Tutto quello che questo weekend vi impedirà di uscire e immergervi in attività sociali o all’aria aperta
The Crown 2 – Netflix
Ricomincia quella che per molti plebei, sudditi o “commoners” è ormai l’ultima speranza di comprendere la portata del regno di Elisabetta II d’Inghilterra prima che termini. The Crown è semplicemente la serie migliore iniziata negli ultimi 3-4 anni, la migliore cioè di questa fase di “peak tv” che stiamo vivendo (ovvero quella della moltiplicazione esponenziale degli show televisivi tutti di grande qualità media, ma nessuno eccelso).
La prima stagione ha raccontato il momento in cui la giovane Elisabetta è diventata regina fino alla crisi di Suez (dal 1947 al 1956): questa racconterà i nove anni successivi.
Può sembrare di primo acchitto molto poco interessante, perché decenni di noiosissimi racconti televisivi delle monarchie moderne hanno abbattuto ogni aspettativa, convincendoci che quando al centro della storia ci sono i regnanti moderni è tutto un pettegolezzo di corte e un amor cortese minacciato dalle istituzioni. Invece The Crown è scritta da quello che è il miglior sceneggiatore britannico in circolazione, Peter Morgan (The Queen, non a caso, ma anche Rush, Frost/Nixon e Il Maledetto United). La prima stagione è stato un racconto incredibile di come una donna abbia dovuto perdere ogni connotato di umanità per diventare un ruolo che è molto più di quel che sembra.
The Crown ha raccontato fatti veri (tutta la querelle con la sorella della regina e il suo spasimante divorziato o il rapporto con Churchill, interpretato dall’immenso John Lithgow, che la trattava da ragazzina) per raccontare in realtà altro. Non ci sono pettegolezzi di corte ma fatti comprovati, usati per mostrare come una regina non sia incoronata ma debba imparare a far valere se stessa, come in fondo possa decidere pochissimo a meno di imporsi seguendo le regole. Di come debba dimenticare ogni volontà personale, ogni desiderio, ogni passione terrena, per assurgere ad un ruolo che, a fine stagione, appare così elevato che viene voglia (quasi) di iscriversi al partito monarchico italiano. La voglia passa dopo poco, mentre la serie rimane la migliore in circolazione.
Dark – Netflix
La maniera migliore per sorprendere i vostri amici nelle rare interazioni umane che avete con loro è tirare fuori Dark, serie tedesca originale Netflix (cioè il loro equivalente di Suburra, serialità prodotta in patria ma con in mente l’esportazione), che ha a che vedere con i viaggi nel tempo, gli anni ‘80 e, come dice il titolo, tematiche oscure.
Dark è giocato tra il 1986 e il 2019, non c’è da lasciarsi intimorire da un pilota difficilissimo, farraginoso, complicato e assurdamente mescolato. Rifacendosi ai segreti del successo di Westworld o The OA, Dark ha moltissimi personaggi differenti con storie differenti, i cui intrecci e i cui rapporti si comprendono solo con lo scorrere delle puntate, senza nessuna fretta di rivelare i propri misteri. Nel corso dei suoi 10 episodi da un’ora si snoda una trama il cui pregio migliore è di non rendere subito chiaro se abbia domicilio nel mondo del fantasy o in quello della fantascienza.
Di certo non sembra venire dalla Germania (paese che ci ha regalato un range di serie che va da Derrick al Commissario Rex per finire su Der Klown), cioè non ci propina quella loro idea di coolness che funziona “leggermente” meno fuori dalla zona d’influenza teutonica. Dark dimostra invece di saper superare i luoghi comuni della propria televisione per realizzare un prodotto che è internazionale al 100%. Soprattutto, nonostante maceri negli anni ‘80, evita ogni senso di nostalgia, citazione o ruffianeria. Non erano un bel periodo gli anni ‘80 in Germania e non mancano di ricordarcelo.