La digital disruption è arrivata a colpire i servizi finanziari. Più che di un’onda si tratta di una profonda revisione dell’intero paradigma del retailing bancario. Il modello tradizionale di retail banking, vecchio di decenni se non di secoli, sta cambiando per sempre. Basti pensare al flussi più che dimezzati di affluenza nelle filiali, alla crescita vertiginosa del mobile banking, all’affacciarsi sempre più minaccioso delle Fintech e dei vari arrembanti nuovi protagonisti sia interni al settore sia esterni. Il modello di banca generalista è attaccato. E non potrebbe essere diversamente.
Diversi sono i fattori di cambiamento che stanno intervenendo, ma la cosa più importante è che le crescenti pressioni e richieste regolamentari e le spinte digitali alla multicanalità hanno portato i costi operativi delle banche a crescere. In Europa, ad esempio i costi operativi per addetto (costi amministrativi non inclusi quelli del personale) delle grandi banche sono cresciuti di ben il 68% in dieci anni dal 2003 al 2013.
Non solo, le stesse spinte regolamentari e digitali portano anche verso una forte compressione dei prezzi e quindi dei margini. Maggiore trasparenza e maggiori aspettattive del “tutto gratis”.
Pertanto, nonostante il settore in Europa abbia comunque tagliato oltre 250mila posti di lavoro dal 2007 la redditività è molto bassa, circa un quarto di quanto fosse prima della crisi. Le filiali bancarie sono ancora tante, circa 215 mila in Europa e si fa ancora molta fatica a rivedere il modello di retailing.
Il sistema di banca generalista è in difficoltà
È difficile fare tutto, c’è di fatto una complessità non più sostenibile. Le banche hanno in genere sistemi IT ormai vecchi e pesanti, con offerte di prodotti e servizi troppo complesse. Come risultato è stimato che l’IT pesi circa il 14% dei costi delle banche europee, ma allo stesso tempo il 75% questi costi non siano di fatto legati a innovazione. Inoltre l’80% dei ricavi delle banche retailing è fatto dal solo 5% dei prodotti come suggerito da alcune ricerche. Insomma, alti costi, poca resa. Mentre il modello è in difficoltà sempre le nuove regolamentazioni e il digitale portano nuova, letale, concorrenza che cambia le regole del gioco.
Più trasparenza ma anche più liberalizzazioni
Oggi in Europa per avere le funzioni principali di un conto corrente basta avere, volendo, una carta conto emessa da una Imel (istituto di moneta elettronica, creato già da una direttiva europea del 2000, rivista e potenziata nel 2009). Non serve una banca neanche per il servizio di conto quindi. Stesso dicasi in Usa dove esistono già player senza licenza bancaria che offrono conti (Simple, ad esempio acquistata da BBVA un anno fa, come abbiamo raccontato qui). E ancora, cresce lo Shadow banking, oggi stimato in circa 71 trilioni di dollari. Gli asset manager, i fondi pensione sostituiscono ormai le banche nella ricerca di capitali da parte di aziende. Cresce il mercato dei bond non bancari. Nascono infine come funghi versioni ibride di funding che bypassano completamente le banche collegando direttamente finanziatore a debitore, sia esso un individuo o un’azienda o una startup attraverso piattaforme digitali P2P e di crowdfunding sempre più ibride. Le banche, bloccate da requisiti patrimoniali sempre più stringenti e sofferenze sui crediti più che raddoppiate non riescono più a soddisfare la domanda di credito.
2 scenari che spiegano il futuro del banking
Il reshaping del modello di banca sarà forte, articolato e pervasivo. Mi soffermo su due fenomeni principali particolarmente importanti: verticalizzazione dell’offerta dei servizi bancari e finanziari e specializzazione. Disintermediazione e creazione di nuovi marketplaces.
Primo punto: basta vedere la lista delle Most innovative 50Fintech startups stilata da KPMG e AWI a fine 2014 (ne abbiamo parlato qui). Tutti i pezzi del banking sono a rischio. Dai servizi di base e pagamento all’erogazione di credito, dall’ advisory sugli investimenti ai servizi allo small business ecc. In tutti i segmenti ci sono player digitali verticali, quindi specializzati in una funzione. Ha fatto scalpore la quotazione di Lending Club di fine 2014 (ne abbiamo parlato qui) ma da WealthFront a Kickstarter da Kabbage a Dwolla ogni segmento verticale ha il suo Champion e i suoi concorrenti digitali già numerosi e ben finanziati pronti d aggredire. Stanno già iniziando a togliere business alle banche tradizionali. Ad esempio Lending Club ha già intermediato oltre 6 miliardi di dollari di finanziamenti negli Usa. L’”alternative funding” nel Regno Unito nel 2014 ha prodotto finanziamenti per oltre 1,7 milardi. WealthFront negli Stati Uniti ha superato 1 miliardo di asset investiti nella loro piattaforma di digital advisory, Nutmeg nel Regno Unito, con un servizio simile ha già raggiunto i 50 mila clienti e ci sono molti altri player simili che offrono servizi di automated online advisory.
