Per la prima volta in Italia si è tenuta una vera sessione internazionale sul Fintech, il FinTechStage, una due giorni intensa e brillantemente organizzata, dove molti dei protagonisti internazionali dello sviluppo del Fintech si sono confrontati per discutere con passione e competenza l’evoluzione e l’impatto degli investimenti nello sviluppo digitale dei servizi finanziari.
Boom di investimenti
Il Fintech è in pieno boom con investimenti globali più che raddoppiati nel 2014 (ne abbiamo già parlato in diversi momenti) probabilmente per una congiuntura di eventi: le enormi liquidità di investitori, fondi di venture capital ecc, il fortissimo sviluppo tecnologico recente nel settore, le forti legacy IT che ancora permeano i servizi finanziari offrendo quindi grandi spazi potenziali a nuove tecnologie e soluzioni, le dimensioni del settore stesso.
La forte impressione che si ha è che il mondo si stia muovendo a una forte velocità su questo fronte. E che ci sia ancora molto spazio, siamo probabilmente solo all’inizio, in piena fase di distruzione creativa da cui emergeranno le nuove tecnologie, infrastrutture e architetture che modelleranno l’era digitale dei servizi finanziari. Come ha detto qualcuno al convegno non c’è ‘fin’ senza ‘tech’ ormai, è una completa revisione.
“There is no Fin without Tech!” Matteo Stefanel #FintechStageMilan
— CheBanca! (@chebanca) 31 Marzo 2015
Vincitori e vinti
Una bolla? Come tutte le fasi di boom e di distruzione creativa ci saranno vincitori e vinti, investitori, società e banche che avranno la meglio e altre che perderanno. Ma come ha detto uno dei manager che gestisce uno dei più grossi VC attivi sul Fintech, se lui ancora sta cercando dove investire vuol dire che c’e’ ancora tanta strada da fare.
In questo scenario il Paese che ha inventato nel mondo il concetto di Banca è indietro. Lo si vedeva al convegno, lo si legge nelle statistiche. È un’amara constatazione ma i capitali italiani investiti nel Fintech, anche quello non italiano, sono bassissimi. Giusto un numero: circa 21 milioni di euro investiti in Italia nel 2014 contro i 238 della Francia e i 956 del Regno Unito…rendiamoci conto…
Anche quelli di derivazione bancaria o comunque finanziate dalle banche italiane, hanno dimensioni piccole e sono nella maggior parte dei casi concentrati sull’Italia, la maggior parte delle banche italiane attive nel Fintech erano presenti al congresso ma eravamo pochi, pochissimi rispetto al panorama bancario italiano. C’è oggi molto più attivismo di prima in Italia, vero, ma mentre noi ci attiviamo gli altri corrono.
Le startup Fintech italiane sono forse anch’esse ancora troppo timide. Anche se talentuose, chiuse nei nostri confini nella maggior parte dei casi, timide nell’approcciare sia VC sia mercati esteri. Anche al convegno, che era pieno di grossi VC stranieri, ne sono venute ma potevano essere di più.
Onestamente, ma quando capita più di poter parlare in un giorno con i manager del fondo di Santander o quelli di HSBC, Sberbank, BBVA, Anthemis ecc ecc.? Un’occasione persa per chi non è venuto.
I VC stranieri guardano anche all’Italia
Per fortuna qualcosa si sta muovendo, ci sono i first mover: MoneyFarm al Fintech Stage ha annunciato di voler aprire nel Regno Unito, e ci sono altre startup italiane, come Orwell, che hanno direttamente aperto a Londra anche con buon successo considerando l’Italia un Paese di rincalzo, con buona pace del nostro PIL e dei talenti che vanno via. I venture capital stranieri stanno genuinamente cercando le idee del futuro, anche in Italia e lo hanno dichiarato, possibilità ce ne sono. Quando ci sono stati gli incontri anche molto informali tra un drink e un altro alla sera al Talent Garden tra VC stranieri e imprenditori Fintech nostrani, si vedeva che c’è potenziale da un lato, e interesse dall’altro. Ci sono stati molti incontri e le prime cose si sono mosse. Vedremo se nascerà qualcosa, qui ne ho viste di Fintech che potrebbero tranquillamente presentarsi al Finovate.
I tre punti cardine della rivoluzione Fintech
Cosa fare? Il recentissimo report di Accenture The future of fintech and banking sottolinea come sono tre i punti cardine di questa rivoluzione: Apertura, Collaborazione e Investimenti. Questi sono i tre assi critici, le tre leve da azionare. Al convegno tra i banker definiti innovatori italiani si diceva che bisognava proprio condividere di più, anche tra le banche stesse, mettere a fatto comune esperienze e percorsi. C’è molto da lavorare su questo punto. Siamo mentalmente ancora molto “feudali”. E il capitale è un altro punto: gli investimenti italiani ancora troppo piccoli, bisogna avere più coraggio, segno che la trasformazione digitale ancora non ha fatto davvero breccia agli alti livelli. Come qualcuno ha detto, le banche si muovono più per paura che per vera convinzione.
Convinzione, apertura e coraggio. Questo ci vuole.
Chiudo con un ringraziamento a Matteo Rizzi, che ha ideato e organizzato il FintechStage e ha voluto far partire il suo tour da Milano. Un talento italiano andato all’estero da tempo che ha dato a suo modo una chance e una sveglia a tutti.