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Se da un lato Desi ci condanna (l’Italia è ultima nelle competenze e quintultima nella classifica generale Ue della digitalizzazione), dall’altro il FNI è operativo e il Paese sta spingendo l’acceleratore su strumenti a sostegno di startup e innovazione. Possiamo correre più veloce, ecco come
La Smart Nation Italia di cui si parla diffusamente da tutto il 2019 inizia a prendere forma sulle ceneri dei danni lasciate dal Covid-19, che ha accelerato molte dinamiche che prima languivano. Una fra tutte, la digitalizzazione dei processi di lavoro e di molte dinamiche della vita quotidiana, evidenziando che, in Italia, queste competenze le possiedono le startup. Ma le startup sono entità a elevata intensità di ricerca: dunque tipicamente bruciano cassa prima di arrivare a un risultato e al break-even. Non è un caso dunque che nel mondo il 40% sia in bilico e abbia risorse per affrontare al massimo un trimestre.
Diventa allora quanto mai necessario garantire a queste imprese che creano innovazione, ricchezza e occupazione, fondi per sopravvivere. E in questo frangente, in Italia diventa ufficialmente operativo, dopo una lunga gestazione e molte proroghe, il Fondo Nazionale Innovazione.
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Il piano industriale è stato approvato da Cdp Venture Capital a tutto il 2022 e del miliardo di euro di fondi in dotazione, 800 milioni già sono sul tavolo, allocati in misura paritetica da Mise e Cdp Equity. L’obiettivo è, come ha dichiarato l’AD di Cdp, sovvenzionare mille start-up nell’orizzonte del piano (delle circa 11mila presenti nel Registro delle Imprese italiane). Un piano dunque imponente e che ora andrà avanti veloce: investimenti per oltre 250 milioni potrebbero essere deliberati entro fine anno.
Di fondamentale rilevanza è il fatto che il Fondo Innovazione è in realtà un ombrello sotto il quale saranno lanciati diversi fondi, di cui quattro sono già attivi: Italia Venture I con 80 milioni di euro di capienza e Italia Venture II – Imprese Sud (che vale 150 milioni), dedicati a startup e pmi innovative; VenturItaly, un fondo di fondi con 300 milioni da investire in fondi VC, e il Fondo Acceleratori che dispone di 125 milioni per programmi verticali su settori strategici. Inoltre, il Decreto Rilancio ne ha introdotti almeno altri tre: il Fondo CVC e il Tech Transfer uno dedicato all’innovazione in settori strategici per il Paese, il secondo al trasferimento tecnologico. Entrambi avranno una dotazione di 150 milioni e partirà entro fine anno, mentre nel 2021 sarà la volta di Late Stage, per finanziare con 100 milioni anche le scaleup.
Insomma, il sogno di una Smart Nation Italia potrebbe diventare finalmente realtà. Perché il FNI potrebbe funzionare da boost per un comparto, quello del Venture Capital, che aveva trovato una sua traiettoria di crescita, ma che doveva ancora raggiungere i livelli del contesto internazionale ed europeo.
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Il Fondo, fin dalla sua creazione, aveva infatti l’obiettivo di “riunire e moltiplicare risorse pubbliche e private dedicate al tema strategico dell’innovazione”, operando esclusivamente attraverso metodologie di Venture Capital, che il governo stesso definisce “lo strumento finanziario elettivo per investimenti diretti o indiretti allo scopo di acquisire minoranze qualificate del capitale di startup, scaleup e PMI innovative. […] La selettività, flessibilità e rapidità degli investimenti sono gli elementi che consentono al VC la natura di strumento chiave di mercato per lo sviluppo dell’innovazione”.
La logica del Venture Capital è certamente la più adeguata per creare opportunità di finanziamento diffuse, e per rendere ogni investimento più efficace: perché le startup che sono già supportate dal VC sono state esaminate e passate al vaglio di un capillare processo di due diligence, essendo in qualche modo già scremate. Nel mare magnum delle nuove idee non è possibile capire, senza le competenze del VC, quali siano quelle sostenibili e quali quelle destinate a soccombere.
Il rapporto Desi
Il tema del sostegno alle imprese innovative è inevitabilmente legato al tema delle competenze digitali e della dotazione tecnologica. E in questo, purtroppo, ancora oggi l’Italia non brilla. È di giugno il nuovo aggiornamento del Desi, l’indice europeo che misura il livello di digitalizzazione dei Paesi membri: l’Italia è 24esima nella classifica generale e ultima assoluta sulle competenze. Ma ancora una volta, qualcosa era stato fatto già prima che intervenisse l’emergenza: era stato varato il Piano 2025 dal ministro per l’Innovazione Paola Pisano. Un piano che mira alla creazione di una società digitale e che richiede di indirizzare alcune sfide principali: l’accesso online ai servizi della Pubblica Amministrazione; la digitalizzazione del settore privato e pubblico; la valorizzazione delle tecnologie abilitanti in Italia, a partire dalle infrastrutture, per rendere più moderni e efficienti i settori industriali del made in Italy; e infine l’attenzione a uno sviluppo che sia inclusivo e sostenibile e che possa mirare a eliminare il digital divide. Un piano che auspichiamo venga ripreso al più presto.