L’innovazione non passa solo dagli uffici R&D. Ducati punta a scovare l’eccellenza, per creare un distretto di eccellenza. E torna in testa alla MotoGP
Una delle chiavi per il successo e per valorizzare il proprio modello di business è l’adozione di un approccio cosiddetto Open Innovation. In particolare con questo termine ci si riferisce ad un modello di sviluppo secondo il quale le imprese, per creare più valore e competere meglio sul mercato, non possono basarsi soltanto su idee e risorse interne ma hanno il dovere di ricorrere anche a strumenti e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno, in particolare da startup, università o istituti di ricerca.
Tra le grandi realtà aziendali dell’ecosistema Italia, Ducati rappresenta un importante caso di successo per mostrare come questo modello possa garantire risultati in chiave di sviluppo tecnologico. Dopo le vittorie in Austria e oggi a Silverstone, GP di Inghilterra, Andrea Dovizioso è anche tornato in testa al mondiale della classe regina MotoGP: oltre al talento del pilota e naturalmente dei tecnici, come vi abbiamo raccontato proprio su queste pagine nei successi nel Motomondiale c’è proprio la testimonianza di questo approccio aperto con il contributo di una startup – Megaride – che aiuta a ottimizzare l’uso dei pneumatici in pista durante le prove e poi gara.
Ducati, fin dalla sua fondazione avvenuta nel 1926, ha saputo crescere nel tempo proprio grazie all’implementazione di nuovi paradigmi tecnologici che sono un punto cardine del processo produttivo. La casa motociclistica nel solo 2016 ha consegnato 55.451 moto ai suoi clienti in tutto il mondo, registrando per il settimo anno consecutivo un aumento delle vendite (+1,2 per cento) : il fatturato ha raggiunto 731 milioni di Euro, con un aumento del 4,1 per cento rispetto all’esercizio 2015.
Per scoprire il segreto del successo della Ducati, e come l’Open Innovation vi contribuisca, abbiamo incontrato Piergiorgio Grossi, CIO & Digital Transformation Officer Ducati, e Pierluigi Zampieri, Vehicle Innovation Manager Ducati Motor Holding.
StartupItalia!: Che cosa significa per la Ducati fare Open Innovation?
Piergiorgio Grossi: In Ducati stiamo cercando di capire se ci sono altri modi di fare innovazione, oltre a farla internamente o rivolgendoci a un fornitore. Siamo un’azienda in cui l’innovazione è un punto cardine. L’innovazione del nostro prodotto è uno dei fattori più sentiti e quindi siamo costantemente alla caccia di nuove soluzioni ed opportunità. Ad oggi la maggior parte delle aziende fa innovazione internamente con dei team dedicati, oppure chiedendo ad un fornitore il servizio/prodotto: quello che invece stiamo cercando di fare, sia per l’area IT sia per l’area innovazione di prodotto, è trovare approcci alternativi.
SI!: Quali sono questi approcci alternativi?
PG: Stiamo cercando di capire sia con l’ambiente universitario, che con un ambiente fatto di “fornitori nuovi” come le startup, quali sono i modi giusti per collaborare. Non si può pensare di lavorare con una startup o con uno spinoff universitario come si lavora con un classico fornitore dell’automotive. Siamo testando nuovi metodi molto più cooperativi per fare innovazione con queste realtà nuove che tendono ad essere più veloci, più fresche, a “scappare” per fortuna dai binari dei canoni più tradizionali. Chiaramente hanno bisogno di un’energia diversa, nel senso che un grande partner se gli viene sottoposto un problema torna dopo tre mesi con la soluzione. Quando lo fai con una startup, o un team di ricerca universitario, è un strada che si fa insieme. Per noi è un percorso innovativo che vogliamo continuare e che, secondo me, sempre più le aziende potranno seguire.
