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Non c’è niente come l’esperienza diretta di chi ci ha provato per immaginare come un’idea possa essere “importata”. Vale anche nel caso del sandbox fintech, uno strumento innovativo di cooperazione tra governo e attori del mercato per scrivere nuove regole adatte a normare un settore in continua e rapida evoluzione che la tecnologia sta rivoluzionando. Abbiamo intervistato David Mascarello, legal counsel di Moneyfarm, una delle più grandi società europee di gestione digitale del risparmio. Moneyfarm è una società di diritto britannico ma ha dna italiano ed è vigilata dalla FCA UK e dalla Consob italiana: il soggetto ideale per confrontare i due ordinamenti.

 

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Mascarello, parliamo di Regulatory Sandbox: cos’è in parole semplici?

Si tratta di uno strumento messo a disposizione dal Regolatore per consentire alle imprese (startup, ma anche incumbent) che operano nel settore finanziario di sviluppare prodotti e servizi innovativi sotto la supervisione dell’Autorità di Vigilanza. I soggetti ammessi a partecipare al Regulatory Sandbox possono, per un certo periodo,  – nel Regno Unito pari a 6 mesi – testare sul mercato i propri prodotti e servizi, mentre sono ancora in fase beta. Nella fase di test, l’offerta è soggetta a delle limitazioni: ad esempio, viene fissato un numero di clienti massimo al quale è possibile offrire il prodotto o il servizio oppure si stabilisce che lo stesso possa essere offerto soltanto a determinate fasce di clientela (investitori professionali e non retail). In questa fase, il Regolatore può altresì supportare le imprese attraverso l’emanazione di orientamenti non vincolanti o consentendo loro di derogare a linee guida o altri orientamenti emanate della stessa Autorità (ma non alle leggi nazionali, comunitarie o internazionali).

 

Come si entra nello schema in UK? 

Per entrare nello schema bisogna fare domanda alla FCA utilizzando l’apposito application form, nel quale a ciascuna impresa vengono richieste una serie di informazioni per verificare la sussistenza dei requisiti di ammissibilità. Tra i criteri che guidano la valutazione del Regolatore, i principali sono sono la “genuine innovation” e il “consumer benefit”. Il prodotto o il servizio proposto deve costituire a tutti gli effetti una novità sul mercato e deve essere in grado di apportare effettivi benefici ai consumatori, in termini di minor costi (e quindi accessibilità ed inclusione finanziari) e maggiore qualità della customer experience.

 

Come se ne esce? E’ prevista una “valutazione” dell’esperienza al termine?  Ad esempio, un report? E di che tipo?

Al termine dei sei mesi di test, le imprese devono trasmettere alla FCA un report dettagliato nel quale forniscono i risultati del test (successo dell’offerta, livello di perfezionamento del prodotto o del servizio, reclami ricevuti, potenziali impatti negativi del prodotto o del servizio a detrimento della clientela). Sulla base del report, la FCA valuta la bontà dell’esperienza e, in sostanza, decide se il prodotto o il servizio è meritevole di essere offerto al pubblico senza le limitazioni imposte durante il periodo di test, rilasciando una full license a favore dell’impresa.

 

Quanto è durata la vostra esperienza?  E qual è il bilancio complessivo? 

Moneyfarm, essendo già pienamente autorizzata a prestare i propri servizi di gestione digitale del risparmio, non ha dovuto usufruire del Regulatory Sandbox. Tuttavia, assieme ad altre 34 imprese operanti nel FinTech, siamo recentemente stati ammessi a ricevere supporto diretto dalla Advice Unit della FCA. La Advice Unit è un Innovation Hub, sempre costituito in seno al dipartimento “Innovate” della FCA che ha la funzione di fornire assistenza continuativa su richiesta alle imprese che prestano servizi di consulenza assicurativa, finanziaria e in materia di investimenti attraverso canali digitali e con modelli di business innovativi. I requisiti di ammissibilità sono analoghi a quelli che servono per accedere al Regulatory Sandbox, con un focus particolare sulla capacità dell’offerta di colmare il c.d. advice gap e dunque di raggiungere fasce di popolazione tradizionalmente escluse dal mondo dei servizi finanziari attraverso l’offerta di un servizio di qualità ma a costi più contenuti rispetto a quelli tradizionali.

 

david mascarello moneyfarm

Che tipo di interazioni ci sono state con i policy makers britannici?

L’adesione all’Advice Unit ci consente di ottenere un confronto diretto con la FCA – che è il policy maker che detta le regole di dettaglio e gli orientamenti che guidano la prestazione dei servizi di investimento – alla quale possiamo richiedere direttamente un riscontro nel caso avessimo necessità di implementare modifiche significative al nostro modello di business o ai nostri requisiti organizzativi (modifiche all’algoritmo che governa la valutazione di adeguatezza, innovazioni di prodotto suscettibili di modificare il “Regulatory Perimeter” nel quale ci muoviamo quando prestiamo il servizio di consulenza o quello di gestione di portafogli, etc.).

 

Che tipo di vantaggio ha dato all’azienda la partecipazione?

