Tecnologia che, sotto forma di e-waste, proviene dalle aree più sviluppate del mondo e che nel 2018, è stato calcolato, toccherà le quasi 50 milioni di tonnellate prodotte all’anno. In una speciale classifica dei Paesi più consumisti la parte del leone ovviamente la fanno gli Stati Uniti 7072 tonnellate annue (circa 22,12 kg per ogni americano) di rifiuti elettronici. Ma anche l’Europa dice la sua con le 1511 tonnellate del Regno Unito e le 1077 dell’Italia. Per non parlare poi della Norvegia che di tonnellate ne produce solo 146, ma ha uno dei valori pro capite più elevati (28,4 kg).
Il mercato internazionale dell’e-waste
Adam Minter, autore di Junk Yard Planet, parla di “circa 500 container al mese in arrivo al porto di Accra”. Un circolo vizioso che porta nei Paesi in via di sviluppo gli avanzi di un Occidente hi-tech: apparecchi elettronici magari obsoleti ma ancora funzionanti, o che comunque un valore ce l’hanno per via delle componenti metalliche che contengono. Imballati e spediti per mare, una volta arrivati a destinazione c’è ad attenderli un capillare giro di intermediari, riparatori e rivenditori dell’usato. In Europa, Asia, o America, i fornitori non aspettano atro che una telefonata: si tratta un po’ sul prezzo e si organizza subito un’altra spedizione.
Il lato negativo di questa compravendita dipende dalla qualità della merce in arrivo. Perché, in mezzo a molti apparecchi funzionanti, c’è anche una notevole quantità di rottami inutilizzabili. Un flusso di rifiuti tossici vietato dalla convenzione di Basilea che i ricercatori dell’Università del Ghana spiegano così: “Il trattamento dell’e-waste nel rispetto delle leggi ne eleva notevolmente il costo e allora i rifiuti tendono a migrare verso i Paesi in via di sviluppo dove le leggi non ci sono, o comunque non vengono rispettate”.
Secondo alcuni studi, la durata media di un’apparecchiatura elettronica usata è di due o tre anni. E ad Accra, quando qualcosa non può essere riparato, finisce ad Agbogbloshie. Questo il nome del sobborgo ad ovest della capitale dove col passare del tempo si è creata un enorme discarica del tech che sta inquinando in modo irreparabile il sottosuolo e le acque del fiume Odaw.
Sodoma e Gomorra, ovvero la grande discarica
Agbogbloshie non è una semplice discarica. È un agglomerato umano cresciuto, col passare del tempo e con l’aumento dell’e-waste, nei sobborghi ovest della capitale. Un luogo dove, secondo le stime, abitano circa 80 mila persone che si guadagnano da vivere tra falò di plastica e nuvole di fumi tossici, in quella che qualcuno ha ribattezzato poeticamente “Sodoma e Gomorra”.
I falò di rottami sprigionano nell’aria sostanze tossiche che si diffondono fino a km di distanza
© Fausto Romano Maniglia
La verità è che di poetico ad Agbogbloshie non c’è nulla. A dominare è la necessità e i rifiuti elettronici, qui, rappresentano un’opportunità di sopravvivenza concreta. Uomini, donne e, soprattutto, ragazzini camminano tra i rottami in cerca di parti e componenti da smantellare e rivendere. La merce più preziosa e ricercata sono i fili di rami che gli e-waste boys recuperano dai fuochi di rifiuti spenti.
Ma qui materie prime e componenti di qualche valore sono solo di passaggio. Dal Ghana, infatti, vengono imbarcate nuovamente e spedite a industrie e raffinerie dell’Occidente, andando ad alimentare il mercato dell’e-waste illegale che fa i propri affari sulla pelle dei Paesi più poveri.
Le conseguenze
La pratica comune dei falò di rottami elettronici diffonde nell’aria componenti pericolose per la salute (metalli pesanti come cadmio, mercurio, bromo, ecc.) che il vento spinge poi a km di distanza. A pagarne le conseguenze sono gli stessi abitanti. Secondo le analisi compiute su diversi campioni di sangue (International growth centre), i livelli di piombo risultano estremamente alti.
Ma lo stesso discorso va fatto per l’ambiente. “Quello che una volta era un paesaggio verde e fertile”, ricorda Mike Anane, il giornalista che ha svelato al mondo gli orrori di Agbogbloshie, “è oggi un cimitero di plastiche ed elettrodomestici dismessi”. Anni e anni di discarica hanno inquinato irreparabilmente il sottosuolo e le falde acquifere sottostanti. Lentamente il corso dell’Odaw si è riempito di rifiuti. Rifiuti che il fiume trascina poi fino al mare, nel vicino Golfo di Guinea, e che contribuiscono a rendere ancora più gravi gli effetti dell’inquinamento avvelenando anche la fauna marina.