L’approccio pragmatico degli addetti ai lavori è evidente: metà degli intervistati individua tra i punti di forza della propria startup il focus totale sul progetto e la voglia di intraprendere e di rischiare. Quanto alle prospettive di crescita, è previsto un incremento variabile nel numero di dipendenti da +6% a +25% per oltre il 40% degli intervistati e una forte crescita del fatturato nell’esercizio in corso per il 74% delle startup prese in esame. Di queste, circa il 14% dichiara un boom nella variazione attesa di fatturato del 50% ed oltre, il 25,7% prospetta una crescita da +26% a +50%.
L’identikit della startup
Per quanto riguarda l’identikit delle startup, si tratta per l’86% di startup seed, cioè attività imprenditoriali di recente formazione, spesso sostenute dai cosiddetti finanziamenti all’idea, i primi fondi finanziari utilizzati per lanciare un’attività imprenditoriale innovativa, mentre solo l’8,6% del campione preso in esame è costituito da startup consolidate, con un fatturato superiore a 1 milione di Euro. Le risorse umane impiegate in azienda sono prevalentemente contenute, con il 50% delle realtà intervistate che dichiara di avere un team composto da un numero variabile di 3/9 persone ed un 32% che presenta un massimo di 3 dipendenti. Solo nel 13% dei casi si registra la presenza di un numero di risorse che varia dai 10 ai 20 individui e oltre. Per quanto riguarda la percentuale di fatturato generata all’estero, il 36% degli intervistati presenta una quota export inferiore al 10% e un analogo 36% dichiara di non esportare i propri prodotti/servizi in altri paesi.
Luci e ombre dell’ecosistema delle startup
“I dati che emergono dalla ricerca riflettono la struttura dell’ecosistema startup italiano, a luci e ombre – commenta Federico Barilli, Segretario Generale di Italia Startup – tra gli aspetti positivi si evidenzia un profilo prevalente dei founder italiani connotato da istruzione elevata, età media intorno ai 40 anni, quindi con esperienza qualificata e con presenza importante di manager/imprenditori di lungo corso, così come un modello prevalente B2B, di buon auspicio per la contaminazione necessaria con il sistema industriale italiano e internazionale.
Dall’altro lato si conferma una dimensione media piccola e una scarsa propensione allo sviluppo internazionale, parzialmente compensate da una voglia di intraprendere, di rischiare e di crescere (più che di vendere, di exit) che sono coerenti con lo spirito imprenditoriale tipico di una parte importante del nostro sistema industriale. L’Associazione, oltre al suo compito di rappresentanza verso le istituzioni europee, nazionali e regionali, prosegue nell’azione di avvicinare le giovani imprese innovative alle medie e grandi imprese italiane, in logica di open innovation e di corporate venture capital, così come nella spinta verso l’internazionalizzazione dell’ecosistema startup italiano”.
Lo startupper è laureato, ha esperienza e non è giovanissimo
Osservando il livello di formazione accademica, si scopre che il 26,2% dei nuovi imprenditori ha concluso un lungo percorso di studi con una laurea di secondo livello. Il 30,2% ha conseguito un master o un post laurea. Un aspetto fortemente differenziante rispetto allo stereotipo dello startupper molto giovane, tecnologo e geniale, ma senza esperienza aziendale o consulenziale. Attitudine confermata dai dati sulla formazione interna: la ricerca fa emergere che vengono organizzati progetti di formazione interna annuale per un periodo superiore alle 40 ore a dipendente, per il 28% delle aziende, mentre il 21% investe dalle 21 alle 30 ore di formazione per i propri dipendenti
Secondo Enrico Gallorini, Consigliere di Italia Startup e coordinatore della ricerca “lo stereotipo degli startupper e delle startup italiane va rivisto, i dati parlano chiaro: la qualifica e l’esperienza professionale elevata dei fondatori/imprenditori emergono nitidamente, con un miglioramento rispetto all’indagine di 2 anni fa; il modello aziendale innovativo rivolto prevalentemente alle imprese piuttosto che al consumatore finale va nella direzione giusta, del matching con l’industria; la voglia di intraprendere e di crescere, fa ben sperare. Sono segnali importanti che vanno sostenuti e incoraggiati, con politiche e con azioni concrete a supporto”.