Esperienze come quelle del Regulatory Sandbox o dell’Innovation Hub danno alle imprese il vantaggio di poter sviluppare i propri prodotti e i propri servizi in uno spazio sicuro dal punto di vista della conformità alle norme e, attraverso l’interazione con il Regolatore, di comprendere meglio il quadro regolamentare applicabile alla propria offerta.

 

E al legislatore? 

Uno degli obiettivi che la FCA si è posta quando ha lanciato il Progetto Innovate nel 2014 è quello di sfruttare l’interazione con le start-up innovative per affinare i propri strumenti di soft law (policy statements e guidelines), grazie ad una comprensione più profonda dell’operatività delle imprese e della direzione verso cui le stesse si stanno muovendo. Infatti, negli ultimi anni, l’Autorità si è resa protagonista di una prolifica produzione di linee guida e orientamenti, ad esempio, in materia di consulenza automatizzata in materia di investimenti, sulle Distribution Ledger Technologies (DLT), sulle criptovalute, sui prestatori di servizi attraverso piattaforme cloud.

 

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Il sandbox è uno spazio protetto. L’esperienza è realmente predittiva di quello che è il mercato?

C’è chi ha commentato l’istituzione di una sandbox italiana dicendo che, più che di un “recinto di sabbia”, si tratterebbe di una “prigione” per le start-up che vogliono innovare. Secondo questi commentatori, far sperimentare il prodotto/servizio in una situazione irreale, del tutto scollegata dalle dinamiche in cui si andrebbe ad operare, sarebbe controproducente in quanto disincentiverebbe i venture capitalist dall’investire in queste imprese. I dati dal Regno Unito (aggiornati all’aprile 2019) suggeriscono l’opposto: nel suo report “The Impact and Effectiveness of Innovate” la FCA evidenzia che il primo gruppo di imprese che ha superato con successo la fase di test del Regulatory Sandbox (a fine 2016) ha ricevuto più di £ 135 milioni in equity funding e l’80% di queste imprese sta ancora operando sul mercato.

 

Sandbox Italia: è stato istituito nel decreto Crescita. Parteciperete? Cosa vi aspettate?

Siamo molto soddisfatti dell’iniziativa che, se non altro, ha avuto il merito di forzare le nostre Autorità di Vigilanza (Consob, IVASS, Banca d’Italia) ad organizzarsi per supportare il MEF nell’emanazione dei regolamenti ad hoc che consentiranno l’istituzione del Regulatory Sandbox all’italiana. La strada da percorrere, tuttavia, è ancora incerta e molto lunga ed è difficile fare previsioni esatte in questo momento. Ugualmente, non siamo in grado di dire se parteciperemo o meno, ma non possiamo escluderlo. D’altronde, Moneyfarm è costantemente impegnata nello sviluppo di prodotti e servizi che siano allo stesso tempo innovativi e utili al consumatore, che potrebbero richiedere, in una prima fase, un confronto con il Regolatore. Ad esempio, dopo l’esperienza positiva in UK, dove siamo stati premiati come Best SIPP Provider per il 2019, stiamo per lanciare anche in Italia il nostro primo prodotto di previdenza complementare “tricolore”. E abbiamo altro in mente.

 

L’Italia è un paese adatto al FinTech?

Qui il dato curioso è che almeno due società di diritto inglese che operano nel FinTech e che sono state ammesse ai programmi della FCA riservati alle start up innovative (Moneyfarm ed Oval Money) sono state fondate da imprenditori italiani. Quindi, se le idee non mancano, vuol dire che potenzialmente l’Italia è un Paese adatto al FinTech. Quello che serve, forse, è un ecosistema favorevole al suo sviluppo. Per fortuna, anche in seno alle nostre Autorità di Vigilanza, si stanno formando delle competenze che potrebbero, se opportunamente coordinate e lasciate libere di operare, dare vita ad un nuovo trend (penso al Canale FinTech della Banca d’Italia, o al centro studi della Consob e ai suoi quaderni di ricerca sul FinTech). Chissà se, alla fine, proprio grazie alla spinta contenuta nel Decreto Crescita, l’Italia finirà per diventare un Paese adatto al FinTech!

 

Che tipo di cambiamenti legislativi, burocratici e infrastrutturali immaginate per poterlo rendere più attrattivo da questo punto di vista? C’è un insegnamento che si può trarre dall’esperienza del Regno Unito ?

Qualcuno ha osservato che lo strumento del Decreto Legge e del Regolamento ministeriale di attuazione mal si sposa con le esigenze di flessibilità tipiche dello strumento che si vuole andare a costituire, ed ha ragione. D’altro canto, occorre evidenziare che, quando la FCA ha lanciato il Progetto Innovate nel 2014, non ha dovuto attendere l’input del legislatore. Il successo del Regulatory Sandbox in Italia, in questo momento, dipende molto dal contenuto dei futuri regolamenti del MEF e dal grado di flessibilità che saranno in grado di garantire in favore delle Autorità di Vigilanza. A tal fine, sarebbe opportuno anche che – parallelamente – il Comitato FinTech, costituito con lo stesso emendamento del Decreto Crescita, stimoli il dialogo delle autorità competenti con l’industria, favorendo la partecipazione ai tavoli di lavoro delle imprese e delle associazioni di categoria che operano nel FinTech e che, magari, possono vantare l’esperienza in altri Paesi dove il dibattito è in uno stadio più avanzato.