C’era una volta, Roma.
Il blog statunitense The Money Project ha deciso di realizzare un’infografica per spiegare la nascita delle valute e dell’inflazione. Lo ha fatto riconducendo tutto alla nascita e al crollo dell’impero romano. Un’infografica bellissima, raccontata come una favola, e che vuole essere anche un tributo ad una delle più grandi civiltà della storia del mondo. (Basta leggere il testo originale che la accompagna, che noi qui abbiamo solo, sostanzialmente, tradotto e adattato).
«Roma – scrive The Money Project – aveva conquistato gran parte del mondo conosciuto. Un impero dove nel quale furono costruiti 80 mila kilometri (50 mila miglia) di strade, acquedotti, anfiteatri, e altre opere che usiamo ancora oggi». Secondo il sito Usa, «il nostro alfabeto, calendario, le lingue, la letteratura e l’architettura di tutto il mondo prendono molto in prestito molto dai romani. Così come i fondamenti della giustizia, ad esempio l’essere “innocente fino a prova contraria”». “Cosa ha portato al crollo di un così potente Impero?” Si chiedono. Ecco le risposte degli analisti di TMP.
L’economia romana
Al suo apice, l’Impero Romano comprendeva una popolazione di oltre 130 milioni di persone e un territorio di 2,4 kilometri quadrati (1,5 miglia quadrate), dall’attuale europa continentale, alle regioni dell’Africa settentrionale che affacciano sul Mediterraneo, fino alla Siria.
Il commercio era di vitale importanza per Roma. E ‘stato il commercio che ha permesso l’importazione di una grande varietà di merci: carne bovina, cereali, vetro, ferro, piombo, cuoio, marmo, olio d’oliva, profumi, porpora, seta, argento, spezie, legno, stagno e vino. Tutto ciò aveva generato grande ricchezza per i cittadini di Roma. Tuttavia, la città di Roma aveva solo 1 milione di persone, e le spese (soprattutto quelle militari) aumentavano al crescere dell’Impero. Così i romani hanno inventato nuovi modi creativi per pagare le cose.
Com’è nata la moneta (e l’inflazione)
La principale moneta d’argento usata durante i primi 220 anni dell’Impero era il denario (1 denario corrispondeva a 4 sesterzi). Con questa moneta si poteva pagare circa un giorno di stipendio per un lavoratore qualificato o un artigiano.
Nei primi decenni dell’Impero, queste monete erano di elevata purezza, in quanto fatte ognuna di 4,5 grammi di argento purissimo. Tuttavia, l’argento e l’oro iniziarono a scarseggiare, e la spesa romana fu presto limitata dalla quantità di denari che potevano essere coniati, e ciò rendeva davvero difficile il finanziamento dei progetti degli imperatori. C’erano guerre da pagare, costi di palazzo, le terme, il circo…
Così i funzionari romani trovarono un modo per ovviare al problema: diminuirono la purezza delle monete, mantenendo però però lo stesso valore nominale. Con più monete in circolazione il governo poteva finalmente spendere di più. E così, il contenuto di argento andava via via diminuendo nel corso degli anni. Sotto l’Impero di Marco Aurelio, un denario conteneva circa il 75% di argento. Caracalla, poi, sperimentò un diverso metodo di degradazione, introducendo il cosiddetto “doppio denario”, che valeva il doppio di un denario in valore nominale, ma aveva il peso di un denario e mezzo. Ancora dopo, ai tempi di Gallieno, le monete arrivarono a contenere soltanto il 5% di argento. Erano fatte di bronzo e ricoperte con un sottile strato di argento. Tant’é che lo splendore andava via via consumandosi, portando in evidenza la scarsa qualità del materiale sottostante.
Le conseguenze e la crisi
La messa in circolazione di più monete di qualità inferiore non aiutò ad accrescere la prosperità di Roma, anzi, la ricchezza si era allontanata sempre di più dalla gente, e ci furono periodi di inflazione galoppante. I primi ad accorgersene furono i soldati, che chiesero all’Impero salari molto più elevati, in quanto la qualità delle monete era diminuita.
Nel 265 dC, quando in un denario c’era solo lo 0,5% di argento, i prezzi di beni e servizi si impennarono, più del 1.000%, in tutto l’impero romano. Con impennata dei costi logistici e amministrativi e i saccheggi dei metalli preziosi da parte dei nemici, i cittadini romani incorsero in sempre più tasse per sostenere i costi dell’Impero.
L’economia era paralizzata. Tra iperinflazione, tasse alle stelle, e una moneta che valeva materialmente poco o niente, gran parte del commercio di Roma andò al collasso. Intorno alla fine del III secolo, sopravvissero forme di commercio per lo più locali. Alcuni tornarno al baratto, ma presto non ci fu più niente da barattare. Si arrivò a una profonda crisi, che fece come prime vittime proprio gli imperatori, circa 50, la maggior parte assassinati o morti in battaglia.
Fu così che l’Impero si avviò verso la sua inesorabile fine.
Aldo V. Pecora
@aldopecora