Maggiori incentivi, un codice etico e definizioni precise. Firmato da molti dei nomi più importanti del settore, il working document punta a uniformare il mondo del Venture Business italiano allo scenario internazionale
Le startup chiedono chiarezza. Ma soprattutto chiedono un documento che definisca, senza zone d’ombra, il settore dell’economia innovativa nel nostro Paese e tutti gli attori che ne fanno parte. Uno “Startup Act” in 10 punti firmato da molti dei nomi più attivi in Italia.
Startupper, business angel, manager ed esperti: tutti pronti a supportare l’approvazione di un working document che mette a fuoco la filiera del Venture Business e riscrive le norme che oggi frenano la nascita e la crescita di nuove imprese globali italiane, mortificando le potenzialità e le forze creative dell’Italia.
Lo “Startup Act”
La filiera del Venture Business italiana, nata tra il 2008 ed il 2011 e regolata nel 2012, è ancora oggi frenata da numerosi fattori ambientali e culturali. Un mancato allineamento tra il sistema e le metodologie che si sono diffuse nel paese e quelle internazionali. Alcuni esempi: le startup italiane spesso non sono “startup” come intese all’estero; gli operatori intermedi vendono consulenza o perseguono business collaterali e non trasparenti anziché apportare valore; gli investitori diluiscono troppo gli imprenditori; oneri e la burocrazia uccidono le startup che non espatriano. Mentre i territori e la politica, non potendosi confrontare con un modello di riferimento comune, non comprendono cosa dovrebbero fare e perché.
Ecco perché lo “Startup Act” chiede di rivedere tutto il sistema che si è sviluppato, identificandone trasversalmente le diverse tipologie di attori e processi per allinearlo alle pratiche internazionali, rimuovendo ostacoli e aggiungendo incentivi.
I 10 punti
1) Un Codice Etico e di Responsabilità Sociale per la filiera del Venture Business
La filiera del Venture Business, o ecosistema startup, è un sistema basato sulla fiducia. Per evitare di scrivere troppe norme stringenti ed ingessanti, è necessario definire modelli di riferimento etici che incoraggino l’evoluzione verso un livello qualitativo superiore, arrestando il diffondersi di modelli speculativi o non orientati alla creazione di valore.
2) Incentivazione della Ricerca verso l’Imprenditorialità
In Italia meno del 5% delle startup provengono dalla ricerca. Negli ecosistemi maturi sono oltre il 50%. La retorica sul bisogno di collegare ricerca e impresa si supera rimuovendo ostacoli e divieti, oltre che promuovendo cambiamenti culturali.
3) Attrazione internazionale di talenti ed investimenti
Gli ecosistemi startup di successo si basano su contaminazioni e relazioni internazionali. L’Italia non può essere un sistema autarchico: deve accogliere talenti ed investimenti provenienti dalle direttrici su cui già basa le proprie relazioni internazionali e crearne di nuove.
4) Incremento della liquidità nella filiera del Venture Business
Non è più il tempo delle piccole e progressive misure di incoraggiamento: è urgente incentivare i gestori della ricchezza del paese ed i risparmiatori a fare propri i modelli di investimento basati su capitale di rischio. La liquidità del sistema deve fare un salto dimensionale di almeno 20 volte rispetto all’attuale.
5) Semplificazioni per gli investitori e progressività della vigilanza
È necessario introdurre un principio di progressività negli oneri e nella compliance richiesti ai gestori di veicoli di investimento, in relazione alla massa gestita. Non servono solo più soldi, ma anche molti più investitori professionali di vario taglio e con approcci differenziati. Meno burocrazia per il sistema, o i veicoli di investimento operanti in Italia finiranno per costituirsi tutti all’estero.
6) Riordino delle definizioni delle imprese
Startup innovative, pmi innovative, startup per la terminologia internazionale… un riordino tassonomico è fondamentale per definire le missioni dei soggetti imprenditoriali. Riallinearci con il linguaggio dei mercati internazionali è la condizione di base per identificare quelle imprese ad alto potenziale che siano le multinazionali italiane di domani. Le norme devono essere scritte per generare unicorni, non micro agenzie.
