Stanca di fare la coda dietro alle altre potenze, la Cina si fa la sua banca mondiale e l’Italia aderisce al progetto. Gli affari italiani con il Paese del Sol levante si fanno, infatti, sempre più intensi e sostanziosi (qui avevamo parlato dell’incontro fra Matteo Renzi e Jack Ma di Alibaba), con non troppa buona pace degli Stati Uniti. Ma ad aver fatto arrabbiare di più negli ultimi giorni il presidente Usa, Barack Obama, è stata la Gran Bretagna che ospiterà la sede europea della Banca d’investimenti per le infrastrutture in Asia (Aiib). Questo il nome della istituto lanciato e guidato dalla Cina per sfidare la banca mondiale a guida statunitense e l’Asian Development Bank nipponica.
“Aiib”, di cosa si tratta?
La ‘dote’ del nuovo istituto di credito internazionale – che come spiega China Files è nata a ottobre 2014, ma era stata annunciata dal presidente Xi Jinping esattamente un anno prima – è di cinquanta miliardi di dollari, una cifra di tutto rispetto che potrebbe farlo diventare un potenziale rivale della Banca Mondiale e della Asian Development Bank. La nuova banca servirà soprattutto a investire sulle grandi opere. Infrastrutture fisiche (collegamenti, strade e ferrovie) virtuali (rete internet veloce) ed energetiche (gasdotti e oleodotti). Proprio questo argomento ha convinto i primi 20 Paesi – tutti asiatici – che hanno aderito all’iniziativa, tra cui Mongolia, Uzbekistan, Kazakistan, Sri Lanka, Pakistan, Nepal, Bangladesh, Oman, Kuwait, Qatar e l’associazione dei paesi del sud est asiatico, esclusa l’Indonesia. Anche la Corea del Sud ha rotto recentemente gli indugi, decidendo di essere tra i soci fondatori dell’Aiib.
La Cina ha riferito ai paesi interessati che si augura di raggiungere presto una capitalizzazione di 100 miliardi di dollari, con cui arriverebbe già ai due terzi dell’Asian Development Bank, ritenuta da Pechino troppo influenzata da Stati Uniti e Giappone.
Il primo obiettivo sarà la nuova Via della Seta, con un collegamento ferroviario diretto fra Pechino e Baghdad. Le adesioni però non hanno confermato le attese- riporta il Financial Times – visto che i grandi paesi hanno snobbato l’iniziativa, con l’eccezione dell’India. La Cina ha detto ai paesi interessati che si augura di raggiungere presto una capitalizzazione di 100 miliardi di dollari, con i quali sarebbe già a due terzi dell’Asian Development Bank, ritenuta da Pechino troppo influenzata da Stati Uniti e Giappone.
La partecipazione europea
Dei giorni scorsi la notizia che anche l’Italia, la Francia e a Germania sosterranno il progetto di Pechino, e che a breve potrebbe aggiungersi anche l’Australia, nonostante le pressioni contrarie esercitate da Washington. Il fatto che la sede europea dell’Aiib sarà aperta a Londra, conferma il ruolo di capofila ricoperto dal Regno Unito, lo stesso che ha convinto gli altri Paesi europei e che ha fatto accelerare il processo di adesione australiano. “È il primo caso in cui il Regno Unito segna una strada e l’Europa la segue – ha spiegato all’Ansa il politico britannico ed ex commissario Ue per il Commercio internazionale Peter Mandelson – Penso che la nuova istituzione possa convivere con la Banca Mondiale, e che la reazione degli Usa sia esagerata. Se è vero che le attuali Istituzioni vadano aggiornate, nulla esclude che ne vengano create di nuove e più adatte ai tempi”.
L’impegno italiano nell’Aiib
Secondo quanto dichiarato dal presidente di Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini, durante un’audizione alla Camera, il governo italiano “metterà poco più di un chip, un valore simbolico più che rilevante rispetto alle risorse del bilancio italiano”, nella Asian Infrastructure Investment Bank promossa dalla Cina. “Penso – ha aggiunto Bassanini – che la partecipazione decisa dai maggiori governi europei sia importante”, perché “può favorire un’attrazione di investimenti dal paese che ha le maggiori risorse disponibili”. In tutto questo, i rapporti economici fra Italia e Cina non si fermano solo alla costituzione dell’Aiib.
La reazione statunitense
Eppure, si trattato di un colpo significativo all’amministrazione Obama, che ha cercato di convincere l’Europa e non solo (con scarsi risultati) che avrebbero avuto maggiore influenza restando fuori dal progetto e premendo per standard di credito più elevati. Il Tesoro americano ha infatti espresso timori sulla governance della banca lanciata dalla Cina e sugli standard ambientali e sociali legati ai suoi prestiti.
Come però riporta China Files, il governo americano dovrebbe soprattutto riflettere sui propri comportamenti: “da anni, la Cina agisce da capofila dei Brics rivendicando più rappresentatività nelle istituzioni internazionali già esistenti, sia politiche sia finanziarie, figlie di un mondo in cui gli Usa erano la sola superpotenza e l’Occidente intercettava gran parte del Pil globale. Si scontra sempre con il rifiuto americano, nonostante Pechino abbia costantemente aumentato le proprie quote associative ai vari organismi”.