Prometteva di rivoluzionare il trasporto urbano ma prezzo e incidenti ne hanno frenato la diffusione. Ora i cinesi di Ninebot hanno deciso di bloccare la produzione e licenziare i dipendenti
Le recensioni sono state sempre ottime, come pure le specifiche tecniche che descrivevano modelli ideali per muoversi in città. Del resto sin dalla sua comparsa nel dicembre del 2001, il Segway venne lanciato come il mezzo individuale a due ruote destinato a cambiare il trasporto urbano (il nome originale includeva la sigla PT, che stava per personal trasporter) ma la realtà è stata diversa, perché non è mai riuscito a diventare una soluzione per il movimento di massa. E per questo dal prossimo 15 luglio non sarà più prodotto.
Fine della storia
A stabilirlo è stata Ninebot, compagnia cinese che ha acquisito Segway nel 2015 dopo aver ottenuto una serie di finanziamenti per circa 80 milioni di dollari da Xiaomi e Sequoia Capital. I motivi sono purtroppo fin troppo facili da intuire perché, al di là di premesse e promesse, Segway non ha mai attecchito su ampia scala restando condannato in primo luogo dal suo cartellino, che in origine oscillava sui 5.000 dollari. Non a caso, le vendite sono sempre rimaste sotto le aspettative, nonostante l’interesse per il monopattino battezzato Flappy Ginger (e poco dopo rinominato Segway), come testimoniato dai tanti turisti pronti a provarlo in vacanza, con sessioni di qualche ora o un’intera giornata a prezzi adeguati per godersi l’innovativa esperienza durante un soggiorno lontano da casa. Così neppure i miglioramenti in termini di autonomia, velocità e accessori (l’ultima versione toccava i 20Km/h e con ben 61 chilometri prima dell’esaurimento della batteria) ha favorito un rialzo delle vendite, mai salite al 2% nel fatturato annuale di Ninebot, lasciando il veicolo elettrico una (quasi) esclusiva di poliziotti, agenti di sicurezza in centri commerciali, qualche temeraria azienda e alcune startup dedite alla sharing mobility.
Troppi incidenti
Il costo non è comunque l’unico motivo che ha convinto il gruppo di Pechino a sospendere la produzione. A pesare sul mezzo green che spiccava nello scenario cittadino è stata anche la modalità di guida, rivelatasi complicata per parecchi appassionati. Il sistema basato sui movimenti del corpo del guidatore ha provocato, infatti, diversi incidenti, con relative vittime. Il caso più eclatante è stata la morte di Jimi Heselden, imprenditore britannico e proprietario di Segway dal 2009, deceduto il 26 settembre del 2010 dopo esser caduto in un fiume da una scogliera, con molte probabilità per colpa della manovra del mezzo dopo che aveva tentato di evitare un uomo a passeggio con il cane (come concluso dalle autorità dello Yorkshire). A cadere dal Segway, solo per restare ai volti noti, è stato anche l’ex presidente Usa George W. Bush nel 2003, mentre Usain Bolt fu investito da un cameraman a bordo del veicolo elettrico dopo la vittoria dei 200 metri ai Campionati Mondiali di Pechino del 2015.
Dipendenti licenziati e i progetti del fondatore
Nel futuro dell’azienda restano monopattini e biciclette elettriche (che costano meno e vendono di più) e forse S-Pod, una sedia elettrica che viaggia fino a 38 Km/h presentata all’ultimo Ces di Las Vegas. Almeno per ora, perché di sicuro c’è che i 21 dipendenti attivi nello stabilimento di Bedford, nel New Hampshire (tenendo a mente che anche la produzione nel passato doveva essere trasferita in Cina prima del cambio dei programmi societari), verranno licenziati. Un futuro in salita lontano da quello del fondatore di Segway, Dean Kamen (oltre mille brevetti ottenuti nel corso degli ultimi quaranta anni), che alla bellezza di 69 anni ha ancora voglia di sorprendere. Dopo aver prodotto una protesi robotica per l’esercito, una macchina per purificare l’acqua dedicata ai paesi in via di sviluppo e un sistema per la dialisi casalinga, il suo ultimo progetto mira a creare organi umani: muscoli, ossa, cellule che producono l’insulina e legamenti sono le parti su cui è al lavoro per un piano finanziato con oltre 300 milioni di dollari, anche dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.