7) Nuovi incentivi e semplificazioni per le imprese
Le misure introdotte fino ad oggi non bastano. È necessario rimuovere burocrazia e costi inaccettabili in capo alle imprese finchè queste sono nascenti o ancora nel tentativo di trovare una formulazione di successo. Non si strozza il bambino in culla.
8) Riordino degli Incubatori Certificati in Operatori Intermedi Certificati
Gli incubatori rappresentano solo una delle diverse tipologie di operatori intermedi: raggrupparli in una sola definizione produce distorsioni e disallineamento con il mercato. È necessario segmentare questi operatori secondo criteri coerenti con gli standard internazionali, incentivarli in modo diverso, confrontrarli secondo metriche differenti.
9) Semplificazioni urbanistiche per Startup ed Operatori Intermedi Certificati
Le community degli innovatori possono essere degli eccezionali driver di trasformazione urbana, innovando anche i vetusti schemi delle destinazioni urbanistiche con strutture ibride che il nostro ordinamento non prevede: come già avviene oggi per le sedi di associazioni di promozione sociale, è necessario liberare l’energia creativa della sperimentazione di nuovi formati di spazio dalle gabbie della burocrazia.
10) Incentivi per Open Innovation ed Exit
Le grandi aziende italiane devono essere educate ad investire ed acquisire innovazione disruptive, favorendo le exit nel paese, e chiudendo il cerchio della circolarità di un ecosistema startup sano. È un passaggio imprescindibile affinchè il valore generato rimanga radicato nel paese.
I firmatari
A firmare il documento diverse personalità attive nel mondo dell’ economia innovativa. Tra cui: Riccardo Arciulo di Alumni InnovAction Lab; Marina Berardi di Maple; Sergio Berisso di Infodrake; Margot Bezzi di CREA; il business angel Marco Bicocchi Pichi; Eleonora Bove di Deliverart; Daniele Buzzurro di Dreamyourmind; manager attivo nell’Industry Innovation Giovanni Capetta; Gabriele Carbucicchio e Gianmarco Carnovale di Scuter; Fabio Carnevali di Digikom; Enrico Cattaneo di The Doers; Simonetta Cavalieri di Social Innovation Society; Lorenzo Cea di PickCenter; Antonio Censabella di Mediterranean Capital; Giovanni Ciferri di Jobtome; Gian Luca Comandini di You&Web; Antonio Conati Barbaro di Alleantia; Luigi Corvo di UniRomaTorvergata; l’investitore Paolo Cuccia; Sara D’Agati di The NewsRoom; Davide D’Atri di Soundreef; Davide De Luca di Traslochino; Giuseppe De Nicola di Ampioraggio; Simone Demelas di ARMNet; l’imprenditore Andrea Elestici; Giampaolo Ferradini di Kjuicer.com; Francesco Ferrante di UniCassino; l’imprenditore Marco Fiorentino; Matteo Forte di ADPM Drones; Carlo Frinolli di NOIS3; Aleardo Furlani di Innova; Luigi Galimberti di Sfera; Paola Ghedini di Italia Restart; Daniele Grieco di TomorrowData; Jegor Levkovskiy di Checkout Technologies; Marco Lotito di TIM Wcap Bologna; Carmela Magno di Garanteasy; Luciano Mariani di Byteween; Matteo Masserdotti di Two Hundred Crowd; Lorenzo Minio Paluello di Roma Startup; Marco Musi di Marketer; Paolo Napolitano di Peekaboo; Alessandro Nasini di Startalia; l’innovatione manager Enzo Notaristefano; Jacopo Paoletti di Comunicatica; Roberto Passaquindici di Eneri gonfiabili; Daniele Pes di InnoVits; Alessandro Petrich di Startup Grind; Stefano Pighini di LVentureGroup; Carlo Alberto Pratesi e Paolo Merialdo di UniRoma Tre; Eugenio Prosperetti di Studio Prosperetti; Valerio Pullano di GamePix; Nur Puri Purini di Purini Advisor; Laura Rizzo di StartupHome; Alessandro Santo di Last Mile Ventures; Stefano Tresca di Startuphome; i founder di Institute Rome Alessia Gianaroli e Rosbeh Zakikhani.