Sotto la “coperta di Linus” della finanziaria non ci saranno soldi per tutti. Con una nazione che stenta ad agganciare la ripresa e scarsi fondi investiti nell’innovazione, presto bisognerà chiedersi come investire quel poco a disposizione
Parliamo di 4,3 miliardi di euro… Meglio investirli in innovazione o spenderli per i migranti sui gommoni?
Chi è particolarmente sensibile, buonista oppure ha votato un partito che predicava l’accoglienza a braccia aperte dei migranti descrivendoli come “risorse” o “il futuro stile di vita per gli italiani” è pregato di non leggere oltre.
Prima di affrontare il tema principale un piccolo sguardo alla tematica migranti.
Come riporta una recente analisi dello OIM (organizzazione Internazionale Immigrazione) “in Italia nel 2015 e nel 2016 si è registrato un significativo numero di arrivi di migranti e richiedenti protezione internazionale provenienti principalmente dalla Libia ed originari dei paesi dell’Africa occidentale e del Corno d’Africa. Dall’inizio del 2017 ad oggi in Italia è stato inoltre rilevato un aumento dei migranti provenienti dai paesi dell’Africa Occidentale ed una sensibile diminuzione di coloro che arrivano dai paesi del Corno d’Africa.”
Sono migranti economici. Cioè persone che, non trovando una situazione economica positiva nella nazione di origine (un lavoro, una situazione sociale conforme al loro credo o aspettativa di vita) decidono di emigrare verso altre nazioni. Personalmente credo che ognuno abbia diritto a cercare la propria felicità (che si connota spesso, anche attraverso un’occupazione economicamente soddisfacente).
Il problema dell’immigrazione dei gommoni verso l’Italia non è solo un problema di quantità (di recente diminuita) ma di qualità. La questione interesse nazionale dell’Italia, soprattutto nel campo dell’innovazione, e l’acquisizione all’estero di risorse qualificate per sostenere tale innovazione diventa di primaria importanza, considerando le sfide future che ci aspettano.
Ci sono migranti di seria A e serie B? Brutto a dirsi ma sì.
Semplificando molto, di serie A sono coloro che hanno i soldi, le risorse mentali e sociali per permettersi un volo aereo, poi un approccio legale nel richiedere il domicilio in Italia e cominciare un percorso di integrazione sociale ed economico nel tessuto lavorativo ed economico della nostra nazione. Ho intervistato e scrivo di questi casi di successo su altre testate, e ne vado fiero. Che arrivino e, dopo aver aperto una partita iva, diventino imprenditori, o divengano dipendenti sono benvenuti, a mio avviso. Sono cinico? Non saprei. Vediamo una nazione, che spesso prendiamo ad esempio, come si è comportata.
La signora Merkel, nella sua politicamente corretta visione di una immigrazione ordinata e precisa, aveva chiesto gentilmente di avere solo gli emigranti ( in questo caso profughi di guerra) utili siriani. La ragione è semplice, la popolazione media siriana è urbanizzata, i cittadini siriani sono parte di una nazione con una tradizione commerciale, di studi, di lavoro con alti livelli di qualificazione: medici, ingegneri, scienziati. Tutte figure utili alla Germania sempre alla ricerca di personale di qualità (magari) a prezzi (costo lavorativo) scontati.
La scelta della signora Merkel è comprensibile ed economicamente corretta. E noi Italiani? In Italia, stando ai dati OIM prima citati, il numero di profughi è piuttosto limitato, la stragrande maggioranza sono migranti economici. Nulla di negativo ma quali sono le loro qualifiche? Possono essere utili in una nazione che ambisce a tenere il passo (a volte a fatica) con le altre nazioni del G8. Siamo una nazione che sta investendo, a fatica, soldi e risorse nell’industria 4.0 (ora chiamata impresa 4.0), in una serie di tecnologie avanzate che richiedono personale altamente qualificato (che inutile negarlo si stenta a trovare sul territorio). In Italia servono ingegneri, esperti informatici, programmatori, un’intera classe di persone che, arrivando da nazioni con un alto livello di scolarizzazione, possano contribuire all’interesse nazionale ed economico. Tanto per intenderci risorse umane provenienti da paesi dell’ex blocco sovietico o dalla Russia stessa hanno un livello medio di scolarizzazione d’interesse per l’Italia. Basta scorrere le analisi dell’Onu.