L’esempio di X-Next
Per Bruno Garavelli, CEO di X-Next una delle più innovative startup italiane nel campo dell’ingegneria non c’è diversità di innovazione tra b2b e b2c
“Molte delle innovazioni che oggi sono disruptive nascono nel settore militare e industriale e sono poi trasferite nel consumer. Questo perché i costi per gli investimenti necessari per sviluppare nuova tecnologie sono più facilmente disponibili solo in determinati settori come il militare o lo spazio. Alcuni esempi: GPS e telefono cellulare arrivano da progetti militari come pure lo sviluppo di nuovi materiali o delle tecnologie stealth, che oggi trovano impiego nell’industria aeronautica e automobilistica. La stessa ns tecnologia XSpectra arriva dal settore spazio dove sono stati impiegati per primi i rivelatori a semiconduttore che oggi noi usiamo”.
Xnext, società fondata nel 2014 da Bruno Garavelli e Pietro Pozzi, entrambi ingegneri nucleari e con lunga esperienza tecnica e di management, intende rivoluzionare i controlli industriali basati su raggi X, per renderli capaci di identificare in tempo reale qualsiasi tipo di non conformità: esplosivi e loro precursori nel controllo bagagli, corpi estranei all’interno di cibi, contaminazioni di farmaci e preparati industriali. La tecnologia è stata sviluppata anche con l’importante collaborazione del Politecnico di Milano.
“Spesso nel B2B è il fornitore che risponde ad una richiesta specifica ed espressa del cliente, magari con progetti congiunti di innovazione, mentre nel consumer occorre andare ad anticipare il soddisfacimento di bisogni ancora latenti, con un rischio molto più elevato di sbagliare. Inoltre dobbiamo considerare che per realizzare un prodotto consumer innovativo, prima dovrò realizzare una macchina che lo produce che dovrà essere altrettanto innovativa. Per cui l’innovazione nel B2B precede direi sempre quella nel b2c e, soprattutto per un Paese come il nostro a forte vocazione manifatturiera, il modello b2b è il motore dello sviluppo industriale e centro di attrazione per start up e università.”
ScuolaZoo e l’esempio di Paolo De Nadai
Paolo De Nadai invece la startup l’ha fondata totalmente b2c con migliaia di studenti che ogni giorno utilizzano la sua ScuolaZoo.
“Io mi ritengo fortunatissimo ad aver incominciato a fare impresa a 19 anni, appena finita la maturità. Il fatto di studiare all’università e contemporaneamente lavorare alla fase di startup di ScuolaZoo mi ha permesso di poter contare sul supporto dei miei compagni di corso, di vivere tutto come un gioco (il nostro primo dovere era infatti studiare per gli esami) e quindi di poter osare molto di più, di avere più coraggio, di non viverla come un lavoro e quindi di non guardare l’orologio. Per i primi anni abbiamo tutti passato le notti, i weekend, ogni ora disponibile della nostra giornata e delle vacanze concentrati a far crescere il progetto. Nelle fasi iniziali una startup ha bisogno più di entusiasmo, coraggio e totale dedizione che esperienza e strategia. Trovo quindi un valore aggiunto la giovane età dei founder, soprattutto in un mondo come quello del digitale e dell’open innovation dove, a differenza di altri settori, anche nei rapporti b2b e per la chiusura di contratti con grandi aziende, l’età per fortuna non conta.
Dopo ScuolaZoo ho fondato altre 2 startup, oggi tutte parte del gruppo OneDay, arrivati a questa dimensione trovo altrettanto fondamentale aver inserito in azienda una prima linea di manager tra i 35 e i 40 anni perchè rappresentano la perfetta fusione tra il mood e lo spirito da startup e l’esperienza necessaria a traghettare il gruppo da una realtà che ha appena superato i 10 milioni di euro alla vision di avere un “business mate in ogni mercato”.
L’ecosistema come limite, l’esempio di Lanieri.com
Infine per Simone Maggi, CEO e Cofondatore di Lanieri.com
“Non credo che avere molte startup focalizzate nel B2B sia un limite per l’ecosistema. Credo piuttosto che l’ecosistema stesso sia un limite allo sviluppo del B2C. Per il B2C generalmente occorrono più investimenti in marketing e comunicazione rispetto al B2B e avere un panorama europeo molto frammentato sia nelle lingue che nella cultura costituisce indubbiamente un fattore di arricchimento, ma al contempo un ostacolo per lo sviluppo delle startup. Credo che l’Italia debba ancora trovare la sua identità rispetto alle altre nazioni e non è necessariamente un male avere una diversa base di partenza. L’unico limite che vedo ancora nell’Italia è rappresentato dai pochi capitali che vengono destinati alle startup se prendiamo come paragone gli altri stati europei.”
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