«Non ho cercato il payment, e lui ad aver trovato me» , racconta Guillaume Pousaz, il Ceo di Checkout.com, la fintech che, grazie a un mega round di 450 milioni di dollari, è salita sul podio degli unicorni in Europa, con una valutazione di 15 miliardi di dollari.
Svizzera, Los Angeles, Mauritius, Dubai e poi Londra, sono solo alcuni dei posti che fanno da scenario alle peripezie di Guillaume, un geek nato in Svizzera con la passione dei fumetti e del surf, che aspira a una “grigia carriera bancaria”, quando le onde della vita lo portano da tutt’un’altra parte.
La storia (sua) e della startup nata nel 2012 è la prova tangibile della celebre frase del fondatore di Linkedin, Reid Hoffman, “fare una startup è buttarsi da un grattacielo e costruire un paracadute mentre si è in volo”.
Scappa per surfare e (trovare se stesso)
Guillaume trascorre la prima parte della sua vita a Losanna, dove studia ingegneria informatica, prima di lasciare l’università. Ci sono dei momenti in cui la vita di una persona subisce una vera rivoluzione, per Guillaume che sogna una carriera bancaria, la malattia del padre, che si ammala di un cancro al pancreas, è uno di questi.
Comprende quanto la vita sia un meccanismo fragile e decide di viverla a pieno, inseguendo i suoi sogni. Ha un po’ di risparmi e decide di scappare via dalla fredda Losanna per la California. Giunto in America, tra una surfata e l’altra, decide che è il momento di affrontare la realtà. E allora trova un lavoro, per puro caso, in un’azienda di payment, la International Payment Consultants: «Lavoravo tanto, 80 ore a settimana e ho dovuto imparare tutto sull’industria del payment, partendo da zero».
Guillaume comprende tutte le potenzialità del settore e dopo due anni, decide di lasciare il lavoro da dipendente per mettersi in proprio con un collega di International Payment. Insieme creano NetMerchant, nel 2007, una sorta di Transferwise, che aiuta i trasferimenti tra valute di diversi Paesi. Le cose, tuttavia, non vanno nel verso giusto. Le visioni diverse sul futuro dell’azienda tra lui e il socio portano alla rottura.
Compra una startup alle Mauritius
Con i soldi che ha guadagnato avrebbe potuto comprarsi una macchina e pagare il mutuo (e ci ha pensato seriamente per un momento). Invece, sceglie di comprare una startup per costruire una piattaforma di payment nel 2009. Googlando, trova una startup di 10 persone che sta costruendo quello che lui cerca, hanno la tecnologia e hanno dimistichezza con le leggi che disciplinano il settore, ma non hanno alcuna idea su come migliorare la user experience, quella che non manca a lui dopo anni di esperienza a contatto con i clienti, soprattutto nel B2B.
«Ho detto loro, voi avete saputo costruire un portale completo di payment, ma io so come guidare il business. Se voi mi date il codice, io vi garantisco lo stipendio per tre anni». L’affare è fatto. La startup vive un’operazione di rebranding, diventando Checkout nel 2012.
La vision di Guillaume e del team è semplice: creare un’azienda di payment che usa una sua tecnologia proprietaria, invece di dover appoggiarsi a soluzioni terze. Dopo aver ottenuto la licenza da FCA, dalla Financial Conduct Authority britannica, trasferisce la sua azienda a Londra e nei primi anni lavora per aggiungere il tassello mancante alla tecnologia, una soluzione per elaborare i pagamenti.
I primi anni sono molto complessi: «Nessuno voleva lavorare con noi. Penso perché non avevamo raccolto ancora soldi e non avevamo abbastanza soldi». Per trovare clienti, si trasferisce a Dubai con sua moglie e i suoi figli (oggi ne ha due). A Dubai trova una prima grande opportunità: Deliveroo, celebre startup del food delivery, decide di usare i suoi servizi. Una breccia che si allarga man mano, con altri big che seguono, come Transferwise, Virgin, Adidas, Samsung ecc.
I mega round
Malgrado i buoni risultati, Checkout impiega anni ad entrare nel radar dei grossi investitori. Nel 2019, arriva un primo mega raccolta: 230 milioni di dollari in un round di serie A, guidata da Insight Partner e DST Global, che di fatto ha fatto entrare la startup nell’olimpo degli unicorni europei, che oggi domina. Il round del 2019 premia la crescita della fintech, che dal 2017 al 2020 ha triplicato il volume delle sue transazioni, passando in un anno da 74,8 milioni di ricavi a 146 millioni (dati CNBC).
Nel 2020 poi si consolida la fiducia degli investitori nel progetto di Guillaume, un nuovo round di 150 milioni di dollari che vede entrare Coatue, il fondo che ha sostenuto anche ByteDance, la proprietaria di TikTok.
Fino a giungere alla scorsa settimana con il mega round da 450 milioni di dollari guidato da Tiger Global Management che di investimenti in payment ne ha già fatti diversi, come quello in Stripe, tra i maggiori player mondiali della finanza tecnologica.
Una scalata in due anni che rafforza i numeri della startup (che oggi ha mille dipendenti in cinque continenti) e che premia gli sforzi incredibili di Guillaume che ha avuto un routine al limite dell’umano, come racconta su Forbes. Dal lunedì al venerdì vive a Londra, mentre nel weekend vola verso Dubai, dove ha la sua famiglia: «Mia moglie ha paura che se continuo così farò la fine del povero Steve Jobs, confida al giornale di business americano.
Checkout: i motivi del successo
Interrogato sui motivi del successo della sua soluzione in un mercato dove compete con player come Stripe o come l’olandese Ayden, restando in Europa, senza contare il sempre presente PayPal, Guillaume spiega che l’azienda ha voluto ritagliarsi una nicchia nel B2B, “essendo un partner silenzioso e affidabile per i business che vendono online: “I business hanno una relazione di amore/odio verso PayPal perché nelle sue politiche favorisce più i consumatori che gli imprenditori. Noi abbiamo scelto di focalizzarci sul B2B e siamo felici di averlo fatto».
Checkout ha costruito il suo successo su una piattaforma unificata, un’unica API che permette alle aziende di accettare pagamenti in tutto il mondo, e non solo. La sua soluzione integra anche altre funzionalità come un software di filtraggio antifrode e anche varie funzionalità di reporting.