana, Marche, Lazio, Campania e Molise – lavorando il plasma donato dai relativi pazienti”, sottolinea Egidi.
Un accesso veloce e uniforme
Gli amministratori delegati concordano sul fatto che tutto l’ecosistema debba lavorare nella stessa direzione, perché è inaccettabile “incentivare la ricerca clinica, essere tra i primi nella produzione farmaceutica e poi non riuscire a garantire ai cittadini un accesso ai farmaci veloce e, soprattutto, uniforme nel Paese”, sintetizza Federico Chinni. Un altro aspetto importante riguarda il sottofinanziamento del sistema, “perché ancora non si è raggiunto il giusto livello di finanziamento della spesa farmaceutica”, sostiene l’ad di UCB Italia.
Rispetto al governo della spesa farmaceutica, inoltre, “il sistema del payback rende più difficile alle multinazionali vedere l’ecosistema italiano come attrattivo per l’introduzione di nuove terapie, diventando un potenziale ostacolo nella percezione di un Paese favorevole all’innovazione, agli investimenti”, aggiunge Chinni.
Investimenti e nuove regole
Gli operatori del settore guardano ai nuovi decisori politici con la speranza che riescano a creare e rafforzare un ecosistema davvero attrattivo per gli investimenti, in grado di scongiurare un nuovo “caso Catalent”. Quella vicenda ha scatenato una ridda di polemiche e dichiarazioni, fino alla presentazione di una interpellanza parlamentare. “Sono stata l’unica parlamentare a prendere a cuore questo evento catastrofico, perché l’Italia ha perso un investimento molto importante sia per la ricerca che per la produzione biofarmaceutica, ma soprattutto per quel che riguarda l’occupazione altamente qualificata”, rivendica Angela Ianaro, deputata, nonché professoressa di Farmacologia dell’Università di Napoli, Federico II.
Secondo Ianaro, per riuscire a mantenere la sua posizione di leadership nel settore farmaceutico, l’Italia deve “avere innanzitutto una governance certa, unitaria ed efficace, in grado di facilitare la collaborazione fra pubblico e privato, di favorire il trasferimento dei risultati della ricerca al mercato e, soprattutto, di attrarre capitali, tutti aspetti essenziali per un percorso di crescita e innovazione del Paese”. La parlamentare, inoltre, sostiene la necessità di “favorire gli investimenti nella ricerca, anche attraverso forme di facilitazione fiscale, e di semplificare e velocizzare gli iter burocratici, che di fatto costituiscono degli ostacoli sotto il profilo della competitività”. Proprio come è avvenuto nella vicenda Catalent.
La burocrazia è un problema molto sentito dalle imprese, tant’è che Annarita Egidi si spinge a dire che “le ingenti risorse previste dal PNRR vanno benissimo, ma da sole non bastano, perché servono anche nuove regole”. Per l’ad di Takeda Italia, “bisogna far leva su quella capacità di collaborazione che abbiamo visto durante le fasi più acute della pandemia, per mettere in campo delle regole che consentano di esprimere appieno il nostro potenziale”.
Del resto, il PNRR rappresenta per tutti gli intervistati un’opportunità strategica per dare un nuovo slancio al Paese, per favorire l’innovazione. “L’Italia non deve essere solo il Paese della bellezza, della dieta mediterranea e del buon vino, ma può diventare anche un Paese di innovazione, dove i nostri giovani talenti trovano occupazione in ruoli altamente qualificati e possono continuare a crescere professionalmente, senza dover ‘fuggire’ all’estero”, incalza Ciriaco Maraschiello. “Io ci credo tanto”.
Appuntamento alla Biotech Week
L’innovazione in ambito farmaceutico sarà sempre più caratterizzata da soluzioni biotech. Secondo le stime dell’OCSE, infatti, l’80% dei prodotti farmaceutici sarà biotech entro il 2030. Questo e altri temi saranno protagonisti anche nella prossima Biotech Week, che torna dal 26 settembre al 2 ottobre, per la sua decima edizione. Una settimana globale di eventi e manifestazioni, promossa e coordinata in Italia da Federchimica Assobiotec, con l’obiettivo di raccontare un metasettore che ha letteralmente l’innovazione nel proprio DNA.
In Italia, saranno una sessantina gli appuntamenti gratuiti per conoscere a tutto tondo il mondo delle biotecnologie: dai laboratori per bambini alle visite guidate e virtuali nei centri di ricerca e nelle imprese dove si fa innovazione, dagli incontri di orientamento al mondo del lavoro ai seminari per scoprire come le biotecnologie costituiscono un valido strumento per rispondere alle sfide attuali e future. Un programma ricco di eventi per tutti i gusti.
Save the date
I temi della ricerca clinica e dell’accesso alle cure saranno anche al centro del convegno “La salute, oltre gli slogan”, organizzato da Federchimica Assobiotec, con il supporto di StartupItalia, il 29 novembre a Roma, nell’ambito della terza edizione del progetto “Biotech, il futuro migliore”.
La nuova edizione è promossa da AbbVie, AGC Biologics, Alexion, Biosphere, Chiesi, DiaSorin, Evotec, Genenta Science, Genextra, Gilead, IRBM, Novartis, Rottapharm Biotech, Sanofi, Takeda, UCB, Zcube.