L’indagine di Firenze dimostra che i feudi sono ancora troppi ma anche che l’Abilitazione scientifica nazionale funziona: costringe i baroni a esporsi più che in passato, mettendoli all’angolo
Senza dubbio al sistema universitario occorrono ancora cambiamenti profondi. Per intervenire su vari fronti, fra cui l’ormai celebre “fuga dei giovani” all’estero che ci costerebbe qualcosa come 14 miliardi di euro. In particolare per trattenere i migliori, quei ricercatori che proprio ultimamente hanno fatto segnare un altro record: dei 406 premi da un milione e mezzo di euro l’uno assegnati pochi giorni fa dal Consiglio europeo della ricerca, i celebri Erc Starting Grants, 43 sono andati a ricercatori italiani, cioè il 10,6%. Siamo terzi in Europa, dopo essere stati spesso primi, ma molti di questi (ben 24) saranno spesi all’estero. Rimaniamo insomma la nazione dei “migranti della ricerca” anche perché, nonostante la riforma del 2008, la sensazione che il contesto sia ancora scandalosamente truccato è forte. E testimoniato dalle cronache. Anche se non tutto è come sembra.
L’indagine di Firenze
A Firenze è in corso una grave indagine scattata dopo il tentativo di alcuni professori universitari di indurre un ricercatore, candidato per il concorso all’Abilitazione scientifica nazionale, a farsi da parte per non ostacolare futuri ingressi di allievi protetti. Philip Laroma Jezzi, questo il nome del 49enne ricercatore angloitaliano, ha però registrato sul suo telefono i colloqui avuti con i docenti dell’ateneo e tenuto al corrente procura e Guardia Finanza a partire dal 2013. Fra questi ci sono i confronti, davvero emblematici, con l’allora docente di diritto tributario Pasquale Russo.
Il primo, nel 2013, contiene un elemento surreale se non si parlasse della presunta eccellenza del sistema educativo italiano, scrigno dell’innovazione nostrana: “Come si fa ad accettare una cosa simile? – domanda retoricamente Russo – tu non puoi non accettare. Che fai, ricorso? Però così ti giochi la carriera. Qui non siamo sul piano del merito Philip. Smetti di fare l’inglese e fai l’italiano“. Il ricercatore venne puntualmente bocciato.
“Qui non siamo sul piano del merito Philip. Smetti di fare l’inglese e fai l’italiano“
Nel gennaio seguente Laroma Jezzi ha registrato un altro colloquio. Stavolta con Guglielmo Fransoni, uno dei commissari che gli hanno negato l’abilitazione, nonché socio di studio dello stesso Russo. Gli rivelano la ragione della bocciatura: c’è qualcuno che deve entrare al posto suo. Il docente fiorentino Roberto Cordeiro Guerra gli ha – nomen omen – scatenato guerra perché vuole abilitare un suo discepolo in vista di seguenti concorsi. Laroma Jezzi, che ha un curriculum superiore, poteva compromettere l’operazione e dunque era stato eliminato. “Io non ho capito la tua scelta di restare dopo che ti era stato dato il messaggio di ritirarti — dice Fransoni — cioè se uno ti dà il messaggio il motivo c’era, una consapevolezza di com’era orientata la commissione“.
La sintesi di Russo è infine magistrale: “Non è che si dice è bravo o non è bravo. No, si fa: questo è mio, questo è tuo, questo è tuo, questo è coso, questo deve andare avanti per cui…“. Per la cronaca, dopo ricorso al Tar Laroma Jezzi ha però vinto e ora è abilitato come associato.
Gli accordi corruttivi e le misure cautelari
L’inchiesta ruota dunque intorno a questi “sistematici accordi corruttivi tra professori di diritto tributario finalizzati a rilasciare le abilitazioni all’insegnamento secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori, con valutazioni non basate su criteri meritocratici bensì orientate a soddisfare interessi personali, professionali o associativi”, come scrive la procura.
