Ecco come cambierà il vecchio continente con il digitale. Ma dobbiamo investire meglio i soldi, trasformare reti e infrastrutture, formare i giovani
L’Unione Europea è potenzialmente il più grande mercato unico del mondo. Possiede 500 milioni di consumatori dei propri Stati membri, e altri 500 milioni nelle regioni partner del Mediterraneo e del Nord Africa. La realizzazione di una piattaforma dell’Internet delle Cose per una Terza Rivoluzione Industriale, che colleghi l’Europa e queste regioni in un unico spazio economico integrato, consentirà alle imprese tradizionali e ai prosumer di produrre e distribuire informazioni, energie rinnovabili, prodotti stampati in 3D, e una vasta gamma di altri prodotti e servizi a basso costo marginale nel mercato tradizionale, e a costo marginale quasi zero nella sharing economy.
Dove investire i fondi europei
Nel 2012 il totale degli investimenti europei, su progetti infrastrutturali, ha superato i 650 miliardi euro. Gran parte di questi fondi sono stati utilizzati per la manutenzione dell’obsoleta piattaforma tecnologica della seconda rivoluzione industriale. Se solo il 25% di questi investimenti fosse reindirizzato alla creazione dell’infrastruttura dell‘Internet delle Cose, in ogni singola regione dell’Unione Europea, l’Unione Digitale diventerebbe realtà entro il 2040.
La rete di comunicazione UE, in un prossimo futuro, dovrà essere aggiornata con l’inserimento della banda larga universale e la connessione Wi-Fi gratuita. L’infrastruttura energetica dovrà essere trasformata da quella predisposta per idrocarburi e energia nucleare a quella per le energie rinnovabili. Milioni di edifici dovranno essere resi energeticamente efficienti e convertiti in mini centrali di energia rinnovabile dotate di appositi impianti. L’idrogeno e le altre tecnologie di accumulo energetico dovranno essere costruiti in ogni livello dell’infrastruttura per garantire continuità al flusso di energia rinnovabile.
La rete elettrica dell’Unione Europea dovrà essere trasformata in Internet dell’energia digitale intelligente in grado di gestire il flusso di energia prodotta da milioni di micro impianti energetici “green”. Il settore dei trasporti (e della logistica) dovrà essere digitalizzato e trasformato in una rete a guida GPS automatizzata senza conducenti su strade e sistemi ferroviari “smart”. E dovranno anche essere costruite strade dotate di milioni di sensori, per la fornitura in tempo reale di informazioni sui flussi di traffico e sul trasporto merci.
Tanti nuovi lavori (per i prossimi 40 anni)
La creazione della infrastruttura dell’Internet delle Cose per la Terza Rivoluzione Industriale richiederà l’impegno attivo di quasi tutti i settori commerciali, stimolerà l’innovazione commerciale, promuoverà le piccole e medie imprese (PMI), e darà lavoro a milioni di persone per i prossimi 40 anni. Le società di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, l’industria delle telecomunicazioni, l’edilizia, il settore dell’informatica, l’industria elettronica, quella dei trasporti e della logistica, il settore manifatturiero, l’industria medica e biologica, la grande distribuzione all’ingrosso come al dettaglio: tutti dovranno essere coinvolti. .
Operai semi-qualificati e qualificati, professionisti e lavoratori della conoscenza, dovranno essere impiegati in ogni regione d’Europa per la costruzione e la gestione della piattaforma digitale della Terza Rivoluzione Industriale. Trasformare il regime energetico europeo da combustibili fossili e nucleare alle energie rinnovabili è operazione ad altissima intensità di lavoro e richiede dunque milioni di lavoratori i cui profili professionali sono ancora tutti da formare, e genererà migliaia di nuove imprese. La riconversione energetica di centinaia di milioni di edifici esistenti in micro impianti energetici verdi e la costruzione di milioni di nuovi edifici a energia positiva sarà impresa che richiederà anch’essa decine di milioni di lavoratori. Altrettanti numerosi posti di lavoro e nuove imprese saranno necessarie per l’installazione di tecnologie per l’idrogeno e altre tecnologie di accumulo nell’intera infrastruttura economica per gestire il flusso discontinuo di elettricità verde. La riconfigurazione della rete elettrica europea in un Internet dell’Energia genererà milioni di posti di lavoro di installatori e darà vita a migliaia di startup dell’energia e produzione pulite.
E, infine, ri-orientare il settore dei trasporti dal motore a a scoppio verso la mobilità elettrica e a idrogeno richiederà il rifacimento della rete stradale continentale paese per paese, e relativa infrastruttura di rifornimento. L’installazione di milioni di stazioni di ricarica lungo le strade e in ogni parcheggio è una attività ad alta intensità di manodopera che richiede una forza lavoro considerevole e qualificata.
La migrazione del lavoro: dal mercato capitalista all’economia sociale
La massiccia costruzione dell’infrastruttura dell’Internet delle Cose per una Terza Rivoluzione Industriale in tutta Europa stimolerà un aumento del lavoro salariato di massa che attraverserà due generazioni. Tuttavia, nel lungo periodo, la costruzione di una economia europea digitale e intelligente porterà entro la metà del secolo a un’economia di mercato altamente automatizzata, gestita da una forza lavoro altamente specializzata che controllerà l’infrastruttura utilizzando sistemi analitici avanzati, algoritmi e intelligenza artificiale. La maturazione di questa infrastruttura intelligente porterà ad una migrazione del lavoro da un mercato capitalista sempre più automatizzato a una economia sociale in sempre maggiore espansione.