Pierluigi Zampieri: Negli ultimi 5-7 anni stiamo mettendo in piedi diverse progetti di ricerca con diverse università: finanziamo noi alcuni progetti pluriennali ai vari dipartimenti e tutti gli anni ci troviamo insieme a loro, ascoltando quelli che potrebbero essere i campi di innovazione interessanti. Sono tutti molto bravi, ma per portare in produzione un prodotto industriale ci sono degli step da superare: deve essere prima di tutto sicuro, omologato, affidabile e prestazionale come sono le nostre moto. C’è tutto un percorso industriale da dover portare avanti che ovviamente non ha più a che vedere con l’istituto o il team di ricerca. Quindi c’è un passaggio che è un po’ uno “scalino”, che è quello su cui stiamo lavorando.
SI!: Da quanto tempo Ducati ricorre anche a strumenti e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno?
PZ: Contratti di collaborazione con università e spin off di ricerca negli ultimi tre o quattro anni ne abbiamo firmati parecchi e con investimenti importanti. Università di Bologna, Università di Modena e Reggio Emilia e Politecnico di Milano in particolare sono i tre con cui lavoriamo di più. Ci è capitato di provare delle idee che ci hanno proposto alcune startup innovative, tre italiane e una straniera. Il percorso è stato l’approntamento del contratto in modo che la proprietà intellettuale rimanga a loro. Noi non abbiamo alcuna pretesa sull’idea. Concluso il test operativo, si prepara una relazione per capire se e come andare avanti insieme con massima confidenzialità su quello che si andrà a fare.
PG: Da parte nostra manteniamo una leadership progettuale, che sia un sistema moto o informativo, ma ovviamente pensare che nel mondo non ci siano competenze verticali su singoli argomenti molto forti è inverosimile. Siamo in un mondo globalizzato, quindi è facile che su singoli elementi all’interno dell’architettura Ducati ci siano degli specialisti che ci possano aiutare a creare dei componenti e ad inserire delle innovazioni di prodotto di un certo rilievo. Da un lato quindi ci sono i fornitori, dall’altro ci sono questi nuovi partner (università, spi off, centri di ricerca e startup: il percorso con questi ultimi è per certi versi “meno chiaro”, ma nel senso positivo del termine. C’è un importante percorso di apprendimento reciproco e di esplorazione. Idee molto interessanti che Ducati porta avanti e che con il tempo rende parte dei sui prodotti.
SI!: Quali sono gli aspetti che vi attraggono di più delle startup italiane?
PZ: Innanzitutto, come diceva Piergiorgio, vogliamo cercare di capire com’è lanciare un’idea in un terreno fertile e vedere cosa ne emerge. Per le startup italiane quello che possiamo osservare purtroppo è che il livello di investimenti complessivo negli anni è ancora piuttosto limitato, meno di 200 milioni di investimenti venture capital nel 2016 rispetto ai 2,7 miliardi in Francia o ai 3,2 miliardi in UK. Senza citare poi mercati come quello degli Stati Uniti, Israele o Cina, in cui le startup stanno vivendo un periodo più che florido. Quello che più ci attrae, comunque, è la freschezza delle idee. Un diverso punto di vista può portare un grande valore aggiunto e noi cerchiamo di trarne delle buone idee e buoni spunti. Da chi è più giovane di me mi aspetto che sappia interpretare meglio le esigenze e i bisogni delle generazioni presenti e future. L’aspetto più interessante è trovare idee a cui non abbiamo ancora pensato e che possano essere adattate ai prodotti che lanceremo tra 5 o 10 anni.
