Nella mappa del fintech salta subito all’occhio un dato: Nei primi sei mesi del 2015, gli investimenti nel settore in UK sono stati 5,4 miliardi, più di quanto sia riuscito a mettere insieme il resto d’Europa (che arriva a 4,4 miliardi).
La regione viaggia a velocità tripla: gli investimenti sono cresciuti, dal 2008 a oggi, del 74% l’anno. La media mondiale si ferma al 27 per cento. La Silicon Valley al 13 per cento.
E la corsa non rallenta. Nel 2014 i venture capital avevano puntato sul fintech britannico 487 milioni di dollari. Anche grazie ai round di Funding Circle (150 milioni), WorldRemit (100 milioni) e TransferWise (58 milioni), sono bastati i primi nove mesi del 2015 per arrivare a 554 milioni. Più del doppio degli investimenti 2013 (265 milioni). Non si tratta di picchi sporadici: sono frutti maturi di un intero movimento che vale 20 miliardi di sterline (31 miliardi di dollari).
Londra, la città degli unicorni contro i giganti
È così che nascono gli unicorni fintech. In tutto il mondo, sono 24 quelli che valgono più di un miliardo di dollari. Quattro (TransferWise, Funding Circle, Powa Technologies e Markit) hanno sede a Londra. Il podio dei più preziosi traccia non a caso un percorso che tocca i tre grandi hub mondiali: la Cina (Lufax), la Silicon Valley (Square) e, appunto, Londra (con Markit).
Un unicorno fintech su sei è britannico. Un piccolo miracolo per una Paese di 64 milioni di abitanti, che gareggia quantomeno alla pari con la Cina (che di abitanti ne ha 1,4 miliardi) e gli Usa (cha ha un Pil sei volte maggiore). Di miracoloso, però, non c’è nulla. I risultati sono frutto di programmazione, di un sistema finanziario forte e del sostegno statale (vedi alla voce Fisco).
5 ragioni per scegliere il Regno Unito (secondo il governo)
Sul fintech il governo britannico ci ha messo la faccia. Il cancelliere dello Scacchiere George Osborne (il ministro delle Finanze) ha posto un obiettivo chiaro:
Voglio che UK guidi lo sviluppo mondiale del fintech. È questa la mia ambizione.
Il governo ha anche dedicato un paper nel quale spiega perché il Paese rappresenti “un ambiente unico per la crescita” del settore.
Consumatori all’avanguardia: i britannici si dimostrano aperti ai nuovi sistemi di pagamento. Un dato che si affianca a un’altra certezza: già nel 2012 la spesa pro-capite in e-commerce era tripla rispetto alla Germania e doppia rispetto alla Francia.
La forza della City: Londra è un centro nevralgico per i servizi finanziari. Il settore vale il 9,4% del Pil e dà lavoro a 1,1 milioni di persone. Una ricchezza che si traduce nella capacità di attirare talenti e grandi istituti (le banche straniere con una sede a Londra sono più di 250).
Investimenti in crescita: il mondo finanziario ha capito che per sopravvivere deve trasformarsi. Ecco perché reperire capitali è più semplice che altrove.
Ecosistema fintech: l’apertura del Paese alle startup ha consentito la fioritura di acceleratoti (come Startupbootcamp FinTech, L39, Barclays Accelerator e Bold Rocket) dedicati al fintech. Il movimento cresce anche grazie a Tech City, il cluster voluto da James Cameron, e NewFinance, un network di 4 mila professionisti impegnati nell’innovazione finanziaria tramite la tecnologia.
Fisco amico: lo Stato ha incoraggiato l’innovazione attraverso una serie di incentivi fiscali quali l’Enterprise Investment Scheme, il Seed Enterprise Investment Scheme, l’Entrepreneurs’ Relief, l’Employee Share Scheme e il tax credit sulla ricerca e sviluppo. Misure che valgono per tutte le startup, ma che – circondate dal sistema finanziario – hanno creato un mix unico.
Paolo Fiore
@paolofiore