I dati del Dna di un animale digitalizzati e accoppiati al prodotto per tutto il percorso, per poter garantire sicurezza a chi vende e chi compra
Utilizzare il meccanismo della Blockchain per garantire l’origine (e dunque l’originalità) dei prodotti alimentari. Questa la proposta che si sta facendo piede e che Sean Crossey, analista di Arc-Net, piattaforma di analisi applicate alle supply chain, ha illustrato su Nasdaq. Servirebbe a implementare un sistema di tracciabilità e di verifica reciproca in grado di superare scandali come quello sulle lasagne farcite con carne di cavallo (di dubbia origine) anziché bovina risalente al 2013.
Il declino della fiducia
D’altronde, prima di quelle indagini – la cui prima condanna arrivò un paio di anni dopo – la fiducia dei consumatori era granitica: si fidavano degli acquisti al supermercato nove persone su dieci. Dopo, il livello è crollato almeno di un quarto. Dando per giunta il via, ben più degli studi dell’Organizzazione mondiale della sanità, al declino degli acquisti di carne processata, crollati del 30%. Carne a parte, secondo un’indagine del Guardian il 38% dei cibi venduti nei supermarket sfoggia un qualche tipo di mancanza o problematica, dall’etichettatura alla falsificazione – che costa 40 miliardi di dollari nel mondo, ma probabilmente molto di più.
Come funziona la Blockchain col cibo
La Blockchain è sinonimo di apertura e trasparenza. Ecco perché questo libro mastro condiviso potrebbe tornare utile anche nella supply chain alimentare internazionale. Nel caso di prodotti animali, campioni di Dna da un singolo animale potrebbero costituire il punto di partenza, per esempio per stabilire il Paese di origine. Una copia digitale di queste informazioni dovrebbe essere collegata a ogni oggetto o prodotto realizzato a partire da quel capo, così da portare la tracciabilità al massimo livello (non il lotto, dunque, ma la singola confezione). La Blockchain entrerebbe in ballo al momento della verifica, da effettuare in qualsiasi momento, per assicurare l’autenticità del prodotto. Una sorta di catena di custodia che per i prodotti non animali potrebbe far leva su altri elementi di partenza presenti nella materia prima. Così, una volta che il cibo finisce sugli scaffali, il consumatore può scansionare un QR code sulla confezione e avere certezza del prodotto e della provenienza. “Un processo che aiuta le aziende a prevenire le frodi e al contempo a generare la massima tracciabilità – ha spiegato Crossey – i rivenditori possono così garantire l’originalità dei loro prodotti”.