È stato uno dei più abili “corporate raider” della storia, espressione che definisce gli imprenditori, o meglio “impredatori”, che acquistano quote di aziende sul mercato, per poi gradualmente acquisirne il controllo, mettere alla porta i manager e cambiare il modello di business.
Ronald Perelman non è stato solo uno degli uomini più ricchi d’America negli anni Ottanta e Novanta, in cima a tutte le classifiche di Forbes e di Bloomberg, ma anche un uomo che ha ispirato un’intera generazione, grazie alla sua vita spericolata, fatta di cinque matrimoni, yatch, ville, jet privati, battaglie legali, debiti (tanti), e una collezione di opere d’arte (Andy Warhol, Jeff Koons, Jasper Johns e altri) da fare invidia al MoMa di New York.
Un impero che, tuttavia, è invecchiato male. Perelman sta vendendo tutto, mettendo fine a una delle più grandi epopee imprenditoriali della storia americana, all’età di 77 anni.
Alla stampa dichiara che il periodo di lockdown lo ha fatto riflettere sul vero senso della vita, con un rinnovato desiderio di ridurre gli affari per dedicarsi alla famiglia, mentre le indiscrezioni di Bloomberg, e altri grandi nomi dell’informazione finanziaria americana, parlano di un uomo ormai alle strette, messo all’angolo dal debito “monstre” che ha contratto negli anni e che ora bussa prepotentemente alla sua porta.
Una relazione turbolenta con suo padre
La carriera di Ronald è legata strettamente a suo padre Raymond, l’uomo che gli ha insegnato tutto. Investitore in diverse aziende, Raymond permette al figlio di partecipare ai consigli di amministrazione di cui fa parte, quando ha solo 11 anni. Durante gli anni del college si intensificano i loro rapporti di lavoro, quando, presso la Belmont Industries di proprietà del padre, Ronald impara le tecniche del corporate raider, ovvero di chi compra aziende, vende le divisioni superflue, ne riduce il debito, le rende profittevoli e poi le rivende per generare cash flow. La relazione tra i due non è, tuttavia, delle migliori: quando Ronald chiede più spazio in azienda e vuole lo scettro della presidenza, il padre replica che non è ancora pronto al grande passo. Per tutta risposta, e per dimostrare al padre che ha torto, lascia l’azienda e si mette in proprio, acquistando prima una gioielleria e poi un distributore di liquori e cioccolato, la McAndrews & Forbes, che tramuta in una holding di investimento:
«Cosa ho imparato da mio padre? La necessità di prendere decisioni. Lui mi diceva sempre, “Se non fai una scelta, una scelta sarà fatta per te. E se qualcun altro fa una scelta per te, non potrai cambiarla. Le volte che si arrabbiava con me non era quando commettevo un errore, ma quando non avevo preso una decisione», come racconta su Forbes.
Il re dei cosmetici: l’acquisto controverso di Revlon
Quando decide di comprare l’azienda alla quale è più legato il suo nome, il colosso dei cosmetici Revlon, Perelman è già un uomo molto ricco. La sua fortuna ha inizio con un prestito di 1.7 milioni di dollari che ottiene grazie alla sua prima moglie, nipote di un ricco banchiere di New York. Con quei soldi, acquista nel 1978 la Cohen-Hatfield Jewelers. In un anno vende parte dei negozi retail, trasformando la compagnia in un rivenditore di gioielli, con un guadagno di 15 milioni di dollari. Soldi che subito reinveste per acquistare la MacAndrews & Forbes, allora distributrice di estratti di liquori e cioccolato, che trasforma nel suo principale veicolo di investimento: dai mezzi militari (AM Vehicles), alle soluzioni di marketing e payment (Vericast), al gaming (Scientific Game), alla medicina (SIGA), sono tantissimi i campi in cui opera la holding.
Tra questi c’è anche Revlon, la storica azienda di cosmetici, fondata nel 1932 da due fratelli, sulla quale finiscono le mire di Ronald nel 1985. Allora l’imprenditore ha 42 anni e vuole legare il suo nome a un marchio storico. L’operazione di acquisizione dell’azienda fa scuola e passa alla storia come “Revlon Rule”. In questa partita, Ronald compete con un’altra azienda, la Forstmann Little che mette sul piatto 57.25 dollari per azione, mentre Ronald offre 75 centesimi in più. In totale offre 2,7 miliardi di dollari. Il board di Revlon vorrebbe vendere alla Forstmann, ma la decisione della Corte di Giustizia del Delaware ribalta tutto con una sentenza storica che stabilisce che “se un board è d’accordo sulla vendita di un’azienda, è suo dovere venderla all’offerente che offre la cifra più alta, senza tenere in considerazione le reali preferenze del consiglio di amministrazione”. La decisione toglie autonomia al board con l’obiettivo di fare i migliori interessi degli investitori nel breve periodo.
Il crollo di un impero
Da 20 miliardi di patrimonio nel 2018 a poco meno di 7 miliardi oggi (fonte Forbes). Basterebbe questo dato a raccontare il crollo di un impero. Ronald vende tutto: il 70% delle sue azioni in AM Vehicles, il 39% dei suoi titoli in Scientific Games, alle sue opere d’arte, tra cui i Mirò e Matisse, venduti per 37,3 milioni di dollari, lo scorso luglio.
Nel frattempo già ha dato mandato a Goldman Sachs di trovare acquirenti per Revlon, mentre, secondo il New York Post, avrebbe messo in vendita anche The Creeks, il parco di 23 ettari sull’oceano, che sarebbe sul mercato per 180 milioni di dollari, in una “whisper sale”, così si chiamano le offerte immobiliari per quei pochi, pochissimi che potrebbero permettersi di comprare a quelle cifre.
Di fronte al crollo, il mondo della finanza si chiede quali sono i motivi di questo incredibile e così veloce ridimensionamento. Sono circolate tante indiscrezioni che hanno portato lo stesso Ronald a offrire la sua versione dei fatti, contenuta interamente qui.
Nella dichiarazione, da una parte, ammette la crisi che si è abbattuta su tutta l’economia a causa della pandemia, “la nostra sfida sarà di ricostruire l’economia del 21esimo secolo, rendendola più responsabile e sostenibile per l’ambiente”. Mentre in una nota più intima, ammette che il lockdown gli ha fatto riscoprire il valore della famiglia e di “mettere ordine, semplificare e dare agli altri la possibilità di godere delle cose bellissime che ho acquistato per decenni”.
Una trasformazione del “corporate raider” sincera, secondo Graydon Carter, ex editore di Vanity Fair, che lo conosce bene. Mentre altri sono più scettici sulle sue parole, come Richard Hack, autore di una biografia non autorizzata di Perelman che scrive su Bloomberg: “Se desideri una vita più semplice, compri una fattoria in Oklahoma, non vendi i tuoi quadri nella tua casa di Manhattan. Se lo fai, è perché hai bisogno di soldi”.
Soldi, come i circa 3 miliardi di dollari di debito contratti da Revlon con CitiGroup, da ripagare entro l’anno.