PG: Dal mio punto di vista, se devo pensare al mondo digitale penso a tre componenti: uno sicuramente è quello della competenza, ci sono molte skill che sono fuori dai canali delle grandi aziende e che spesso le corporate tendono a dimenticare. C’è un mondo di persone che è al di fuori delle grandi corporate, che mai penserebbe di entrare in una grande impresa, ma che ha importantissime skill. Due: c’è sicuramene un discorso di punti di vista differenti, opportunità che non riusciamo a vedere e che vogliamo perseguire. Terzo, oltre che la freschezza c’è la flessibilità: a contatto con un’azienda come Ducati, un grande player ben strutturato reagisce poco. Un’azienda più piccola e flessibile, invece, tende a plasmarsi in maniera diversa e, lavorando con noi, cambiano pelle per andare dietro ad esigenze di business nuove che possano portare valore a noi ma soprattutto a loro. Un beneficio ai nostri clienti ma per le stesse startup che, grazie a noi, fanno il classico pivot e procedono in un nuovo settore fertile per la loro crescita. Ad esempio abbiamo visto importanti risultati sul tema della cybersecurity.
SI!: Quali sono le idee che cercate maggiormente?
PG: Il tema della cybersecurity è sicuramente un punto prioritario. Facciamo moto sempre più connesse e di conseguenza abbiamo bisogno di idee nuove per non bloccare le nostre strutture. Inserire la moto in un sistema, in contatto con il rider tramite Internet e altri servizi, ci permetterà di veicolare una nuova esperienza molto più integrata ed innovativa. La moto diventa quindi parte di una rete che normalmente è fatta di persone, ma che ora contiene anche oggetti. Utilizzare questa rete fatta di ducatisti e servizi terzi metterà il cliente al centro e ci darà la possibilità di fornire servizi per un’esperienza ancora più eccitante, ma sempre sicura e positiva. Immaginando il rider con il casco e dei guanti al sole o mentre piove, in un ambiente non confortevole, proviamo a pensare a come sarà l’interazione del futuro? Userà la voce o la realtà aumentata? Le vibrazioni o il touch? Ecco sicuramente stiamo cercando startup e centri di ricerca che stiano lavorando su questi temi. La relazione uomo-macchina è al centro degli nostri studi nell’ultimo periodo.
SI!: Come vi relazionate con le startup e le PMI innovative?
PZ: Ci piacerebbe vedere in Italia maggiori esempio di sistema, di aziende comunichino con le startup, con l’obiettivo di creare dei poli di eccellenza per vendere tecnologie e prodotti al resto del mondo. Secondo me in Germania questo sono molto bravi a farlo, prodotti di qualità eccelsa venduti in tutto il mondo, facendo lavorare tutto un sottobosco di realtà del mondo engineering, in modo estremamente prolifico. In Italia manca questa visione. Nel nostro ecosistema siamo riusciti creare un’associazione di imprese chiamata Motorvehicle University of Emilia-Romagna, all’interno del quale operano 4 università e 8 aziende tra cui Automobili Lamborghini, Dallara, Ducati, Ferrari, Haas F1 Team, HPE Coxa, Magneti Marelli, Maserati e Toro Rosso. L’iniziativa mira a trovare giovani talenti italiani e di tutto il mondo con la passione per l’innovazione delle due e quattro ruote: scovare talenti ed esaltare la nostra eccellenza territoriale. Un approccio simile si è visto nel distretto finanziario di Londra, nella Silicon Valley, o in Israele per studi sul tema dell’intelligence e difesa, con grandi risultati. La distanza tra Parma e Bologna è simile a quella tra Palo Alto e San Francisco e noi con la nostra “Motor Valley” vogliamo raggiungere grandi risultati.
SI!: Quale suggerimento dareste alle startup interessate ad aprire un canale di dialogo con le grandi aziende interessate a fare Open Innovation?
PG: Di non demordere e di cercare un contatto, anche grazie alla Rete, con le figure di riferimento all’interno delle aziende che pensiate possano essere interessate ai vostri progetti, con vantaggi reciproci.
PZ: Importante la parte creativa ma un’azienda come Ducati, che non è enorme e deve realizzare un prodotto che soddisfi certi requisiti, deve rispondere a precise esigenze e bisogni. Quindi bene la creatività e l’idea, ma sempre avere focus sul target finale a cui ci si vuole rivolgere, capire come il prodotto possa inserirsi all’interno di un contesto di mercato competitivo e dinamico come il nostro.