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Il profilo Twitter Bitcoin Archive ha pubblicato un post in cui comunica che il governo di Cuba ha intenzione di autorizzare bitcoin e altre criptovalute come metodo di pagamento sull’isola. Al momento non si hanno altre notizie, anche se è la stessa Bloomberg a riportare l’aggiornamento. La stampa specializzata nel mondo crypto si è già occupata della sua evoluzione a Cuba, un paese in cui soprattutto le giovani generazioni fanno sempre più ricorso a bitcoin come strumento di emancipazione finanziaria e politica. La condizione precaria dei cittadini è frutto di uno scontro geopolitico storico, che ha portato all’isolamento del paese comunista a poche miglia di distanza dalle coste degli Stati Uniti.

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Su Bitcoin Magazine la storia di una giovane cubana funziona da esempio per fotografare le condizioni e le difficoltà di lavoratori e risparmiatori: Lucia, il suo nome, ha iniziato a comprare bitcoin quasi due anni fa, utilizzando parte del proprio stipendio da statale; per orientarsi in questo ecosistema ha utilizzato i gruppi Telegram, così da conoscere persone e iniziare il proprio percorso crypto. Al di là della notizia è comunque ancora prematuro arrivare alla conclusione che bitcoin diventerà una valuta legale, come ha scelto di fare El Salvador pochi mesi fa con una legge dedicata.

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Sempre su Bloomberg, infatti, si legge che “la Banca Centrale (cubana, ndr) può autorizzare l’uso delle criptovalute per ragioni di interesse socioeconomico. Lo Stato, tuttavia, assicura che le operazioni saranno controllate”. Senza alcuna autorità centrale a monte, bitcoin non può però essere controllato e quindi occorrerà capire quando e se i nodi verranno sciolti. Un altro paese comunista, ben più ricco e strutturato, come la Cina ha di recente voltato le spalle al mondo crypto, mettendo al bando tutte le attività di mining. Tra le ragioni, anche quella dell’impatto ambientale di queste operazioni hardware. Ma c’è stata pure l’intenzione di contrastare un’asset difficilmente inquadrabile in una dittatura.