Tiriamo le fila di quanto fatto negli ultimi sei anni: ciò che è stato portato a casa e ciò che resta da fare
Si esaurisce in questi giorni il secondo mandato di presidenza di Italia Startup, quando nelle elezioni nell’assemblea del 28 Giugno si eleggerà il nuovo Consiglio Direttivo, che successivamente nominerà il nuovo presidente. Dopo la nascita dell’associazione nel 2012, sotto l’egida del MISE, e la presidenza iniziale di Riccardo Donadon, gli ultimi tre anni hanno visto la leadership di Marco Bicocchi Pichi, e ho avuto la fortuna di fare parte dei consigli direttivi in entrambi i mandati.
A un primo triennio che ha visto un’associazione più “istituzionale”, impegnata sulle normative e sul set-up di una serie di strumenti che permettesse la crescita dell’ecosistema, ha fatto seguito un secondo triennio più industriale e di crescita, che ha visto l’allargamento della base e la maturazione all’interno dell’associazione del meccanismo delle deleghe operative, posizionando Italia Startup come realtà di riferimento nazionale ed internazionale.
Da statuto sono concessi un massimo di due mandati, per facilitare il rinnovamento, e questo è il motivo per cui, oltre al sottoscritto, la grande maggioranza dei consiglieri lascerà il posto a forze fresche.
Sono stati anni in cui ho avuto il privilegio di avere la fiducia del Consiglio e degli associati, essendo delegato all’Open Innovation, e grazie a loro ed all’ecosistema tutto ho avuto visibilità su alcune dinamiche che voglio condividere, sull’associazione e sul panorama dell’innovazione italiano.
Tre cose che hanno funzionato
1. L’idea di rappresentanza dell’ecosistema. Voler riunire sotto uno stesso cappello molti degli attori del panorama italiano, ha creato le basi per fare dei passi importanti più velocemente. Partendo dall’attività iniziale di lobbying e sostegno ai governi per supportare le politiche sull’innovazione, non c’è dubbio che sia il decreto sviluppo, sia la normativa sul crowdfunding, sicuramente entrambi migliorabili, hanno tratto beneficio e spinta dall’attività svolta da Italia Startup. Nei consigli direttivi si sono alternati alcuni dei professionisti più noti e competenti del sistema innovazione in Italia, e altri se ne aggiungeranno;
2. Il confronto interno. Proprio perché composta da tutti gli elementi della filiera dell’innovazione, le proposte sono sempre state molteplici, e declinarle in iniziative specifiche non è sempre stato facile, dovendo anche trovare la migliore configurazione per far crescere l’ecosistema non a detrimento di qualche parte di esso. Riuscire a fare sintesi di queste proposte e portare avanti attività concrete non è mai stato scontato, e molti associati ci hanno indirizzato in tal senso spingendo per non avere un’associazione solo “politica” ma anche pragmatica;
3. L’attività di divulgazione. Porre dei temi sul tavolo, sviscerare i problemi dell’ecosistema e cercare di capirne le dipendenze, assegnare deleghe specifiche, promuoverne la comunicazione, ha permesso di alzare il livello di consapevolezza delle criticità e delle opportunità. Questo ha anche in parte contribuito a mitigare, credo, la parte che definirei un po’ più superficiale dello “show-business” italiano. Non c’è dubbio che la serietà, la storia professionale, la capacità di analisi e rappresentatività del nostro presidente uscente abbia spinto in tal senso, riuscendo a qualificare l’associazione in contesti anche molto tecnici e strutturati.
Tre cose che potevano funzionare meglio
1. Sarò banale, ma sono mancati investimenti significativi. Sono facilmente reperibili i dati sugli investimenti in Europa, alcuni studi sono stati supportati anche da Italia Startup ed i suoi associati, e siamo ancora indietro di un ordine di grandezza rispetto ad economie simili alla nostra. Gli investitori all’interno dei soci e del consiglio hanno sempre rappresentato una parte molto minoritaria, e non siamo riusciti a coinvolgerli o interessarli come sarebbe stato necessario. Senza benzina inutile dire che la macchina non potrà progredire più di tanto;
2. Il campanilismo: altro luogo comune, ma sul quale dobbiamo ancora lavorare molto per smentirlo nei fatti. Le discussioni se Italia Startup fosse troppo Milano-centrica o rappresentasse solo una parte del sistema dell’innovazione sono state la punta più bassa, ed inutile sia per l’associazione sia per chi non ne faceva parte, impedendo di poter collaborare meglio. L’unica cosa che serve al nostro paese è progredire, lavorando insieme sui territori e con i territori. Già l’imprenditore è molto solo di suo, cerchiamo di costruire attorno a lui un network collaborativo e il più ampio possibile;
3. Il ruolo delle Startup: al centro dell’associazione ma soggette a forze centrifughe…Non c’è dubbio che i tempi, la motivazione, la voglia di chi fa impresa, ha investito i suoi risparmi ed il suo tempo, sono molto diversi da chi lavora nell’ecosistema in un altro blocco della value chain. L’imprenditore ha poco tempo, ogni ora della sua giornata può essere importante per raggiungere del fatturato in più, migliorare un kpi, convincere un investitore. In questo scenario, i tempi e le priorità dell’associazione non sono sempre stati allineati a quelli delle startup, e le ultime iniziative lanciate sono infatti volte a recuperare e dare sempre maggior empowerment ai protagonisti veri dell’ecosistema. La buona notizia è che abbiamo molti imprenditori candidati al Consiglio.
