«L’unico modo per lavorare nel tech era scappare all’estero». Più di dieci anni fa per un giovane appassionato di innovazione le prospettive dall’Italia potevano riassumersi così. Questa perlomeno era quella che nel 2012 aveva di fronte a sè Simone Martinelli. Nato a Terni nel 1988, ha studiato ingegneria prima a Perugia e poi a Bologna. In un periodo embrionale dell’ecosistema startup si era guardato intorno senza individuare grandi sbocchi.
«L’unica azienda che ricordo era Yoox, che sarebbe diventata uno dei fiori all’occhiello». Così ha deciso di prendere un volo per Londra, nel periodo immediatamente successivo a quello delle Olimpiadi, forse l’ultimo grande evento in cui la capitale UK si è mostrata al mondo come metropoli aperta. Oggi Martinelli continua a vivere Oltremanica, dove è Ceo di Volume, fintech che a fine 2024 ha chiuso un round da 6 milioni di dollari, guidato da United Ventures.
Fare fintech a Londra
In questa nuova puntata della rubrica “Italiani dell’altro mondo”, ci siamo fatti raccontare da Simone Martinelli il percorso di un aspirante imprenditore che, da zero, si è trasferito in Inghilterra per coltivare la propria passione in ambito tech. «All’Imperial College sono entrato come ricercatore, ma il dottorato era troppo teorico. Ho smesso alla svelta». Nel 2014 il fintech non era mainstream neppure a Londra. «I banchieri ti guardavano come se fossi un pazzo: fondere tecnologia e finanza?!».
Eppure quello gli sembrava il posto giusto nel mondo. «San Francisco o Londra, poco altro». Revolut, che oggi è una delle fintech UK più importanti a livello globale, sarebbe stata fondata solo nel 2015. Nel frattempo Martinelli ha deciso di immergersi in uno degli acceleratori della città e iniziare a lavorare in una startup che si occupava di cripto e Bitcoin. L’asset digitale coniato da Satoshi Nakamoto non vantava certo l’ottima reputazione odierna (ecco cosa ha detto di recente il numero uno di BlackRock).
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L’idea di Volume
«Immagina un ragazzo di Terni, che fin da adolescente stava tutto il giorno su internet. Sono finito in quel mondo e per me era come un gioco». Fondamentale per crescere nel settore è stato conoscere tutti gli attori. Così Martinelli ha deciso di entrare in Mastercard. «Ero nel team che ha lanciato Apple Pay in UK. Ma lì è nata anche la mia motivazione per fondare Volume: ci sono grandissimi player che guadagnano sulle commissioni dei pagamenti. Si è creato un regime di oligopolio».
Prima di lanciare la sua startup ha fatto un’altra esperienza in una realtà dell’ambito fintech, WorldRemit. «Ho capito che c’era un modo di eliminare le commissioni nascoste: si chiama account to account payment. I soldi vengono trasferiti dal tuo conto corrente al conto corrente del posto dove stai comprando. Senza fare passare i soldi per i grandi player».
London calling
Al momento il transato mensile è di 10 milioni di sterline, con 50mila persone che utilizzano il servizio e una cinquantina di servizi aderenti. «Scalapay è l’evoluzione della carta di credito, noi puntiamo a essere quella della carta di debito. Operiamo solo con ecommerce». Chi compra sulle varie piattaforme trova la soluzione Volume che si collega direttamente all’app della propria banca. Volume non è attiva ancora in Italia, anche se i piani dell’ultimo round mirano a un’espansione in Europa. Fondata con Chris Tarnawski, CTO della startup, conta ad oggi su 20 membri nel team.
Pur rimanendo la principale piazza dell’ecosistema europeo (anche se Parigi corre), Londra sta facendo i conti con una serie di crisi, economiche e politiche. L’indebitamento della Gran Bretagna ha toccato livello preoccupanti con il tasso di interesse salito ai massimi dal 2008. Per non parlare degli effetti a lungo termine di Brexit. «Il periodo d’oro londinese sembra sia finito – ha commentato Martinelli -. I recenti cambiamenti politici hanno indirettamente influito sulla qualità delle startup. Se consideri gli unicorni nati a Londra sono stati fondati da immigrati». Tornerà mai? «Mi andrebbe molto di fare startup in Italia. Negli ultimi anni sono aumentati i fondi di investimento. Chissà, magari sta iniziando un ottimo periodo per il Paese».