Per questo la Guardia di Finanza ha eseguito lunedì 25 settembre 29 misure cautelari a carico di altrettanti docenti universitari di diritto tributario in tutto il Paese: sette di loro sono finiti agli arresti domiciliari (il Fransoni citato prima, tributarista dello studio Russo di Firenze e professore a Foggia, Fabrizio Amatucci, Napoli, Giuseppe Zizzo, ateneo Carlo Cattaneo di Castellanza (Varese), Alessandro Giovannini, Siena, Giuseppe Maria Cipolla, Cassino, Adriano Di Pietro, Bologna, Valerio Ficari, ordinario a Sassari e supplente a Tor Vergata a Roma), 22 sono stati interdetti dall’insegnamento per 12 mesi. Gli indagati per corruzione sono complessivamente 59 e fra loro c’è l’ex ministro Augusto Fantozzi, pure commissario straordinario di Alitalia dal 2008 al 2011.
Cambiare prospettiva
Si parla di diritto tributario, un piccolo ma arroccatissimo feudo – come ce ne sono ancora troppi, specie nel mondo del diritto – che tuttavia sarebbe scorretto ergere a esempio dell’intero organismo universitario.
La notizia di ieri, infatti, non è del tutto negativa. O meglio, va inquadrata secondo un’altra prospettiva. Lo è ovviamente nella misura in cui manifesta un’incancrenita tendenza all’italiana a truccare i concorsi, a qualsiasi livello questi si pongano (il che, ma questo è un altro discorso, dimostra che i concorsi stessi andrebbero aboliti e il sistema rifondato sulla base dell’erogazione dei finanziamenti rispetto a produzione scientifica, risultati e trasparenza).
Le cose stanno però migliorando e la meritocrazia si fa strada, seppure fra mille difficoltà. Resistono appunto dei territori impermeabili alla trasparenza, come quello del diritto tributario e i settori in cui l’attività accademica si mescola con quella professionale, come medicina e architettura. Quelli in cui le attività professionali dei docenti sono meno rilevanti o nulle, dunque più concentrati sulla ricerca pura, sono invece molto internazionalizzati. In quegli ambiti – lo abbiamo chiesto a un paio di docenti universitari che hanno preferito rimanere anonimi – questi meccanismi stanno funzionando.
Secondo molti osservatori L’abilitazione, insieme a valutazione della ricerca e internazionalizzazione, ha fatto bene alla trasparenza e all’abbattimento dei baronati negli atenei
Che cos’è l’Abilitazione scientifica nazionale
C’è poi da aggiungere che l’Abilitazione scientifica nazionale non è di fatto un concorso né riguarda direttamente l’insegnamento. È, come dice la parola, un’abilitazione che dura sei anni e che dà l’opportunità di partecipare ai concorsi come professore associato. Se non si partecipa o non se ne vince uno va rinnovata. Senza contare che nelle università italiane si può insegnare perfino senza abilitazione e senza essere ricercatori, certo fuori dal percorso di una carriera ordinaria.
L’abilitazione scientifica funziona
Secondo molti osservatori quella procedura, insieme alla valutazione della ricerca e all’internazionalizzazione, nel complesso ha fatto bene alla trasparenza e all’abbattimento dei baronati negli atenei. Si tratta d’altronde di un’idoneità scientifica che consente l’accesso alle prove che mettono in palio le cattedre: un filtro ulteriore che prima non esisteva e che stabilisce una soglia minima di spessore scientifico sotto la quale non si può scendere. Lo fa con procedure pubbliche, anche quelle da migliorare (c’è un sorteggio nazionale per la composizione delle commissioni valutatrici) che tuttavia, questo il punto, hanno costretto i baroni a esporsi ancor più di quanto facessero in passato, mettendoli all’angolo. E finendo impelagati – certo grazie al coraggio di chi denuncia – in inchieste simili a quella di Firenze.
Come si capisce, infatti, i docenti indagati sono stati costretti ad agire d’anticipo, cercando di eliminare dal terreno dell’abilitazione eventuali concorrenti di valore che, in concorsi seguenti, avrebbero potuto superare i propri eletti. Proprio come Laroma Jezzi.
Per questo occorre riflettere con competenza sull’Asn e in generale su un sistema che ha sparigliato almeno in parte le carte. Valutazione e abilitazione sono elementi essenziali per il benessere universitario e le indagini dimostrano la loro utilità. Bisogna resistere alla tentazione di buttare il bambino con l’acqua sporca, difendere e migliorare quella pratica, per esempio nella composizione delle commissioni. Senza tornare indietro sull’onda di un’indistinta indignazione cronachistica.