Un mercato da 1,2 miliardi, eppure l’Italia resta dietro in Europa. Pochi fondi, tanti dubbi e i medici preferiscono mail e WhatsApp ai fascicoli elettronici per i pazienti
Il mercato della Sanità digitale è in flessione del 5%, nonostante gli ambiziosi piani del Governo. Questo è quanto emerge nell’ultimo rapporto dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, che stima in 1,27 miliardi di euro il valore 2016 di questo mercato. L’Italia resta ben lontana dagli standard europei e dalle ambizioni annunciate dal Governo nel 2014, quando fu firmato il Patto per la Sanità Digitale.
“Sono soprattutto le aziende sanitarie, le Regioni e il Ministero a registrare un calo della spesa per le tecnologie digitali. Il mercato non si sta muovendo come ci si aspettava. È un segnale che conferma quanto i ritardi normativi e la mancanza di risorse inizialmente “promesse” nel Patto per la Sanità digitale abbiano bloccato nuove progettualità”, chiarisce Chiara Sgarbossa, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità presso il Politecnico.
“È inoltre doveroso ricordare che le riforme sanitarie in atto a livello regionale hanno portato, da un lato, a un sostanziale immobilismo da parte delle aziende, nell’attesa che le nuove strutture organizzative siano portate a regime, dall’altro, alla razionalizzazione delle risorse esistenti, dovuta alle operazioni di accorpamento delle aziende sanitarie”, aggiunge Sgarbossa.
Dubbi e garanzie: casi di Sanità digitale a confronto
Anche Milano, dove si attende la prossima costituzione del polo Watson Health, potrebbe non rispondere subito in maniera adeguata all’innovazione che IBM spera di promuovere. “Watson consentirebbe di elaborare dati e informazioni sanitarie per fare ricerca scientifica e consentire ai medici di formulare diagnosi e trovare le cure migliori per il paziente. Ciò presuppone però che i dati e le informazioni siano in formato digitale (referti dematerializzati, cartelle cliniche elettroniche, ecc.). Ad oggi in Italia queste tecnologie digitali sono ancora poco diffuse e bisognerà garantire che i dati sui pazienti siano resi anonimi per rispettare la normativa sulla privacy. Watson potrebbe essere un volano per l’innovazione digitale in Sanità, ma se le aziende sanitarie e le Regioni continueranno a non avere risorse a sufficienza per la digitalizzazione di documenti e processi, non si potranno cogliere appieno i benefici di queste soluzioni innovative”, commenta Sgarbossa.
L’Italia però vanta anche modelli virtuosi, come quello della Regione Veneto. “Il progetto Sanità KM Zero ha permesso lo sviluppo di iniziative di sanità digitale che partivano dalle esigenze degli utilizzatori. I cittadini, i medici, gli infermieri e le amministrazioni si sono incontrati, hanno partecipato a focus group in un processo di co-creation e co-design, che ha permesso lo sviluppo di un servizio funzionale per il cittadino e il personale sanitario. Partire dalle esigenze dei cittadini è importante, altrimenti si rischia di costruire strumenti digitali poco fruibili e inutilizzati”, continua Sgarbossa.
L’ostacolo WhatsApp ai fascicoli elettronici
Uno dei dati meno incoraggianti riguarda l’utilizzo del fascicolo sanitario elettronico, che viene utilizzato solo da un medico su tre, nelle regioni in cui il fascicolo è già attivo (7 regioni al momento della rilevazione, adesso 9) “Si può ipotizzare che il medico preferisca ancora utilizzare altri software o, addirittura, canali non “ufficiali”, come l’email o WhatsApp per scambiare informazioni e documenti con il proprio paziente”, commenta Sgarbossa.
Dalla Ricerca effettuata dall’Osservatorio, infatti, emerge che il 53% dei medici di medicina generale comunica con i propri pazienti tramite WhatsApp e l’85% utilizza l’email. “Pazienti e medici hanno un crescente interesse verso il digitale, ma privilegiano strumenti e applicazioni “consumer” e spesso disintermediano i canali ufficiali. I canali come WhatsApp e le email sono molto più immediati e comodi, poiché ormai entrati nella quotidianità. Quel che è certo che le comunicazioni più importanti – come le diagnosi – non possono avvenire attraverso questi canali e questo rischio va scongiurato”, chiarisce Sgarbossa.
Deadline per l’innovazione, il 2017
Entro il 2017 tutte le Regioni dovranno concludere lo sviluppo dei fascicoli sanitari elettronici e dovranno garantirne l’interoperabilità, dovranno cioè poter comunicare tra loro. “Nello sviluppo di questi sistemi è comunque importante tener presente l’utente finale e la necessità di una fruibilità semplice e intuitiva. Occorre, inoltre, comunicare correttamente al cittadino le opportunità fornite da questi sistemi, come ad esempio la possibilità di consultare i propri referti online. Spesso i cittadini non sono nemmeno a conoscenza di questi servizi”.
Uno strumento molto importante approvato lo scorso settembre dalla conferenza Stato-Regioni è il Piano nazionale della cronicità, che, tra le varie azioni, prevede lo sfruttamento di soluzioni di telemedicina per consentire una migliore presa in carico del paziente cronico. “Questo aiuterebbe a gestire la malattia direttamente a casa del paziente, evitando in molti casi l’ospedalizzazione”, dice Sgarbossa.
La macchina burocratica sta però procedendo lentamente, appesantita da decreti che non escono e risorse che mancano. “C’è una certa lentezza nello sviluppo della sanità digitale, ma pazienti e medici utilizzano ormai applicazioni e soluzioni tecnologiche sempre più frequentemente frutto del lavoro di startup. In questo contesto, però, è importante che la strada venga tracciata dalle Regioni e dal Ministero, per non vanificare gli investimenti pubblici effettuati fino a oggi”, conclude Sgarbossa.