Intervista al founder di IQUII Fabio Lalli che racconta la storia della sua azienda, la decisione di vendere e conferma a StartupItalia.eu il valore dell’operazione. La decisione di allontanarsi 3 anni fa dalla community e di concentrarsi sul prodotto. E sulla startup scene italiana dice: “l’hype oramai è finito”.
Un’exit, a suo modo. La multinazionale Be ha ufficializzato lunedì 11 l’acquisizione del 51% di IQUII, società di consulenza fondata nel 2011 da Fabio e Mirko Lalli, 38 e 36 anni. 400 mila euro il valore delle quote acquisite. Fabio, oltre ad essere il founder dell’azienda, è stato uno degli attori pi attivi della startup scene romana e italiana. La community Indigeni Digitali, forse, una delle sue milestone principali, insieme all’aver guidato Working Capital Roma fino al 2014. Prima di fondare la sua società. IQUII. Focalizzandosi prima sullo sviluppo di applicativi mobile. E poi estendendo il gruppo di lavoro e le competenze per posizionare meglio l’offerta integrando la strategia digital, il design e lo sviluppo di soluzioni software. Risultato? “Il team è cresciuto da 2 persone a 17 in 5 anni. La crescita è stata anno su anno piuttosto lineare e solida dal punto di vista del fatturato e della marginalità. Crescere, senza esagerare ma per rendere il modello sostenibile: questo è stato il nostro motto per anni”, spiega Fabio Lalli. Che ci racconta e perché ha deciso di vendere la maggioranza della sua azienda, e come è cambiato a suo modo di vedere l’ecosistema italiano delle startup, dove c’è “meno hype, più prodotto”.
Partiamo dalla fine: l’exit. Perché avete deciso di vendere il 51% di IQUII?
“Scegliere di vendere non è una scelta che si fa da soli. Se c’è qualcuno che vende vuol dire che c’è chi compra, oppure se c’è qualcuno che compra, vuol dire che c’è chi è intenzionato a vendere. Poi nella giostra delle trattative e delle valutazioni ognuno mette sul tavolo le proprie condizioni, il proprio valore e la visione del futuro. Se ne parla e si discute finché non si arriva a condividere un piano che diventa win-win e che porterà il progetto all’obiettivo per il quale è nato. Noi siamo una società di consulenza, una boutique quasi, come la definiscono i miei ragazzi e dopo 5 anni di crescita e validazione di un modello di sviluppo che abbiamo creato, abbiamo sentito l’esigenza di consolidare e crescere più velocemente per mettere alla prova IQUII su una scala più grande. Dopo aver ricevuto più proposte di acquisizione, abbiamo trovato una società con valori come i nostri, intenzionata a crescere nel mondo delle tecnologie digitali, in particolare Mobile e IOT, come noi e che ci ha dato fiducia. Loro possono puntare su noi e noi su di loro per poter raggiungere un livello di qualità, competenze e crescita come ci aspettiamo”.
Cambiando prospettiva: Perché secondo te Be vi ha comprati?
“Come dicevo si tratta di intenti, visione e opportunità. Il gruppo Be si sta sviluppando molto in Italia ed in Europa e sta estendendo le proprie competenze e la propria offerta per rafforzare il posizionamento nella rivoluzione digitale. Questa acquisizione permetterà a Be di convogliare su un player specializzato, IQUII, tutte le attività di sviluppo in ambito digitale (web e mobile) richieste dai propri clienti. Io e mio fratello continueremo a mantenere il governo operativo e la strategia della società”.
In un’intervista hai detto che la vita di un founder è un continuo pivot: come è cambiata Iquii dalla sua fondazione?
