L’Italia si colloca all’82esimo posto su 144 nazioni. Nel 2015 eravamo 41esimi. Intanto la Finlandia impone per legge la parità salariale nelle aziende sopra i 25 dipendenti
Ci sono notizie che proprio non si vorrebbero leggere.
Non parlo di stragi, di incidenti o di terribili catastrofi, che fanno purtroppo parte della quotidianità dei nostri telegiornali. Parlo di qualcosa di più sottile che colpisce grossomodo la metà del genere umano: il divario salariale tra uomini e donne. L’ONU l’ha definito il più grande furto della storia e non sta certo esagerando.
Mentre è ben noto che la disparità salariale è presente, in maggiore o minore misure, in tutti i paesi del mondo, la triste novità è che nel 2017 il divario salariale tra lavoratori e lavoratrici che svolgono le stesse mansioni è aumentato.
In effetti, per la prima volta da quando il World Economic Forum pubblica i suoi rapporti annuali, tutti gli indici di parità (accesso alle cure mediche, all’istruzione, partecipazione alla vita politica ed al mondo del lavoro) sono peggiorati nel 2017. Tuttavia è quello economico ad avere registrato l’andamento più sfavorevole. Procedendo di questo passo ci vorranno oltre due secoli per colmare il gap.
Alcune nazioni hanno una situazione migliore di altre. La piccola Islanda guida la classifica della parità che vede ai primi posti un curioso mix di paesi nordici, tradizionalmente molto attenti alla parità di genere, e paesi emergenti.
L’Italia va decisamente maluccio e si colloca all’82esimo posto su 144 nazioni. Niente di cui essere fieri, specialmente se consideriamo che nel 2015 eravamo 41esimi. Cos’abbiamo fatto di così sbagliato? Abbiamo perso forza lavoro femminile, e questo ci ha fatto precipitare nella classifica.
Ogni nazione viene valutata su 4 parametri: salute, educazione, economia e politica che misurano la possibilità di accedere a cure mediche, di andare a scuola (di ogni ordine e grado) di lavorare e di partecipare alla vita politica. Lo strano rombo disegnato dalla linea scura rappresenta la media di questi parametri a livello mondiale. Una nazione va meglio se l’area colorata supera la media. La parità sarebbe raggiunta se l’indice fosse 1 ma anche l’Islanda, che è la nazione che va meglio, è a 0.878. L’Italia è 82esima con un indice di parità 0,692.
Nemmeno nelle nazioni più virtuose, però, si registra parità di salario. Un recente studio si è concentrato sulla situazione danese esaminando come la nascita del primo figlio influisca sulle possibilità di carriera e sul salario del papà e della mamma. Ricordiamo che la Danimarca è una dei paesi dove la stato sociale funziona meglio, dove la settimana lavorativa è tra le più corte e dove la maternità viene tutelata nel miglior modo possibile. Date queste premesse, sarebbe lecito aspettarsi che la maternità non abbia un’influenza negativa.
Invece NO, i dati sono tristemente chiari. Se guardiamo il livello salariale e le possibilità di avanzamento di carriera, dobbiamo concludere che, anche in Danimarca, avere figli fa male solo alle mamme.
Confesso di avere trovato questi risultati molto deprimenti.
Per cercare di risolvere il problema della disparità di salario sono diverse le nazioni che hanno adottato misure correttive. La più eclatante è stata adottata dalla Finlandia, che, pur essendo già molto alta in classifica, ha approvato una legge che impone la parità di salario. Dal 1 gennaio 2018, nelle aziende con più di 25 impiegati, è diventato illegale pagare in modo diverso i lavoratori e le lavoratrici. In questo modo la Finlandia pensa di poter colmare il gap salariale, che ci si aggira intorno al 15%, entro il 2022.
E’ la prima nazione al mondo ad avere preso una misura così decisa, così semplice e così giusta. Speriamo che molti altri stati la imitino.