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Una decisione salutata con soddisfazione dalla categoria degli albergatori, meno dagli host di Airbnb: il servizio di affitto breve, simbolo della sharing economy, limiterà automaticamente le prenotazioni degli appartamenti per non consentire di superare il limite di 120 giorni l’anno. Un criterio imposto per legge, che dovrebbe servire a distinguere chi di mestiere si occupa di turismo e chi invece svolge questa attività solo per arrotondare: limite che inevitabilmente viene spesso superato, causando non poche polemiche Oltralpe sulla falsa riga di quanto già avvenuto con Uber.

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La scelta di Parigi

La scorsa settimana, dunque, la città di Parigi ha deciso di creare un registro per tutte le attività di hosting temporaneo: una decisione che va appunto nella direzione di tenere sotto controllo chi svolge questo ruolo con Airbnb e con tutti gli altri servizi analoghi (Booking su tutti), scelta che è stata subito accolta con evidente sollievo dagli albergatori. Nelle dichiarazioni rilasciate da un rappresentante del settore si parla di “segnale forte inviato a tutte le municipalità: ora finalmente c’è uno strumento solido per monitorare l’offerta turistica e garantire la raccolta della tassa di soggiorno”.

In ballo, secondo gli albergatori, c’è la qualità del servizio offerto ai turisti: da parte sua Airbnb ribatte che ha contribuito largamente ad allargare offerta e traffico di visitatori in Francia, e in particolare a Parigi dove ci sono oltre 65mila abitazioni registrate sul sito (Parigi è la città record a livello mondiale per quanto attiene le strutture offerte su Airbnb). Nel 2015 c’era stato già un primo accordo, nei termini del quale gli host di Airbnb accettavano di iniziare a raccogliere la tassa di soggiorno come le strutture convenzionali: nel 2016 la cifra totale pagata da Airbnb al governo francese si aggirava sui 7,3 milioni di euro.

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Il quadro europeo

La decisione di Parigi è conseguenza di una legge nazionale che è volta proprio a censire con maggiore precisione e puntualità le attività di affitto a breve termine. In generale è palese la tendenza del Vecchio Continente verso la “normalizzazione” di Internet e delle attività nate in Rete: ne è un perfetto esempio la Web Tax italiana, che non poche polemiche ha suscitato in Italia, così come da poche settimane Airbnb ha accettato di far esigere la tassa di soggiorno da parte dei proprio host a chi visita Genova. È in corso un vero e proprio conflitto culturale tra vecchio e nuovo modo di fare ospitalità, e pare che Airbnb sia divenuta terreno di scontro in virtù della sua estrema visibilità.