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«No alle criptovalute anonime, ci piacciono quelle pseudonime», lo ha ribadito più volte l’On. Stefano Quintarelli, direttamente sul gruppo facebook Bitcoin Italia, che riunisce quasi 5 mila tra appassionati, operatori ed esperti della criptomoneta più famosa al mondo e del “motore” che la fa girare, blockchain. Il casus belli è sua proposta di legge, annunciata dallo stesso Quintarelli (e sottoscritta da altri 13 parlamentari, di cui però non conosciamo i nomi) a 24 ore dal lancio di ZCash, la nuova cryptocurrency open source che garantisce anonimato e trasparenza assolute delle transazioni, a differenza di bitcoin dove queste ad oggi non avvengono in forma completamente anonima ma pseudonima. E solo per un “difetto” alla base dell’algoritmo che sarà fixato presto, dicono gli esperti.

Stefano Quintarelli, deputato

Stefano Quintarelli, deputato

In realtà, il problema di vietare o meno per legge l’anonimato delle transazioni con criptovalute, però, più che una questione tecnologica mette al centro del dibattito un tema etico e politico, poiché ponendosi come scopo quello di contrastare riciclaggio e finanziamento di attività criminali e/o terroristiche, potrebbe minare direttamente la privacy degli utilizzatori. Di tutti, non solo dei malintenzionati.
Può la politica creare nuove leggi che vietino alle persone di poter acquistare, fare (o nascondere) in casa loro ciò che vogliono prima ancora di sapere se questo sia lecito o illecito? Può il legislatore proibire la matematica, ovvero la crittografia? Sono solo due degli aspetti più complicati della questione. Per capirne le ragioni e il reale stato delle cose ne abbiamo parlato con il diretto interessato.

«Ancora nessuna proposta definitiva»

Onorevole Quintarelli, ha annunciato di aver depositato la proposta di legge sulle cryptocurrencies, ma non siamo riusciti a reperire il testo originale né sul sito della Camera né sul suo…
«Perché non c’è una proposta definitiva».

E allora cosa ha depositato?
«Chi conosce le dinamiche parlamentari di una proposta di legge sa che si possono presentare solo poche righe e qualche titolo, per avviare l’iter legislativo, poi si articola e si integra nelle settimane e nei mesi successivi. L’importante era porre ufficialmente la questione».

Perché ritiene che le criptovalute anonime debbano essere dichiarate illegali?
«Se dicessi che sto lavorando a una proposta per introdurre il divieto di sorpasso in Italia, vuol dire che tutti i veicoli devono stare sempre in corsia? No. Premesso che è una bozza, io quello che voglio fare è porre la questione cryptocurrencies anonime e del loro rapporto con questioni di antiriciclaggio. Non è che si risolvono i problemi del mondo andando a vedere di risolvere i problemi associati alla criptocurrency, ma siccome è una tecnologia esponenziale in un certo senso aiuta».

Leggi e crittografia

Una tecnologia che è anche e soprattutto una scelta politica. Il pensiero di fautori e utilizzatori di criptovalute sostanzialmente è “dei miei soldi faccio ciò che voglio, senza passare dal controllo di governi e banche centrali”…
«E io sono stato tra i primi in Italia, nel 2014, a fare degli eventi e incontri per sostenere la liceità dell’uso di bitcoin, ma suggerendo in questi incontri anche di fare le attività di regolamentazione anti money laudering in capo agli exchange, che fanno un lavoro professionale. Sono passati due anni e mezzo e questo ora è un orientamento condiviso».

Condiviso da chi?
«Da regolatori e legislatori. Le regole sono importanti. Io ho fatto il primo provider italiano quando le telco hanno detto “puoi farlo”, il fatto di avere delle regole dà chiarezza al mercato. La questione è qual è il punto di equilibrio che vogliamo trovare. In una repubblica parlamentare le leggi le fa il parlamento, non può esserci anarchia. Non possiamo fare ragionamenti del tipo“non tocchiamo niente che tutti facciano quello che vogliono”. Non sono un anarchico, lo dichiaro, un anarchico può dire “chiunque faccia quello che vuole”. Un’organizzazione sociale ha bisogno di uno Stato che organizzi queste cose, e l’organo che deve farlo è il Parlamento. La decisione “non facciamo niente” non può essere presa al di fuori del Parlamento».

