Un milione di posti di lavoro. Persi. È uno degli effetti che avrebbe l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea secondo uno studio Cbi-Pwc. Un impatto che potrebbe colpire anche il fintech britannico. Anche se Londra continuerà a essere uno dei poli più attrattivi al mondo.
100 miliardi di sterline
Lo studio analizza diversi scenari. In caso di addio all’Ue, l’orizzonte si colora di sfumature che vanno dal grigio scuro al nero. Entro il 2020, il prodotto interno lordo sarebbe tra il 3% e il 5% più basso rispetto alle attuali proiezioni. Traducendo percentuali e incertezza in moneta, significa una perdita secca di 55-100 miliardi di sterline. Circa 70-130 miliardi di euro.
E se l’economia rallenta, a rimetterci è il lavoro: la disoccupazione, oggi poco superiore al 5%, dovrebbe aumentare. Dell’1,7% nel migliore dei casi e del 2,9% nel peggiore. Cioè 950 mila posti di lavoro. Nelle tasche delle famiglie significherebbero 3700 sterline (4725 euro) in meno da qui al 2020. Più di 740 sterline all’anno perse.
E questo solo per rimanere “al breve termine”. Guardando più in là, la flessione si attenua. Ma il rosso resta: nel 2030, il calo del prodotto interno lordo sarebbe compreso tra l’1,2% e il 3,5% (tra i 25 e 65 miliardi di sterline).
Lo stesso report ammette che si tratta di cifre “indicative”, utili sopratutto a quantificare “la magnitudo dell’impatto” che la Brexit potrebbe avere e a “stimolare il dibattito”. Il direttore generale di Cbi, Carolyn Fairbairn, sottolinea comunque che «l’analisi mostra molto chiaramente perché lasciare l’Unione europea sarebbe un duro colpo per gli standard di vita, il lavoro e la crescita» del Regno Unito. È sempre una questione di pesi e contrappesi. «I risparmi derivanti dai minori contributi al budget dell’Ue» e dai paletti europei «sono di gran lunga superati dall’impatto negativo su scambi commerciali e investimenti”. Si tratta “nel migliore dei casi di un shock per l’economia UK».
Brexit: le voci del bilancio
Il report sintetizza perché la Brexit potrebbe costare 100 miliardi.
Incertezza – Se il referendum andasse a segno, si aprirebbe un periodo di almeno due anni prima che i rapporti commerciali tra Uk e Ue vengano chiariti. Un limbo rischioso, anche perché esisterebbe in un contesto nel quale altri Paesi guarderanno all’uscita dall’Ue come a una prospettiva concreta. L’incertezza non sarebbe solo regolatoria ma anche politica.
Investimenti – L’appartenenza all’Ue consente al Regno Unito di esportare verso gli altri Paesi europei (il principale mercato per l’export britannico) senza tariffe aggiuntive. Le barriere commerciali potrebbero avere un impatto notevole sulla (già pendente) bilancia commerciale inglese.
Lavoro – La libertà di movimento non riguarda solo i capitali ma anche le persone. Per Uk potrebbe significare un calo della forza lavoro proveniente dall’estero (che oggi pesa per il 6%).
Regole – Senza l’Unione europea, la Gran Bretagna si liberebbe di alcuni lacci. In teoria, un processo di deregolamentazione potrebbe comportare un risparmio. Ma si tratta, secondo Pwc, di cifre “limitate”, soprattuto se confrontati con i vantaggi (anche economici) di alcune regole.
Contributi europei – Ogni Paese membro deve contribuire al budget europeo. Il Regno Unito lo ha fatto, dal 2010 al 2015, con 16,8 miliardi di sterline. Nello stesso tempo, però, ha anche ricevuto risorse, che portano il passivo netto a 8,8 miliardi. Non sborsare la propria quota nelle casse Ue è un risparmio. Da pesare però con i miliardi che, senza (o con meno) fondi europei, dovranno essere messi sul tavolo da Londra.
Cosa accadrebbe al fintech
Pwc tenta di tratteggiare anche l’impatto che la Brexit potrebbe avere sul fintech, uno dei settori più in vista di Londra (e non solo). Come per il resto delle imprese, si è ipotizzato anche per quelle del fintech un trasferimento di sede, in Paesi dove il fisco conviene (come il Lussemburgo), o verso altri hub già maturi: Berlino per restare in Europa, oppure Hong Kong e Silicon Valley.
L’ipotesi della Brexit, si legge in un articolo di Pwc, “è un problema che ogni impresa prudente dovrebbe porsi”. Nel breve periodo, “la principale minaccia per l’industria del fintech è l’incertezza”. L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea è un’eventualità senza precedenti. E, come tale, è poco prevedibile. Di certo, la Gran Bretagna dovrebbe affrontare un periodo di riorganizzazione, per ricostruire un quadro che oggi si regge sulle regole europee. Le piccole startup del fintech, che già si trovano ad affrontare “grandi sfide” finanziarie e tecnologiche, “dovranno far fronte anche ai cambiamenti del sistema legale e regolatorio”. E non è detto che il processo sia semplice. Lo studio di Cbi fissa la fine del periodo dell’incertezza post-brexit nel 2030.
Tuttavia, qualsiasi sia il risultato del referendum, nel lungo periodo “Londra resterà un luogo eccellente per lavorare e soprattutto per fare business” nel fintech.
Al contrario di quanto avviene in altri settori, la superiorità dell’hub londinese è tale da spingere Pwc all’ottimismo. In sostanza, al netto della Brexit, i vantaggi dell’ecosistema inglese pesano più degli inconvenienti. Merito della capacità di attrarre talenti, di un sistema regolatorio favorevole (che continuerà ad esserlo) e di un mercato domestico dei capitali ricco.
Paolo Fiore
@paolofiore