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LONDRA – Il 10 Marzo MoneyFarm ha aperto ufficialmente al mercato inglese. Dopo il finanziamento record, per una startup italiana, di 16 milioni di euro ricevuti a novembre 2015 dal fondo londinese Cabot Square Capital e dalla milanese United Ventures, annuncia ufficialmente l’inizio dell’operatività nel mercato UK, diventando di fatto l’unico digital wealth manager operante su più mercati in Europa con oltre 60 mila utenti.

Welcome in London, MoneyFarm

Abbiamo incontrato il co-fondunder di MoneyFarm Paolo Galvani, nella sede provvisoria di Londra all’interno di WeWork, uno dei più grandi gruppi di co-working al mondo, nel cuore della City londinese.

Paolo-Galvani_MoneyFarm

Si dice che in Italia non sia facile reperire i capitali per scalare, i round di serie A per intenderci. Voi ci siete riusciti invece.
«La fatica degli italiani nel farsi dare i soldi dall’estero è un po’ la somma di alcuni diversi aspetti – c’è una grande produzione di nuove startup, però a livello di sistema mancano dei pezzi importanti. Primo fra tutti il problema della diluizione delle quote. Gli imprenditori nostrani sono molto restii a cedere quote agli investitori, senza rendersi conto che invece è un passaggio necessario a crescere. Altrimenti il 100% di una cosa che non vale nulla non ha molto senso. Io poi ho fatto fintech in Italia dalla prima ora con “Prestiamoci” la prima peer-to-peer lending italiana. È stata la miglior scuola che potessi fare. Sembra banale dirlo, ma ho imparato moltissimo dai miei errori. Lezioni che poi sono state fondamentali per Money Farm».

Avete lanciato la vostra startup a Londra, come è andata?
«L’evento di presentazione è andato molto bene, c’era un gruppo ristretto e molto selezionato di persone e tutti inglesi. Avevamo investitori, VC, rappresentati delle Big Four, ma anche giornalisti dell’Economist, Financial Times, Bloomberg. Insomma ottimo evento, per conoscerci e per fare network con Londra».

Perché fare fintech in Uk

Paolo, come mai Londra e perché è davvero cosi importante avere una sede qui per internazionalizzare?
«Beh, vedi, noi abbiamo sempre avuto in mente l’idea di diventare una piattaforma Europea. Era nei nostri piani sin dal primo giorno, quindi dopo tanti anni passati ad esplorare il mercato abbiamo deciso che i tempi fossero maturi per aprire una sede qui. Il prodotto è stato lanciato ora, ma noi abbiamo una presenza già da diversi mesi. Io poi personalmente conosco molto bene il mercato avendoci già passato diversi anni quando ero più giovane. Diciamo che Londra è il posto ideale da dove far partire questo processo soprattutto se, come noi, operi nel fintech. Per altri settori invece…»

Invece?
«Sono d’accordo con chi dice che è meglio avere R&D in Italia e Marketing e biz dev a Londra. Qui sono riusciti a fare quello che purtroppo noi in Italia ancora non abbiamo fatto. Cioè mettere assieme tanti diversi player, dal pubblico, al privato, ai regolatori, tutti si sono messi d’accordo e hanno deciso che questo doveva essere il polo dell’innovazione. Lasciando stare il Brexit per un momento, sono stati bravissimi a fare sistema! Quindi trovi capitale finanziario, umano, le infrastrutture, il network, eccetera. Più frequento eventi qui a Londra più mi accorgo che anche gente della Silicon Valley riconosce la validità del sistema creato qui. Soprattutto per il Fintech e poi la vicinanza col centro finanziario più importante d’Europa».

Credi che una LTD (Limited Company) agevoli la raccolta dei capitali?
«Uno dei fondi che ha creduto in noi è Cabot Capital, un fondo inglese con sede qui a Londra. Abbiamo avuto la fortuna di essere stati intercettati da loro mentre eravamo in Italia e si sono interessati ai nostri numeri prendendo contatto con me personalmente. Io, come ti dicevo prima, ho sempre avuto il pallino di scalare internazionalmente e, per farlo, avevo già in mente di creare una “holding” come veicolo per nuovi investitori».

Quando però è arrivato Cabot ha insistito perché la holding avesse sede a Londra

«C’è poco da fare, avere una sede su Londra è ancora importate. Questo però al netto del referendum di giugno sull’uscita dall’Unione Europea che potrebbe cambiare totalmente gli scenari».

The City London

Italiani a Londra

Invece dal punto di vista umano e della qualità della vita, pensi che Londra sia più avanti anche su quello?
«
Direi proprio di no, dopo anni che ho vissuto qua, gli amici inglesi si contano sulle dita di una mano. Però la grande forza di Londra sta proprio nella sua internazionalità. Guarda il mio team ad esempio: il 60% è multiculturale e il restante 40% è italiano. Trovo che quella inglese sia una società piuttosto stratificata e formata da enclavi nelle quali diventa difficile entrare. In effetti è una forma che viene data fin dalla scuola che già è divisa tra grammar school, private school ecc. Ma ripeto, la grande forza è che qui vengono i migliori talenti da tutto il mondo e tra noi emigrati si tende sempre a fare più sistema».

Quindi viva Londra…
«Se hai voglia di competere è la città che ti dà mille possibilità, però bisogna mettersi in testa che qui si compete coi migliori al mondo, altrimenti questa città ti divora. Dall’altro lato, invece, se arrivi qui col bollino di chi ha già fatto impresa in Italia… ecco penso che voglia dire aver dimostrato qualcosa in più. Nel nostro paese abbiamo delle storie bellissime di chi è riuscito a scalare internazionalmente dalla Sicilia! Penso a Mosaicoon, hanno fatto grandissime cose! Sfido io un inglese (sorride, ndr) a fare una scale up in Sicilia!».

Marcello Mari
@dotnever

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