In tal modo il lavoro degli esseri umani verrà gradualmente sostituito dalle macchine per la produzione di beni e servizi nell’economia di mercato. Ma è chiaro che così non sarà invece nell’emergente nell’economia sociale senza scopo di lucro per la ragione del tutto evidente che l’impegno sociale profondo, e la creazione di capitale sociale, sono imprese intrinsecamente umane che non possono essere portate a compimento dalle macchine.
La crescita dell’economia sociale
L’economia sociale è un campo molto vasto che si estende dall’istruzione alla beneficenza, dall’assistenza sanitaria alla cura di bambini e anziani, dalla tutela dell’ambiente alle attività culturali ed artistiche, allo sport e al divertimento. Tutte attività che richiedono impegno e contatto umano. In termini economici, il mondo del non-profit è una forza potente. I ricavi di questo settore sono cresciuti a ritmo vertiginoso, il 41 per cento (al netto dell’inflazione), per il periodo 2000-2010. Più del doppo del tasso di crescita del prodotto interno lordo, che nello stesso periodo è aumentato del 16,4. Nel 2012, il settore non-profit negli Stati Uniti rappresentava il 5,5 per cento del PIL.
Il mondo delle attività senza scopo di lucro è già il settore a più rapida crescita occupazionale in molte delle economie industriali più avanzate del mondo. A parte i milioni di volontari che liberamente offrono il loro tempo, milioni di altri sono attivamente impiegati. Nei 42 paesi esaminati dal Centro per gli Studi Civili e Sociali dalla Johns Hopkins University, 56 milioni di lavoratori a tempo pieno sono impiegati nel settore non-profit. In alcuni paesi, l’occupazione nel campo senza scopo di lucro costituisce oltre il 10 per cento della forza lavoro. Nei Paesi Bassi siamo intorno ll 15,9 per cento del lavoro subordinato. In Belgio, il 13,1 per cento della forza lavoro è nel settore non-profit. Nel Regno Unito, l’occupazione rappresenta l’11 per cento della forza lavoro, mentre in Irlanda rappresenta il 10,9 per cento. Negli Stati Uniti raggiunge il 9,2 per cento della forza lavoro, e in Canada il 12,3 per cento. Tutte percentuali che, probabilmente, sono destinate ad aumentare nei prossimi decenni come conseguenza del trasferimento dell’occupazione da un’economia di mercato altamente automatizzata a un’economia sociale ad alta intensità di lavoro.
Nonostante la crescita impetuosa dell’occupazione nell’economia sociale, molti economisti guardano ad essa con sospetto. Sono convinti che questo settore non sia una forza economica indipendente, ma sia legata in gran parte a contratti e appalti governativi o da filantropia privata. Inoltre, lo studio della Johns Hopkins University rivela che nei 42 paesi esaminati, contrariamente al parere di molti economisti, circa il 50 per cento del reddito complessivo del settore non profit proviene dai compensi per i servizi erogati, mentre il sostegno del governo incide solo per il 36 per cento delle entrate, e la filantropia privata per solo il 14 per cento. Mi aspetto che entro la metà del secolo, se non prima, la maggior parte degli occupati in tutto il mondo sarà nel settore non-profit: tutti attivamente impegnati nel promuovere l’economia sociale, e solo marginalmente con un accesso marginale a beni e servizi di un mercato capitalistico altamente automatizzato.
John Maynard Keynes (e il futuro dell’Europa)
In un saggio futurista scritto più di 80 anni fa per i suoi nipoti, John Maynard Keynes, immaginava un mondo in cui le macchine avrebbero liberato l’uomo dalla fatica di produrre beni e servizi per il mercato capitalistico. Macchine che gli avrebbero permesso di dedicarsi in profondità alle cose veramente importanti della vita: gli affetti, le attività culturali nell’economia sociale e il perseguimento di obiettivi più alti e trascendenti. Questa potrebbe rivelarsi la sua previsione economica più azzeccata.
A questo punto la necessità è quella di impegnare l’umanità in un colossale sforzo di riqualificazione della forza lavoro esistente e di sviluppo dei profili professionali, delle le nuove categorie produttive e opportunità commerciali. Sforzi che non possiamo rimandare e che serviranno a facilitare la costruzione della piattaforma mondiale dell’Internet delle Cose. Contemporaneamente, gli studenti dovranno essere formati per le nuove competenze professionali necessarie a coprire le opportunità di lavoro che si apriranno nell’economia sociale. Si tratta di uno sforzo erculeo, ma la razza umana si è già mostrata capace di sforzi simili in passato, in particolare nel rapido passaggio da un’economia agricola a un modo di vita industriale tra il 1890 e il 1940.
L’alternativa è quella di rimanere intrappolati nel tramonto della seconda rivoluzione industriale, con minori opportunità economiche, un rallentamento del PIL, diminuzione della produttività, l’aumento della disoccupazione, e un ambiente sempre più inquinato è totalmente improponibile, e metterebbe l’Europa su un percorso di stagnazione economica e di declino della qualità della vita dei suoi cittadini
Jeremy Rifkin