L’incontro è stato l’occasione per fare il punto sulla suite per ufficio libera, per riflettere sulla pervasività del mondo open e fare un bilancio sul rapporto tra PA e Openness
Più di 200 persone provenienti da 32 paesi per parlare di openness per la tre giorni (dall’11 al 13 ottobre) della conferenza annuale di LibreOffice organizzata da The Document Foundation, che quest’anno è stata ospitata in Campidoglio a Roma, grazie al patrocinio dell’assessorato Roma Semplice. È stata una settimana intensa per l’open source e la Pubblica Amministrazione: dopo infatti il grande hackathon che ha coinvolto più di 800 sviluppatori in tutta Italia, il dibattito sull’openess è proseguito nella conferenza internazionale voluta da The Document Foundation. L’incontro annuale è stato un momento per fare il punto sulla suite per ufficio libera che vanta milioni di download su tutti i computer del mondo. Allo stesso tempo è stata un’occasione per riflettere sulla pervasività del mondo open e fare un bilancio sul tema PA e Openness. Madrina dell’iniziativa, oltre a Marina Latini, presidente di The Document Foundation, l’assessora a Roma Semplice Flavia Marzano, che ha colto l’occasione per presentare i dati del lavoro dell’amministrazione della Capitale: «Quasi 200 persone di 32 paesi alla conferenza di LibreOffice. Anche questo un passo di Roma Capitale verso l’adozione di software libero. Un cammino iniziato a ottobre 2016 con la delibera, continuato con l’installazione di LibreOffice si centinaia di computer. La strada è lunga ma ogni lungo cammino inizia con un primo passo e noi ne abbiamo già fatto molti».
PA e Openness: cosa dice la legge
Era l’estate del 2012 quando, dopo il CAD del 2005 artt. 68 e 69, il Governo Monti, con la legge numero 134 del 7-8-2012 del Decreto Sviluppo 2012 chiedeva alle pubbliche amministrazioni di preferire a soluzioni basate su software libero. Oggi sempre più emerge la necessità, per la PA, di affidarsi a soluzioni aperte, in particolare per la gestione e la conservazione dei dati dei cittadini, che sono, sempre di più, una ricchezza da dover tutelare. Allo stesso modo la necessità di rivolgersi al mondo Open, offre quella garanzia di pluralità, sicurezza e possibilità di riuso del codice necessario ad effettuare un cambio di passo nella qualità, efficacia ed economicità dei servizi. Ultimo, ma non meno importante, l’aspetto dell’indipendenza dai fornitori e della sovranità tecnologica, che permette alla PA di scegliere in base a criteri di trasparenza rifuggendo dalla trappola del lock-in tecnologico.
OpenSource: miti e libertà fondamentali
Nonostante l’Open source abbia dimostrato da tempo la sua validità come alternativa al software proprietario(un progetto come LibreOffice che in soli 4 anni, si è affermato come uno dei più grandi successi nella storia dell’industria del software, con oltre 200 membri che rappresentano 50 Paesi o comunità linguistiche, in tutti i continenti abitati ne è l’ennesima riprova) non mancano pregiudizi in merito a queste tecnologie. I principali dubbi nell’adozione delle soluzioni open source risiedono soprattutto sulla sua affidabilità, sui dubbi sulla manutenzione e su una certa connotazione politica che sembra essere correlato ad esso – come se il software potesse avere un colore politico.
Condividere la conoscenza
Quello che invece ancora una volta è stato ribadito è la necessità di condividere la conoscenza: il software oggi è diventato lo strumento di accesso e mediazione alla conoscenza stessa, e le lettere di un alfabeto della buona amministrazione (Open Agenda, Open Balance, Open Code, Open Governament ecc) si appoggiano necessariamente sulle 4 libertà fondamentali dell’open source:
- Libertà di usare il programma senza impedimenti
- Libertà di studiare il codice disponibile e modificarlo in base alle proprie esigenze
- Libertà di distribuire copie del software
- Libertà di pubblicare una versione modificata del software