D’accordo Onorevole, ma come si fa a normare la crittografia?
«Non è che puoi ottenere che la crittografia non venga usata per legge. Se potessimo risolvere i problemi per legge saremmo tutti felici, perché faremmo una legge che imponga “tutti devono essere felici”. Il punto di equilibrio tra me e quelli che in queste ore criticano, dal mio punto di vista se c’è qualcosa su cui non ho cambiato idea negli ultimi 10-15 anni è che in queste cose ci debba essere una forma di anonimato protetto. Poi dobbiamo decidere come si fa, chi ha il potere di controllare, e via dicendo. Può esistere una forma di anonimato protetto in grado di arginare il rischio di uso di cryptocurrencies anonime su riciclaggio senza limitare per questo i diritti delle persone a fare i propri acquisti anonimamente? Io sono contro l’idea dell’uomo di vetro. Ognuno ha diritto alla sua privacy, comprare un crocefisso o un vibratore, tenerlo in casa propria e farne ciò che vuole, come vuole e dove vuole e non rischiare che un futuro despota vada a prendere a casa lui o i suoi figli per l’acquisto fatto anni prima. Il punto è come trovare questo punto di equilibrio, c’è un problema che è tecnologico, giuridico e politico».

Problema che lei ha voluto sollevare con una proposta di legge che però ancora non c’è…
«L’ho fatto perché nel momento in cui annunci l’inizio di un deposito c’è molta attenzione tra gli addetti ai lavori. E quello che sta accadendo in queste ore mi dà ragione».

Il delicato rapporto con comunità italiana bitcoin e blockchain

Ha mandato su tutte le furie la community italiana, non crede che forse sarebbe stato meglio consultare prima tutti gli attori dell’ecosistema?
«Convegni se ne fanno tanti. Parliamoci chiaro, questa non è una cosa che risolvi in Italia. Adesso a Bruxelles si discute di sharing economy sulla base anche della nostra proposta italiana, una proposta molto criticata quando l’abbiamo annunciata, ma che poi è stata integrata, migliorata, e ora presa a modello. Ora dopo aver annunciato questa proposta sulle cryptocurrencies ho avuto due ricercatori che stanno in Usa che non conosco e che mi hanno scritto dicendo che sono interessati a lavorare a questo tema, non l’avrebbero mai saputo se avessi fatto un convegno alla camera invitando solo i miei amici e la gente che conosco io!».

Quindi ora cosa intende fare?
«Con i tempi dovuti si affronterà la questione con tutti quelli che ci vogliono stare».

Dal punto di vista normativo, la sua proposta andrà a modificare la legge sui money transfer?
«A dire il vero la proposta è talmente acerba che non c’è ancora neanche un riferimento normativo. Allo stato dell’arte è una proposta che prevede di trovare un punto di equilibrio per limitare il fatto che queste criptovalute vengano utilizzate per attività di riciclaggio. Qualcuno può dire “non serve”, va bene, ma in una repubblica parlamentare non funziona così».

Niente carcere per i trasgressori

Ok, non c’è ancora nessun testo ufficiale e nessun riferimento normativo, avrà chiare almeno le pene per i futuri trasgressori. Andranno in carcere?
«Ma quale carcere, figuriamoci. Zero, nella maniera più assoluta. Penso che, una volta individuata la disciplina, una sanzione ammnistrativa sia più che sufficiente per le violazioni».

Giacomo Zucco, tra i più noti esponenti della comunità bitcoin-blockchain italiana ha proposto una mozione per espellerla da Asso.bit, l’associazione che riunisce gran parte degli operatori del settore. Cosa risponde?
«Non lo sapevo».

Aldo V. Pecora
@aldopecora