“Niente pubblicità, niente giochi. Niente trucchi” si legge su un foglio di carta, di quelli che si usano per prendere gli appunti a lezione. A firmarlo Jan Koum, oggi 40 anni, all’epoca 10 di meno. Non poteva saperlo l’imprenditore nato in Ucraina che stava scrivendo il futuro della comunicazione.
«Mi sento come Di Caprio» solo che lui il premio lo ha vinto
Quell’app, Whatsapp, nata per rimettersi in gioco e sviluppata tra mille ostacoli, dubbi. Sulla quale ritorna più volte, si stanca, decide di mollare e trovarsi un lavoro, ha raggiunto 1 miliardo di utenti. Numeri da far impallidire, numeri da campione, accolti con la solita ironia, dal ragazzo che fin dalla giovane età coltiva il gusto per la provocazione: «Un miliardo di utenti e nemmeno un Crunchie Award (gli Oscar per idee hitech di TechCrunc, ndr). Leo, sento il tuo dolore (riferendosi a Leonardo di Caprio, menzionato in un tweet).
L’attore americano poi il premio l’avrebbe vinto qualche mese dopo. Ma Jan, premi a parte può tuttavia accontentarsi: 1 miliardo di dollari l’anno, 2 miliardi di stock option, il suo salario, e quei 22 miliardi di dollari, tra cash e azioni, con cui Facebook ha messo in tasca l’idea, della quale secondo Forbes possiede il 45%. La stessa rivista americana che lo ha eletto come uno degli under 40 più ricchi del pianeta, 9,2 miliardi di patrimonio.
Scappa dal comunismo e finisce a lucidare pavimenti in Silicon Valley
Eppure tutti questi soldi non li avrebbe mai immaginato da ragazzo quando a Kiev, in un liceo senza riscaldamento (lì le temperature in inverno arrivano anche a – 20 gradi) faceva la fila per fare pipì in un bagno esterno sul cortile, l’unico della sua scuola. A casa le cose non andavano meglio, l’acqua corrente manca e il telefono non lo usa nessuno perché tutto è controllato dall’autorità (ironia della sorte per l’uomo che avrebbe reinventato la comunicazione): «Tutto era così chiuso. Non avevi bisogno di leggere “1984” (il libro di George Orwell che denuncia i regimi totalitari, ndr). Perché lo stavi vivendo» racconta Koum in una delle sue rare interviste a Forbes.
La svolta quando a 16 anni, quando sua madre decide di scappare via e andare in America e portarlo con sé. Suo padre invece, costruttore edile, decide di non abbandonare la patria e non li raggiungerà mai. Le cose in America non sono facili, i soldi scarseggiano come l’acqua in Ucraina. La mamma fa la babysitter, mentre Koum lucida il pavimento di un negozio. Ma sbarcare il lunario non è facile e quindi si servono degli aiuti governativi, un piccolo appartamento a Mountain View con due stanze e buoni alimentari che i due vanno a ritirare in un ufficio dei servizi sociali di Nort County (e non dimenticatevi questo dettaglio, fondamentale per il proseguo della nostra storia).
A scuola non è un genio, si diploma a malapena. Da autodidatta si avvicina a dei manuali di informatica, impara a programmare. Compra i libri, li legge e poi li rivende e con i soldi reinveste in altre letture. Ma la madre insiste, vuole vederlo laureato (un sogno che non vedrà mai realizzarsi). Anche se Jan la buona volontà ce la mette e si iscrive alla San Jose State University, mentre trova un buon impiego alla Ernst & Young, come collaudatore delle misure di sicurezza.
Jan non ama molto il lavoro, è uno spirito turbolento, poco stabile e suole mettersi nei guai. Questa volta non sono le marachelle di scuola, ma una cosa più grossa, una sua ex lo denuncia e subisce un’ordinanza restrittiva: «Non riuscivo a pensare, ero sconvolto dalla rottura. Mi vergogno per quello che ho fatto» ha dichiarato a Bloomberg.
L’arrivo a Yahoo
Alla rottura segue però un altro sodalizio. Non una nuova ragazza, ma un nuovo amico. Brian Acton, qualche anno in più di lui (Brian è del 1972), e una carriera ben avviata in Yahoo!. Si piacciono subito, sono due tipi diretti che amano dirsi le cose in faccia. Brian si appassiona alla storia di Jan, pensa che è un talento e caldeggia la sua assunzione nella multinazionale. A 21 anni Jan diventa collega di Brian, ma solo part-time. Deve completare gli studi. Forbes racconta che un giorno i server di Yahoo! si danneggiano. Il suo responsabile, David Filo lo chiama, lui è a lezione: “Dove cazzo sei?” gli chiede David e lui timidamente “sono a lezione”. E ancora David, perentorio: “Porta il tuo culo qui”. Episodio che significa fine dei giochi adolescenziali. L’università è finita prima di iniziare.