Qual è la situazione dell’educazione in Africa? Il Brooking institute traccia un panorama desolante. Nella suo progetto Africa Learning Barometer spiega con semplici dati forniti dai governi delle nazioni africane stesse (quando tali dati vengono resi disponibili) come il livello di scolarizzazione ed educazione sia estremamente basso.
Detto in modo brutale ad una nazione che mira a innovarsi e i cui settori (e aziende) di innovazione mirano ed acquisire risorse umane (italiane o straniere) serve una forza lavoro con scarsa scolarizzazione e qualificazione lavorativa bassa o inesistente (per il settore di riferimento)? Semplicemente no.
La stragrande maggioranza dei cittadini africani che sono sui barconi provengono da nazioni che non sono in guerra. Non sono profughi di guerra ma semplici migranti economici, che hanno tutti i diritti di ricercare un futuro migliore, ma non per questo devono essere un peso per le economie dei paesi dove essi si dirigono.
L’analisi dello OIM ci indica da dove provengono questi migranti economici: Nigeria (22% del campione) seguito da Eritrea (10%) Ghana (quasi il 10%) Nessuna di queste nazioni è interessata da una guerra, al momento della redazione di questo articolo. Circa il 60% di questi migranti sono cresciuti in piccole cittadine o villaggi. Questo aspetto influenza anche l’aspetto educativo dove, come spesso succede in paesi in via di sviluppo, le opportunità di formazione e studio sono più abbondanti nei grandi agglomerati urbani rispetto ai piccoli centri. Il 75% dei migranti intervistati nell’analisi (pagina 33) hanno al massimo un’educazione di livello secondario (scuole medie e equivalenti). Ben al di sotto delle necessità educative richieste per intraprendere un lavoro economicamente qualificato in Italia (non discutiamo nemmeno per una attività in ambito di innovazione e settori affini).
Quali sono le prospettive di educare questi migranti e integrarli in tempi brevi (per essere pratici renderli cittadini produttivi ed economicamente attivi del tessuto sociale e innovativo italiano)? Solo il 10% circa di loro (pagina 37) parla italiano. La maggioranza (62%) parla inglese, ottimo se il loro futuro è quello di essere integrati in una nazione di lingua inglese. Il loro percorso di formazione implicherà un passaggio diretto alla formazione professionale senza prima richiedere anni di formazione linguistica italiana (e/o aggravio per le casse italiane di avere docenti bilingue pagati dallo Stato).
L’analisi su quanto i migranti africani dei gommoni possano essere utili all’innovazione italiana potrebbe continuare a lungo ma, per brevità, preferisco terminare qui.
Un’ultima provocazione. Il Ministero dello sviluppo economico, secondo i dati del primo settembre 2017, avrebbe previsto di stanziare 3,6 miliardi (slide 15 fonte mise Invitalia) a supporto degli investimenti. La spesa per i migranti (documento mef pagina 55) per il 2017 è stata stimata intorno ai 4,3 miliardi. Di questa cifra (tabella successiva dello stesso documento) una ridotta percentuale sarebbe destinata ai salvataggi in mare (diciamo l’aspetto che più colpisce i media), la grande maggioranza delle spese, invece, vanno per accoglienza e istruzione.
In autunno si dovrà discutere la finanziaria, e non ci sono soldi per tutti (non credo sia un segreto per nessuno). Mi domando, se tale cifra (4,3 miliardi di euro circa) fosse investita per supportare l’innovazione, invece che spesa per i migranti, sarebbe di maggior beneficio al tessuto economico, alle imprese e ai cittadini che in esse operano, sul territorio nazionale?
Lascio al lettore decidere. Le recenti elezioni hanno premiato 2 partiti o coalizioni che hanno una visione verso i migranti dei gommoni molto decisa. Credo che il popolo italiano abbia dimostrato di avere una vaga idea se sia più utile destinare quei 4,3 miliardi di euro all’accoglienza dei migranti o al benessere economico dell’Italia (supportando l’innovazione).