Ha lanciato ScaleIT dopo un anno sabbatico in giro per il mondo. E gli è andata bene. Si definisce uomo di marketing. Business angel per follia. Ma ha saputo creare qualcosa di unico in Italia. Lo abbiamo intervistato.
«Il viaggio è la rottura di una continuità. Ti fermi. Pensi a quello che hai fatto e a quello che vuoi fare. Ti vengono in mente idee strane. Come diventare un angel investor, come ho fatto nel 2006. O di fare qualcosa all’apparenza folle come ScaleIT». Lorenzo Franchini sorride quando ripensa ai suoi cambi di passo degli ultimi 10 anni. Lui di anni ne ha 46 ed è l’ideatore dell’evento che forse più velocemente si è accreditato come autorevole tra gli investitori italiani. Lo ha chiamato ScaleIT. Si svolge in un giorno solo, quando a una selezione tra le migliori startup italiane viene data la possibilità di presentarsi e convincere un pubblico selezionatissimo di investitori internazionali.
«Nel 2014 ho lasciato Italian Angels for Growth, che ho fondato nel 2007 insieme ad altri otto investitori. Non è stata una scelta facile, ma sentivo il bisogno di allontanarmi un po’ dal mio lavoro e capire come funzionavano gli altri ecosistemi. Quelli che dall’Italia invidiamo». Singapore, Cina, Giappone, Germania, Stati Uniti. Ne è uscito un diario di bordo ricchissimo di annotazioni pubblicato su Startupbusiness («In inglese, rigorosamente», precisa Franchini). E una convinzione: alle nostre aziende non manca poi così tanto per essere appetibili a investitori internazionali. Manca un punto di contatto. Mancava ScaleIT.
La fotografia delle scaleup italiane in una tesi di laurea
Ma di sola convinzione non campa il venture business. Una base più solida per il suo ragionamento gliela fornisce una tesi di laurea di uno studente della Bocconi. Lo aveva contattato mentre era ancora in viaggio: «Voleva che gli dessi una mano ad analizzare i trend di mercato del venture capital in Italia dal 2009 al 2014. Voleva capire se e cosa mancava alle startup italiane, quali invece avevano i requisiti giusti. Le scaleup appunto. E lì abbiamo capito che la situazione non era così drammatica come ci raccontavamo».
Dai dati raccolti di 450 aziende prese in esame, 50 avevano i parametri di crescita e di posizionamento sul mercato giusti. E un’altra 50ina erano vicine. «Ho fatto vedere questo studio ad alcuni operatori di venture capital durante le mie ultime tappe del viaggio, a New York e Berlino. E le aziende che avevamo selezionato piacevano parecchio. E’ qui che si concretizza l’idea di ScaleIT». Franchini decide di tornare in Italia e di dare forma alla sua idea. Siamo alla fine del 2014.
La prima edizione di ScaleIT: 11 startup e 4 investimenti
Quest’anno alla sua seconda edizione, alla prima di ScaleIT nel 2015 hanno partecipato 11 startup. Nomi noti e non dell’ecosistema italiano delle startup. Di queste 4 hanno hanno chiuso un round di investimento nei sei mesi successivi: BeMyEye, Mosaicoon, Alyt e Tok.tv. Da 1,5 a 8 milioni la media. Ma forse il merito più grande di ScaleIT è quello di aver fatto emergere realtà che sfuggono ai radar degli investitori e dei media italiani.
Una su tutte, MotorK. Nati nel 2010 al GeeknRolla di Mike Butcher (editor di TechCrunch) e da allora ogni anno hanno raddoppiato i loro numeri. «Quello che cerchiamo nelle startup che selezioniamo sono le performance» spiega Franchini. «Abbiamo contatti con tutti gli operatori nazionali e chiediamo loro di segnalarci le migliori. Ma anche con advisor locali che ci segnalano realtà poco note come MotorK. Alla fine la scelta la facciamo noi. Perché ScaleIT è un’azienda e un nostro prodotto. Ne va della nostra reputazione».
L’edizione 2016: le scaleup diventano 15 (la lista)
Quest’anno il numero delle selezionate è salito a 15. E vengono davvero da ogni settore. Dal ITC al fintech ai droni al foodtech fino all’aerospazio. Anche in questo caso alcuni nomi noti, altri molto meno (qui la lista completa e le schede delle 15 scelte). Franchini non le vuole chiamare startup: «Nulla in contrario, ma preferisco chiamarle aziende. Vogliamo sia chiaro che si tratta di aziende e non di aspiranti tali».