Quando, col futuro socio, decidono di mollare tutto
A Yahoo! ci resta 9 anni fino a diventare manager delle infrastrutture. Poi insieme a Brian decide di mollare tutto: «Avere a che fare con la pubblicità ci deprimeva. Così non si rende migliore la vita della gente. Eravamo emotivamente svuotati» ricorda, a Forbes.
Per ritrovare energie fanno un viaggio in Sud America. Al ritorno fanno domande per lavorare a Facebook, ma vengono scartati. Altra ironia della sorte.
Intanto il salvadanaio, i 400 mila dollari che aveva messo da parte, è quasi vuoto. Non è mai stato bravo Jan a gestire i soldi e non ha problemi ad ammetterlo.
Ha bisogno di rimettersi in pista. Compra un iPhone, l’app store era stato lanciato solo qualche mese prima e capisce che il mercato delle applicazioni avrebbe rappresentato il futuro. A casa di Alex Fishman, un amico russo, dà vita all’embrione che poi sarebbe stato Whatsapp: l’idea originaria era modificare la rubrica del telefono e inserire status: “sono in palestra”, “sono a lavoro”.
È l’idea giusta nel momento giusto, Apple avrebbe di lì a poco inserito le notifiche “push” (2009) così che quando una persona cambia uno status, tutta la rubrica lo avrebbe saputo. Questa è il dettaglio che fa la differenza, come le abitudini degli utenti che iniziano ad usare l’app per chiedersi cose, farsi domande, darsi appuntamenti: «Jan stava controllando i cambiamenti degli status su un Mac Mini nella sua casa a Santa Clara. Quando a un certo punto gli venne l’illuminazione: aveva creato involontariamente un servizio di instant messaging» racconta Fishman a Forbes.
Jan non sta più nella pelle, sa di aver creato qualcosa di grosso, i numeri (250mila download) gli danno ragione. Si siede a un tavolo con Brian che capisce subito il potenziale e sfrutta la sua rete per trovare soldi: i primi 250 mila dollari arrivano da ex colleghi di Yahoo!. Seguono i soldi che contano, quelli di Sequoia Capital, prima 8 milioni, e poi altri round, in totale 58 milioni in tre round.
L’incontro con Zuckerberg
Con Mark Zuckerberg si è già visto, un caffè, cene, qualche chiacchiera, ma nessuna trattativa ancora.
Nel 2014 durante una cena Zuck scopre le carte e mette l’offerta sul tavolo: 20 miliardi.
Koum non sa cosa replicare, cosa fare. Ha paura delle reazioni degli utenti. L’idealista, quello che non ha mai voluto inserire pubblicità della sua app, che vende l’anima al business man di turno. Ma tutti hanno un prezzo, e anche Jan non sfugge alla regola. Ne parla con Brian, sentono Zuck che gli dà tutte le rassicurazioni del caso. Bussa alla porta del papà di Facebook, il 14 febbraio. È San Valentino, Zuck festeggia con Priscilla, sul tavolo cioccolato e fragole. E dice “sì”. La notte prima di firmare il contratto, mentre sta tornando a casa alle 2:30 di notte, si buca una gomma dell’auto. Rischia di morire. Salvo per miracolo.
Il contratto miliardario con Facebook Koum lo firma davanti a un edificio bianco ora in disuso: è l’ex ufficio dei servizi sociali, quello dove lui e sua madre ritiravano i buoni pasto. Il cerchio si è chiuso. Anche se le sfide vere iniziano ora.
Cosa fa adesso Jan Koum
Nonostante la vendita miliardaria a Zuckerberg, secondo Forbes il papà di Whatsapp detiene ancora il 45% delle azioni di Whatsapp (e Acton il 20%). E, in quanto tale ha anche un posto nel CdA di Facebook. Lo scorso anno Koum ha venduto più di 274 milioni di azioni del social in diversi affari, il 4% del totale delle sue azioni Facebook che ammontano a 7 miliardi, come spiega Recode.
Tanta roba per il papà di un’app a cui non mancano il problemi: la ricerca di un modello di business, la rivalità interna col cugino, Messenger, che è in grande crescita, le sottoscrizioni, prima inserite poi eliminate «È stato un errore far pagare l’app, avrebbe creato ostacoli nell’espansione sui mercati emergenti» ha ammesso . E una possibilità che si profila per far pagare le aziende che vogliono uno strumento di comunicazione privilegiata con i loro clienti.
Mentre Zuck rassicura gli investitori impazienti e Koum non sente la pressione e non si lascia distrarre: «Voglio continuare a fare una cosa e farla bene. Ho solo un’idea in testa, Whatsapp, e non ho intenzione di costruire altro».
Giancarlo Donadio
@giancarlodonad1