Tre cose su cui punterei per il futuro dell’ecosistema dell’innovazione
1. Open Innovation. Le startup hanno purtroppo capito da subito, in assenza di grandi investimenti, come la collaborazione con le aziende consolidate possa essere la vera accelerazione per la loro impresa. Le aziende consolidate non hanno forse ben capito cosa sono le startup, ma sempre di più si stanno interessando a loro come strumento di innovazione, e se anche arrivano alle startup per mera curiosità, però poi il confronto è spesso foriero di buoni risultati. Ho avuto la fortuna di facilitare, in questi anni di delega all’Open Innovation, molti incontri tra startup ed aziende, spesso con il supporto e la collaborazione di incubatori o acceleratori, e questa è senz’altro una strada che un paese dotato di imprenditorialità e PMI come l’Italia deve percorrere pesantemente.
2. Internazionalizzazione. In un mondo in cui le dinamiche di mercato ad alto livello sono quasi completamente internazionali e la comunicazione corre velocissima, guardare al solo mercato italiano è un suicidio. Come provocazione, dovremmo vietare lo status di startup innovativa a chi ha nel suo piano strategico solo il mercato italiano, a meno di settori molto specifici. Va considerato come spesso molti paesi meno ricchi dell’Italia hanno una familiarità, anche obbligata, a guardare fuori dei propri confini, e questi saranno sempre più produttivi e competitivi su scala globale, anche ai danni dei prodotti italiani. La capacità di relazionarsi con un cliente internazionale, con investitori e partner internazionali, è sempre di più una delle chiavi del successo, e testimonia la freschezza mentale dell’imprenditore. Startupper, the world is your oyster;
3. Aver colto l’importanza dell’Innovazione sociale. L’innovazione sociale è la capacità di riuscire a rispondere a dei bisogni ed esigenze sociali attraverso soluzioni, modelli, processi innovativi, senza avere come primo obiettivo l’ottenimento di un profitto economico, e sono temi che vanno oltre il solo mondo delle startup. Forse, ma dico forse, ci stiamo accorgendo che se non ci occupiamo dell’ambiente, dell’energia, del sociale, siamo destinati a scomparire. A fatica, ma con un ritmo recentemente acceleratosi, si stanno moltiplicando le iniziative legate all’innovazione sociale, a partire dai convegni, alle call for startups, agli investimenti ed ai fondi dedicati, ed il Social Innovation Monitor a cui ha contribuito Italia Startup ed alcuni dei suoi associati va in quella direzione. Una lettura chiave dell’innovazione sociale va data anche in congiunzione con il ruolo che possono svolgere le aziende: non lasciamo sole le startup ad occuparsi anche di questo, ma sollecitiamo le aziende a dirottare, verso le startup che possono creare impatto sociale, parte dell’attenzione e degli investimenti che oggi dedicano a Ricerca e Sviluppo, comunicazione e Corporate Social Responsibility. Non a caso di incontro tra innovazione del business e trasformazione sociale si parla sempre più frequentemente in Silicon valley, come ha testimoniato anche il recente Social Innovation Summit 2018 a San Francisco.
Queste le tre scelte che farei per il futuro dell’ecosistema. Soprattutto punterei sulla prossima squadra, sul prossimo presidente e sul consiglio direttivo, che partono da un’eredità forse non multimilionaria ma interessante, su cui si può costruire.
Raddoppierei la puntata in caso di un presidente imprenditore vero, che sappia coniugare – cosa difficilissima – la sua esigenza quotidiana di fatturato con la capacità di aggregare gli attori dell’ecosistema. Far crescere un’associazione di oltre 2500 associati, portarla a nuovi traguardi, renderla sempre più efficace evitando il rischio che possa involvere verso l’autoreferenzialità, rappresentando un ecosistema che è ancora piccolo, sono alcune delle sfide che si presenteranno.
Abbiamo messo i primi mattoni, adesso serve l’energia di tutti per arrivare ai piani alti.