Cosa c’entra la sinderesi dei mistici medievali con un giovane startupper affamato di successo? Cosa resta del lavoro di un imprenditore dopo che il suo “animal spirit” si è placato, lasciando spazio al bilancio dei ricordi? Perché l’intelligenza artificiale rende attualissime le riflessioni di Socrate e Platone? Quest’oggi a SIOS24 Sardinia Mario Rosso condividerà risposte, riflessioni e spalancherà scenari attraverso la provocazione intellettuale in grado di fertilizzare le menti degli imprenditori e startupper. Offrirà un punto di vista differente sulle sfide di chi vuole fare impresa, condividendo una lunga esperienza professionale contaminata tra la filosofia teoretica e management industriale.
Rosso è un filosofo prestato all’economia: 73 anni, nato a Roma da genitori sardi, si è trasferito a Torino dove si laurea in Filosofia teoretica. Entra come manager nel Gruppo Fiat, poi nel Gruppo La Rinascente, quindi, diviene senior vice president della New Holland con sede a Londra, con esperienze internazionali dalla Cina al Messico, dalla Turchia all’India. Rientrato in Italia, torna in Fiat e poi in Telecom Italia, Ansa, Tiscali, Almaviva. Ha scritto diversi libri, tra cui recentemente “Le cattedrali dell’industria. Un’insolita storia di management tra Olivetti, Fiat e Telecom”.
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Dottor Rosso, partiamo dal passato e dalla sua storia professionale: possiamo parlare di declino riferendoci il sistema industriale italiano?
Ho vissuto da vicino tutte le fasi industriali del Paese fino all’odierna digitalizzazione osservando una transizione epocale e un evidente declino. Quando entrai alla Fiat c’erano 82mila operai, oggi sono 12mila, la metà dei quali in cassa integrazione.
Quali sono le motivazioni?
Questo declino è stato determinato da diversi fattori, dall’automazione industriale fino al fallimento dei grandi capitali. Negli anni ’60 e ’70 In Italia c’erano eccezionali scuole di management, basti pensare alla Fiat e alla Montedison. Poi con l’arrivo delle varie crisi sono stati tagliati i fondi proprio alla formazione. Così la globalizzazione e lo scenario mondiale iper competitivo ci ha colti impreparati, privi di capitali e di grandi manager. Da lì in avanti, una lunga agonia fino alla fine del secolo scorso.
Mario Rosso, filosofo e manager
C’è anche un problema di governance e di interlocuzione?
Durante il boom economico i sistemi di governo dei comportamenti collettivi erano sostenuti da ideologie molto solide che consentivano di convogliare il consenso dal basso, garantendo una certa governabilità. Oggi abbiamo un problema di interlocuzione, a tutti i livelli. Abbiamo persino difficoltà a capire chi comanda una grande azienda. I fondi stranieri? Il management chissà dove all’estero?
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Che consigli darebbe a un giovane startupper?
Fare l’imprenditore è bellissimo ed è un’esperienza esistenziale completa, ma non dimenticate l’importanza della fisicità della vita, il senso del reale dove si concentrano le soddisfazioni e le sofferenze. Il mondo che stiamo vivendo è straordinariamente complesso e un imprenditore deve decidere se produrre felicità o sofferenze, progresso o regresso. Per fare la scelta giusta suggerisco di affidarsi alla sinderesi descritta dai mistici medievali, ossia la facoltà innata di capire spontaneamente cosa è giusto e cosa è sbagliato, la conoscenza immediata dei princìpi morali».
Lei traccia anche una distinzione tra fattori umani e manageriali…
A un giovane startupper direi di ricordarsi che è prima di essere un manager, è un uomo. Tra qualche anno i prodotti che hai ideato saranno obsoleti, le persone con le quali hai lavorato non ci saranno più e allora cosa resterà del tuo transito?
Il senso profondo riguarda il valore umano e le scelte che avrai fatto seguendo la tua etica dell’azione. Contrariamente al pensiero prevalente, l’etica non è un impalpabile concetto astratto, ma si deve tradurre concretamente nelle scelte quotidiane. L’etica è la coordinata che determina la direzione dell’azione».
Cosa pensa dell’Intelligenza Artificiale? Lei appartiene al partito dei tecno entusiasti o dei distopici pessimisti?
La risposta più onesta mi porta di dire: dipende. L’intelligenza artificiale è la seconda grande innovazione che può radicalmente cambiare il mondo, dopo la bomba atomica. Un’innovazione che nessuno può fermare, nonostante la proliferazione di normative che i legislatori stanno deliberando in questi mesi. L’intelligenza artificiale non è perfetta, non è astratta e non è incorporea, ma è dentro le persone che l’hanno progettata: porta con sé gli stessi bias cognitivi di chi seleziona i dati e di chi progetta gli algoritmi. Ma l’intelligenza artificiale è come una nuova utopia che risponde a un problema irrisolto, derivante dalle riflessioni di Socrate, Platone fino ad arrivare alla città perfetta di Sant’Agostino e alle grandi utopie.
Ossia?
La consapevolezza che il mondo reale è profondamente imperfetto e va emendato, corretto. C’è la convinzione che l’intelligenza artificiale possa emendare la realtà, sistemare le cose razionalmente grazie alla perfezione dei numeri. In realtà i fatti dicono che l’intelligenza artificiale è come il genio che è uscito dalla lampada ma non sappiamo ancora se realizzerà tutti i nostri desideri o se invece potrà diventare ostile nei nostri confronti.
C’è una soluzione, dal suo punto di vista?
Partiamo dai problemi della realtà tangibile a tutti: ingiustizie sociali, demografia, qualità della vita, inquinamento. L’AI porrà rimedio a tutto questo? Probabilmente no. Allora cosa rimane? Una volta chiarita l’analisi costi/benefici, ognuno deve attuare la propria guerriglia quotidiana, seguendo la propria etica individuale e la verifica della demistificazione. Siamo tutti chiamati al nostro impegno quotidiano, nei limiti di quel che si può fare».