Il metodo di selezione delle aziende: fatturato, clienti, estero
Come avviene la selezione? «Noi prima lavoriamo sui database e sulle selezioni fatte da società accreditate» spiega Franchini. «Abbiamo cercato nomi e dati anche sulla selezione fatta da StartupItalia.eu quest’anno. Poi facciamo una prima selezione. Ne abbiamo prese 600. Di queste ne abbiamo scelte 80 che pensavamo poter avere i requisiti giusti. Abbiamo fissato una call one to one. Da questa seconda selezione siamo arrivati le 23 più interessanti che avrebbero voluto partecipare e di qui in poi le 15 sono state fatte con i nostri due advisor».
Leggi: Chi sono e cosa fanno le 15 aziende
selezionate da ScaleIT 2016
Si tratta di Emil Abirascid (direttore di Startupbusiness) e Mauro Pretolani (Fondo Italiano di Investimento). I criteri di valutazione prevedevano tre parametri principali: 1 milione di euro di fatturato negli ultimi 12 mesi, 1 milione di utenti dei quali il 20% doveva provenire dall’estero. Un’eccezione è stata fatta per Sardex che è un circuito sviluppato per ora solo in Italia.
Come guadagna ScaleIT e cosa chiede alle startup
ScaleIT è un’azienda. E la sua reputazione (e il suo fatturato) passa dalla qualità delle startup presentate ogni anno. Il main sponsor dell’evento è Generali, compagnia assicurativa di Trieste e terzo gruppo economico italiano. Le spese sono quelle dell’evento: gli spazi, la comunicazione, l’organizzazione.
Le entrate vengono principalmente dagli sponsor. Fino allo scorso anno l’evento per le startup selezionate era completamente gratuito e a ScaleIT andava una percentuale se qualche investitore decideva di puntare su qualcuna di loro. «Quest’anno abbiamo deciso di mantenere gratuito l’evento ma di fissare la success fee (la fee da pagare in caso di investimento) a 20mila euro», ha spiegato Franchino. I vantaggi in termine di investimenti potenziali e di marketing erano evidenti dopo il buon successo della prima edizione. Un modello anomalo, «totalmente innovativo».
Come Franchini si è avvicinato al venture business
«Io sono un uomo di marketing», ricorda Franchini. «Sono cresciuto in Fiat prima e in Seat Pagine Gialle. Mi sono occupato sempre dei temi del digitale. Conosco i pro e i contro. I primi anni del 2000 ho dovuto attraversare lo scoppio della bolla dotcom e poi nel 2006 ho deciso di dedicarmi all’angel investing dopo aver guadagnato dall’exit di una società in cui avevo investito e che si occupava di entertainment». I primi piccoli investimenti. Poi entra nella rete di IBAN nel 2007 lancia IAG con altri 8 business angels. Non un grande momento in realtà. Di lì a poco sarebbe scoppiata la più grave crisi finanziaria di sempre. «I primi anni sono stati davvero difficili. Poi nel 2010 le cose hanno cominciato a girare. Abbiamo creato uno dei più grossi gruppi di angel investing europeo»: oltre 15 milioni investiti in 40 startup e 100 soci attivi.
Il principale freno delle startup? Cultura e ego dei founder
E qui che Franchini ha cominciato a conoscere i principali attori mondiali del venture. Al suo evento del 12 ottobre a Milano ci saranno Balderton, Aster capital, Cisco Investment, Acton. Ci saranno 20 società di investimento. Una vetrina di tutto rispetto. «Le startup sono il futuro dell’economia dei paesi. Ma se le fai male o lo fai perché è figo sbagli tutto. In Italia abbiamo qualità incredibili ma due freni difficili da togliere: la scarsa cultura d’impresa e l’ego dei founder. Per fare aziende di successo bisogna avere un ego contenuto e accettare di lavorare con persone più brave di te».
L’ego contenuto è anche la migliore qualità del viaggiatore. Chi dai viaggi impara davvero. E quello fatto nel 2014 da Franchini deve averlo davvero ben ispirato.
Arcangelo Rociola
Twitter: @arcamasilum