E le banche? Hanno già ceduto pezzi di business in passato. Si pensi a Paypal o al MoneyTransfer o anche più banalmente ai circuiti delle carte di credito o alle reti di mediatori e promotori in Italia. Mentre le banche tradizionali sono entrate in difficoltà la varie Visa Mastercard Amex in questi anni di crisi sono andate a gonfie vele, PayPal nel 2014 ha processato transazioni pari a un valore di circa 230 miliardi, quasi tre volte in più del 2010.
Ma questa volta è più pericoloso. Sono tutti i pezzi del retail banking a rischio. Le banche dovranno scegliere, focalizzarsi, decidere dove investire,per divenire esse stesse Fintech, magari anche acquisendo proprio qualche startup verticale forte e lasciare a questa il presidio piu’ efficiente del proprio segmento o comunque della digitalizzazione dell’offerta, e cosa invece mollare. La sfida verso la riduzione dei costi non è finita. L’operatività di dovrà snellire di fronte alle istanze digitali. Chi non ci riuscirà, dimenticandosi che in realtà le banche sono delle IT companies che trattano denaro, potrebbe scomparire. Ci sono già casi in questo senso, dei first mover, come si diceva BBVA ha comprato Simple negli Usa, sempre in Usa Fidelity ha recentemente acquisito la FinTech e-Money per una cifra stimata di $250mln, specializzata nelle piattaforme di advisory on line. Questa è una via, che sarà sempre più importante.
Ancora più semplicemente le banche potranno dare completamente in outsourcing parte delle proprie fabbriche prodotto modificando le proprie strutture di offerta-servizio interne e efficientizzando mentre digitalizzano i servizi e si concentrano sul delivery multicanale integrato e sull’uso del CRM. La sfida sarà nel non perdere il controllo della relazione con il cliente. Ma se vendi poco con le tue fabbriche vecchie che costano e non sono competitive è anche peggio.
Secondo punto: marketplace. Le banche devono far girare i soldi e possono far incontrare domanda e offerta. Questa è anche la loro funzione. Quindi non c’è nulla di male nel rinunciare alla propria fabbrica prodotto o ridurne i confini, in un verticale non prioritario, e trasformarsi in marketplace mettendo in contatto domanda e offerta e ricavandone delle commissioni, offrendo magari la sicurezza dei propri sistemi e la propria reputazione. Il trust è sempre fondamentale. E le Fintech se vogliono raggiungere le grandi masse hanno bisogno di aiuto nel generare trust e trovare clienti. Potrebbe essere un win – win. Sta già succedendo. Non riesco a soddisfare tutta la domanda di credito? Negli Regno Unito Santander e RBS hanno un accordo con Funding Circle, una Fintech di P2P lending, a cui dirigono piccole imprese loro clienti in cerca di un finanziamento. Un bel win-win.
La coopetition è una soluzione se usata bene. Ancora, diverse banche nel mondo che offrono piattaforme aperte di fondi e prodotti di investimento non propri alla propria clientela. Un bel servizio che funziona. USAA bank è una di queste e si è proprio in generale specializzata nel porsi come marketplace per la propria clientela. In generale questa via, su diversi servizi, si svilupperà molto, c’e’ chi come Fidor Bank o mBank offrono marketplace di e/m commerce ai propri clienti. Anche questo è un servizio. Impossibile fare da soli. Cambiare la mentalità, questo servirà, le banche dovranno essere open alle partnerhsip,anche tra banche stesse. Anche questo è un salto forte, culturale, ma non banale. Se non lo dovessero fare? Il rischio è la disintermediazione. Lo potrebbe fare qualcun altro. Un esempio? Google è azionista di Lending Club, e con questa ha già sottoscritto un accordo per offrire il lending proposto dalla FinTech ai propri partner e fornitori di servizi, alle piccole imprese. Quanto business perderanno le banche americane?
Benvenuti nel nuovo banking che verrà. O meglio, che sta già nascendo sotto i nostri occhi.
Fonti:
Celent: IT Spending in Banking: A Global Perspective, 2015.
Oliver Wyman: The challenges ahead – The state of financial services industry 2014.
PwC – Retail banking 2020. Evolution or Revolution? 2014.
AT Kearney: the 2014 Retail banking Radar. 2014
RES – Ricerche e Studi SpA – Affinità e distanze tra le grandi banche internazionali sulle due sponde dell’Oceano, Fondazione Ugo La Malfa 2014.
Oliver Wyman: A money and information business – The state of financial services industry 2013.
Oliver Wyman: The shape of things to come – What recent story tells about the future of European Banking, 2013
Bain & Company – European Banking -Striking the right balance between risk and return, 2013.
Oliver Wyman: Multichannel banking 2010