Genetica, stili di vita e spopolamento portano al primato della Sardegna come regione più longeva d’Italia. Ma la silver economy vale 21 miliardi a livello globale: e può salvare il sistema
“Fra dieci anni saremo la regione più vecchia del mondo” racconta quando lo raggiungiamo al telefono. “L’indice di vecchiaia (il rapporto tra over 65 e minori di 14 anni, ndr) sino al 2007 era di 140 punti, in linea con la media nazionale. Oggi in Italia siamo a 170. Ma in Sardegna segna 212 , un’accelerazione impressionante”. È stata la culla dell’innovazione, il luogo dove negli anni Novanta è nato il web italiano (ve lo abbiamo raccontato qui), ma la Sardegna del 2020 si trova, per paradosso, di fronte a una sfida demografica che non può più essere ignorata. E che può diventare un’opportunità, se affrontata col piglio giusto.
“Secondo l’Istat gli over 75 nel Belpaese raddoppieranno nel giro di 25 – 30 anni” prosegue il racconto Paolo Putzu, geriatra e geragogo, come ama definirsi. “La stima, per noi, è molto più bassa: solo 15 anni”. L’isola batte tutti i record di longevità, con una marea di problemi: servizi, assistenza, spazi urbani, povertà, costi. Le cause? Longevità, spopolamento, bassa natalità.
Silver economy, un settore da 21 miliardi di dollari
“In Sardegna si vive a lungo grazie a un mix di genetica, alimentazione, fattori ambientali ma anche di tipo sociale. Nell’Ogliastra, una delle cinque regioni al mondo con il più alto numero di centenari, l’anziano è ancora rispettato e mantenuto in seno alla comunità con una considerazione che si traduce, in ultima analisi, in salute. Ma rischiamo il collasso, se non prendiamo provvedimenti” incalza il medico.
Un aiuto può arrivare dalla tecnologia. Se ne è parlato nei giorni scorsi a Cagliari nel corso di un convegno organizzato dall’associazione The Sardinian Project: l’idea, spiegano gli organizzatori, è quella di gettare semi nelle menti dei giovani imprenditori sfruttando la propoensione della regione all’innovazione e spiegando che la “silver economy”, quella che si riferisce alla vendita di servizi e device agli over 50, ha un giro d’affari stimato da 21 miliardi di dollari a livello globale. “Avendo lavorato nel settore della telemedicina come ricercatrice per oltre 4 anni – racconta la vicepresidente Antonella Arca – sono abbastanza sensibile al tema. Così, quando il dottor Putzu mi ha illustrato i numeri preoccupanti della mia regione, è stato naturale pensare in che modo potessimo accendere il dibattito in questo senso. Un confronto positivo, portando negli ambienti degli innovatori i quesiti sul futuro dell’invecchiamento in Sardegna: perchè forse le iniziative imprenditoriali in questo settore sono ancora troppo poche”.
In programma anche un hackathon
“Gli studi hanno mostrato come i circuiti neuronali sono biologicamente impostati per funzionare in modo digitale“, prosegue il geriatra. Internet e le tecnologie sono riconosciute come familiari dal cervello e la nuova “nicchia neuronale” che tali attività richiedono è molto più vicina agli archetipi cerebrali che non le attività tradizionali (lettura, scrittura). Lo sanno bene gli adolescenti, e PC e tablet non a caso sono entrati nelle scuole. Perché, quindi, non sfruttare le tecnologie per migliorare la qualità della vita anche nella terza età? “La serata organizzata con la collaborazione di The Net Value, incubatore e punto di incontro degli innovatori dell’isola, vuol essere il primo passo di un percorso che speriamo solo agli inizi. In futuro pensiamo anche a un hackathon per raccogliere idee in maniera traversale, non necessariamente da menti provenienti da un percorso scientifico”.
Tecnologia e terza età: in che modo l’innovazione aiuta gli over 75
Gli anziani sono grandi utilizzatori delle nuove tecnologie, riprende Putzu – e l’utilizzo delle stesse sta disegnando un nuovo modo di vivere smart. “Ma ognuno invecchia in maniera diversa. In maniera consapevolmente imprecisa, tra medici siamo soliti definire tre cluster: a fronte di un 25% che potremmo definire successful ageing, c’è un altro 25% che va incontro a gravi limitazioni dell’autonomia. Il nostro compito, oltre a curare chi ha bisogno, è far sì che il restante 50% – quelli che sono in una zona di mezzo – convergano sempre più nella prima categoria. Tutte le azioni preventive sono giocate su di loro, perché se non li guidiamo verso un invecchiamento che potremmo definire ‘di successo’ arriveremo al collasso del sistema sanitario”.
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Ma in che modo l’innovazione può aiutare? “In maniera trasversale. Pensiamo alla domotica, che rende l’ambiente facilitante alle persone affette da malattia di Alzheimer, o alla telemedicina: ci sono già metodi per trasferire la diagnostica e l’assistenza a domicilio. Per non parlare del fatto che gli ospedali smart servono anche a chi non è anziano: le nuove tecniche mammografiche riescono a diagnosticare neoplasie attorno ai 5-6 millimetri, mentre si sta lavorando a chip da inserire all’interno del cervello per aiutare la riabilitazione neurologica.
E ancora, prosegue il medico, “esiste un videogioco, Sea Hero Quest, capace di raccogliere in pochi minuti di attività ludica dati che richiederebbero cinque ore di test sui pazienti a rischio di demenza senile e Alzheimer“. Indicazioni preziosissime in combinazione con gli esami ematochimici di routine. “Ormai non si torna indietro. Il futuro ? E’ la tecnologia simbiotica, quella digitale che si integra sempre più nella quotidianità dell’essere umano, senza una separazione netta”. Ci tolga una curiosità, domandiamo infine: ma che cos’è questa geragogia? “Semplice. È speculare alla pedagogia. Potremmo definirlo un insieme di consigli pratici per invecchiare bene”. E di buone dritte c’è sempre bisogno. (foto di Luigi Corda)