“E’ il mio mantra: life is a continuous pivoting. Non c’è nulla di definito e non c’è un punto di arrivo per nulla. Ogni punto di arrivo è un punto di partenza, per tutti e per tutto. Bisogna prendere consapevolezza di questo e a quel punto ci si rende conto che, vista anche la velocità del mercato ed il contesto variabile, la vita privata o quella di un imprenditore, è un pivot continuo, giorno dopo giorno. Se IQUII è cambiata? IQUII è cambiata molto nella modalità operativa e anche nel metodo in questi anni, ma non nella visione: noi abbiamo sempre detto di voler diventare una piccola Google italiana, con un modello sostenibile e dimostrare che in Italia impresa si può fare. Siamo partiti con un modello di competenze basate su network, ossia bravi professionisti distribuiti a rete. Poi siamo passati ad un modello a gruppi di lavoro delocalizzati, così da avere team ridondanti. Poi, infine, in contro tendenza, abbiamo cominciato ad assumere e centralizzare il team perché abbiamo sempre creduto nella forza, compatta e aggregata, di un team. Come vedi il cambiamento c’è stato e questo che ti ho detto non è l’unico: abbiamo cambiato il logo e l’identità, abbiamo cambiato la focalizzazione di alcune attività, abbiamo creato dei prodotti, abbiamo cambiato sedi, sono cambiate molte persone e sono cambiati i clienti, le loro esigenze e di conseguenza le nostre competenze. Un cambiamento continuo che si fronteggia solo con una forte capacità adattativa del team e della società stessa”.
Vendere un’azienda per un founder a volte è una grande notizia, a volte c’è un po’ di tristezza velata. Voi come vivete questo momento?
“Vendere è sempre complesso, credo sia qualcosa a cui ti abitui solo con gli anni e dopo tante esperienze. Forse. Mi hanno sempre definito un imprenditore romantico per i modo con cui, insieme a Mirko, ho affrontato le decisioni ed il percorso. Mi ci sento in questa definizione: per me la sensazione è stata quella del distacco di un figlio (e ho due figli, da cui non vorrei mai staccarmi): in pratica hai dato vita al progetto, lo hai cresciuto e ci hai investito tante energie, notti e tempo, a discapito di tanto, e poi lo vedi andare via, da un giorno all’altro. La verità è che dopo i primi giorni di valutazione, questa sensazione si è alleggerita: un’impresa è qualcosa che deve seguire il suo sviluppo ed il suo percorso. Se decidi di fare l’imprenditore devi sapere anche questo. Se avessimo deciso di pancia o per ego, solo per poter dire “è tutta nostra” avremmo scelto in modo sbagliato, non da imprenditori. L’azienda ha bisogno di svilupparsi e ci sono momenti in cui il mercato, le dinamiche e ed il contesto che ti circondano diventano dei limiti oltre i quali non puoi andare per raggiungere gli obiettivi, allora devi prendere anche scelte che apparentemente sembrano fredde e distaccate, ma che in verità sono quelle più coraggiose e difficili, e che danno l’idea di quanto sia complesso fare l’imprenditore. Siamo felici che IQUII ed il team possano crescere ancora di più nei prossimi anni, ed il nostro modello svilupparsi su dimensioni maggiori.
SCHEDA: Cosa fa la multinazionale Be e perché ha comprato IQUII per 400 mila euro
Cosa succederà adesso a Iquii e alle persone che ci lavorano?
“Questa è una domanda a trabocchetto? Vuoi sapere se le persone verranno spostate in altre città e se il brand verrà tolto come successo in altri progetti acquisiti da grandi player? Non ne vedo il motivo per adesso. IQUII funziona bene, ha un brand riconoscibile e continuerà con il suo nome per i prossimi anni e le persone lavoreranno per perseguire gli stessi obiettivi, su una scala più grande, all’interno di una azienda più grande. Il gruppo, a cui ci siamo uniti, permetterà alla nostra società di crescere e veicolerà su di essa i progetti su cui è richiesta questa competenza specifica che abbiamo maturato in questi anni. Il team di IQUII si svilupperà ancora e crescerà integrando altri talenti come abbiamo fatto fino ad oggi. Io e mio fratello continueremo la guida per portarla ad uno stadio evolutivo maggiore. Semplicemente oggi possiamo pensare un po’ più in grande”.
