Il Tribunale di Milano lo giudica colpevole di truffa. Tre anni di reclusione e quasi 190mila euro di danni da risarcire. Già presentato il ricorso in appello
La sezione penale del Tribunale di Milano ha condannato Massimiliano Uggeri a tre anni di reclusione per il reato di truffa (art.640 del codice penale), condannandolo inoltre a risarcire 186mila euro di danni patrimoniali alle parti civili, a 1.300 euro di multa e al pagamento delle spese processuali. Mancano ancora le motivazioni della sentenza, per quello si dovrà attendere i tempi canonici, ma si tratta della conclusione del primo grado di giudizio dopo le accuse piovute addosso a Uggeri nel 2014.
© Ph. Luca Matulli
La storia del Reverendo
La storia pubblica di Massimiliano Uggeri – da molti conosciuto anche come “Il Reverendo”, uno dei suoi nickname – parte negli anni ’90: è allora che inizia a farsi strada prima come hacker, poi come sviluppatore di app, e poi ancora come socio di startup e ancora come investitore. Una parabola partita dal Politecnico di Milano dove aveva studiato e aveva fama di hacker, passando per il MIT e conclusa col ritorno in Italia dove era diventato una figura nota per questioni tecniche e strategiche legate al mondo Apple e a quello di chi fa impresa.
Nel 2014 erano però venuti al pettine alcuni nodi: 16 denunce depositate a suo carico per operazioni relative alla creazione di una serie di società di diritto britannico, società che sarebbero dovute servire a mettere in piedi il business di startup con cui lo stesso Uggeri era entrato in contatto e a cui si era offerto di dare una mano a vario titolo. Società che però erano finite tutte per naufragare, secondo le accuse rivolte a Uggeri perché non venivano costituite o altro non erano che scatole vuote: le cifre versate per la loro nascita, o per lo sviluppo delle stesse, non avevano prodotto i risultati sperati.
All’epoca dei fatti Uggeri si era giustificato su queste stesse pagine spiegando di essere finito in un giro di prestiti a tasso di usura: per venirne fuori aveva cercato di restituire quei prestiti nel più breve tempo possibile, impiegando tutti i capitali nelle sue disponibilità. Situazione che aveva finito per pregiudicare il suo lavoro: ovvero quello di consulente e socio di startup, a cui offriva supporto burocratico, supporto nello sviluppo o nella strategia. La sentenza punta il dito su un comportamento proditorio di Uggeri, che avrebbe insomma gestito i propri affari in modo improprio.
La sentenza ha escluso dalla condanna falso e diffamazione. Questi ultimi due reati si sono disinnescati in Tribunale: il falso in scrittura privata è stato depenalizzato, la diffamazione non sussiste. Resta però la truffa, quella sì confermata dal giudice, e che potrebbe costare a Uggeri la reclusione – anche se la modesta entità della pena potrebbe evitargli il soggiorno in carcere.
La versione di Max
Abbiamo cercato di raggiungere Massimiliano Uggeri per ottenere la sua versione dei fatti, alla luce della sentenza. Uggeri ci ha rimandato, come è consuetudine in questi casi, al suo legale: l’avv. Matteo Picotti ci ha ribadito che la sentenza “è già stata oggetto di ampia impugnazione, non condividendo alcuno dei punti e dei capi della decisione che hanno portato ad una condanna solo parziale dell’assistito”. In altre parole l’avvocato Picotti ci annuncia che è già stato avviato il ricorso per l’appello, spiegandoci anche i motivi che hanno lasciato insoddisfatto il suo assistito.
Nell’interpretazione data alla sentenza dal legale di Uggeri, infatti, esiste una incomprensione di fondo su cosa sia accaduto tra il 2012 e il 2014 (periodo a cui si fa riferimento in questa vicenda): il fallimento delle startup di cui Uggeri era socio o consulente non è stata causata da un comportamento volto a penalizzarle, bensì dalla situazione economica dello stesso imputato. Nelle parole di Picotti, il “fallimento delle iniziative imprenditoriali e la conseguente mancanza di capitali da parte di Uggeri” è stato la causa di quanto è accaduto. In un episodio di quelli di dibattuti in Tribunale il giudice ha anche accolto questa versione: non per gli altri, tuttavia.
C’è un altro aspetto che la difesa di Uggeri lamenta, ovvero la mancata verifica della costituzione delle società che invece all’epoca dei fatti l’accusa diceva mai create: abbiamo potuto verificare con pochi clic che a Massimiliano Uggeri fanno riferimento almeno una mezza dozzina di società di diritto britannico (più un altro paio: qui e qui), a oggi tutte chiuse. Nella sua decisione il giudice, secondo la difesa, non avrebbe tenuto conto di queste informazioni: che sono state depositate nuovamente assieme alla richiesta di appello.
Potremmo sintetizzare la posizione della difesa in questo modo: Uggeri ci ha provato ma è rimasto senza soldi e non ha più potuto lavorare, gradualmente la situazione si è incancrenita fino a quando non è scoppiato il bubbone. Non c’era l’intento di truffare chi poi ha denunciato Uggeri. “Il fallimento dei progetti è stato dovuto esclusivamente, come detto pure dal Tribunale, al fallimento imprenditoriale di Massimiliano Uggeri e non di certo a presunte quanto indimostrate ipotesi di truffa – conclude l’avv. Picotti – Si confida, pertanto, nella riforma più ampia della sentenza di primo grado”.
Questa tesi, che sicuramente sarà stata sostenuta in Tribunale, non ha però convinto il giudice. Che ha invece ritenuto le azioni compiute da Uggeri come dolose. Vedremo cosa succederà nel secondo grado di giudizio.
E l’altra campana?
Abbiamo cercato di rintracciare anche chi Uggeri l’ha denunciato, nel 2014, ma fin qui non abbiamo avuto fortuna. Chi siamo riusciti a contattare ha declinato il nostro invito, preferendo far parlare la sentenza. Naturalmente siamo a disposizione per riportare anche osservazioni e precisazioni di chi, in questo primo grado di giudizio in Tribunale, ha vinto.