Sei stato promotore di diversi progetti in questi anni. Followgram, Indigeni Digitali, solo per citarne alcuni. Che bilancio fai di queste esperienze e a cosa ti sono serviti?
“Tutte queste sono state tante milestone di un percorso professionale che mi ha permesso e ci ha permesso, visto che c’è sempre stato mio fratello e parte del team con me, di maturare le esperienze giuste per poter affrontare lo step successivo. Mi piace circondarmi di persone positive che condividono i nostri obiettivi e la nostra visione di lungo termine, ma soprattutto persone che hanno “un difetto non difetto” ossia amano – ad ogni punto di un percorso – alzare asticella per la prossima fase. Il bilancio quindi non può che esser positivo. Indigeni mi ha fatto conoscere e connettere persone in ogni angolo di Italia. Le persone mi hanno permesso di estendere la mia rete di contatti e le mie competenze. Le competenze le abbiamo messe in gioco di volta in volta sui progetti, fino ad arrivare ad oggi. E questo non è altro che un altro punto di un percorso che ci sta dando altra esperienza”.
La tua presenza online è cambiata un po’ negli ultimi anni. E’ sbagliato pensare che hai deciso di dedicarti meno alla comunicazione, agli eventi, preferendo concentrarti sul prodotto?
“La mia presenza si è ridotta per più motivi: il primo è professionale e riguarda la focalizzazione. Se vuoi far correre qualcosa, devi spingerla come si deve e per farlo devi esser concentrato e con le forze al 100%. Quando è nata IQUII ho deciso di tagliare via le cose che non erano funzionali alla crescita della mia azienda. Di conseguenza (e qui il secondo motivo) se vuoi equilibrare il tempo da dedicare ad impresa e famiglia, a qualcosa devi rinunciare. Per cui meno eventi (se non quelli realmente utili), meno momenti di perdita di tempo e discussioni futili in rete e soprattutto meno obiettivi ma meglio focalizzati e misurabili”.
Sei stato uno dei primi attori dell’ecosistema delle startup romane e vivi dagli inizi la scena delle startup italiane. Ti chiedo una fotografia: cosa è cambiato in questi anni?
“Sono passati 3 anni da quando mi sono distaccato quasi del tutto da questi temi. Ho seguito, quando potevo, da lurker (attore di una comunità virtuale, ndr). La scena delle startup in Italia si è sicuramente sviluppata ed il numero di investimenti crescenti ne è l’indicatore. Roma di suo, per quello che ho visto e letto, ha cominciato un percorso interessante e che vede più player organizzati e che, mi sembra, non stiano facendo male. Nel mio piccolo in questi ultimi due anni ho seguito 3 progetti da vicino, di cui uno è attualmente in una sorta di “accelerazione” nella mia azienda. Ho poi fatto da mentor a parecchi ragazzi che che me lo hanno chiesto e ai quali ho voluto dedicare tempo, come negli anni altri imprenditori hanno fatto con me. Cosa è cambiato? Sicuramente è passato l’hype delle startup (o almeno è nella fase finale) e si sta cominciando ad affrontare il senso di questa parola con maggiore senso e serietà”.
Da founder ti troverai a fare il manager di una multinazionale quotata, come cambierà adesso la vita di a Fabio Lalli?
“La verità è che per me questo è quasi un ritorno al passato. Io vengo da 11 anni di società di consulenza e system integrator: me ne sono andato da manager, da un giorno all’altro, per sviluppare la mia idea e seguire la mia indole da imprenditore. Adesso ritorno in un grande gruppo, per continuare a crescere. Sarò l’amministratore della società, con le mie quote fino alla prossima milestone e ho l’obiettivo di farla diventare una società ancora grande e di cui andrò (andremo) fieri. Il bello deve ancora venire, questo è solo un altro step avanti”.
Arcangelo Rociola
@arcamasilum