Avranno guadagnato anche il 14% in Borsa da inizio anno, ma non basta. Scudo o non scudo, le banche italiane hanno un problema da risolvere, e in fretta. Quello dei Non performing loans: ciascun istituto di credito, infatti, dovrà presentare alla Bce un “piano” per liberarsene entro fine marzo.
Uno studio di Mediobanca presentato in questi giorni ha messo in rapporto le sofferenze con il patrimonio netto tangibile, si tratta del cosiddetto Texas ratio (chiamato così perché storicamente fu applicato per la prima volta negli anni ’80 durante crisi delle banche texane) che misura la funzione fra le sofferenze e la liquidità dell’istituto esaminato, compresi gli accantonamenti.
Cosa sono i Non performing loans
Sono considerati “non performing loans” (ovvero, prestiti non performanti) tutte quelle attività che non riescono più a ripagare il capitale e gli interessi dovuti ai creditori. Si tratta, in pratica, di crediti per i quali la riscossione è incerta sia in termini di rispetto della scadenza che per ammontare dell’esposizione. I non performing loans nel linguaggio bancario sono chiamati anche crediti deteriorati e si distinguono in varie categorie fra le quali le più importanti sono gli incagli e le sofferenze.
Cos’è e come funziona il Texas ratio
Si tratta di un indicatore che mette in rapporto i “prestiti non performanti” (i crediti deteriorati di cui sopra) al patrimonio netto tangibile di una banca. In parole semplici questo indicatore rapporta i crediti a rischio al patrimonio tangibile della banca (ossia al capitale netto diminuito delle immobilizzazioni immateriali) per verificare che quest’ultimo superi il primo e che quindi la banca sappia far fronte all’eventuale perdita di questi crediti. Per questo motivo il Texas Ratio dovrebbe sempre essere inferiore all’unità (quindi con un patrimonio tangibile che supera i crediti a rischio). Se l’indice è sotto il 100% la banca è sana. Sopra i cento cominciano i problemi che peggiorano col crescere della forbice.
L’esempio positivo
Qualche giorno fa Chianti Banca ha pubblicato il bilancio 2016 che riporta una perdita di 90,4 miliardi, ma, fanno sapere dalla banca presieduta da Lorenzo Bini Smaghi, «l’istituto ha ancora indici patrimoniali positivi, diventerà Spa e non chiederà aiuti».
A Teramo la banca “peggiore”
Secondo questo ranking, nel 2015 la peggiore banca d’Italia è stata la Bcc di Teramo, con un Texas ratio di 777,2. L’istituto era stato salvato in extremis grazie all’intervento della Bcc di Castiglione Messer Raimondo e Pianella con l’aiuto del Fondo di garanzia del credito cooperativo.
Ma in base ai dati Mediobanca, le banche italiane con un Texas ratio superiore al 100% – in base ai bilanci 2015 – erano 114 e alcune non hanno trovato una soluzione.
Mps e le altre attenzionate speciali
Nello studio si anche afferma esplicitamente che, in casi come questi, non c’è tempo da perdere: in genere, la banca con un Texas ratio alto corre guai seri, poiché l’ammontare delle esposizioni e i costi operativi incidono direttamente (e negativamente) sul conto economico della stessa.
Prendiamo ad esempio il caso di Mps che nella classifica di Mediobanca figura al settimo posto: il costo del suo salvataggio è passato da 5 miliardi a 8. E guardiamo al caso delle Popolari Venete: i 3,5 miliardi messi da Atlante sono stati bruciati perché insufficienti e adesso potrebbe essere necessario l’intervento dello Stato, che però, come nel caso Montepaschi, si trova a fare i conti con la direttiva europea in materia di salvabanche.
Cosa dice la nuova direttiva europea salvabanche
(a cura di @aldopecora)
La risoluzione delle banche in crisi è disciplinata dal 2014 da una direttiva europea, la Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive) che introduce in tutti i paesi europei regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento.
Sottoporre una banca a risoluzione significa avviare un processo di ristrutturazione gestito da autorità indipendenti (le cosiddette autorità di risoluzione) che, attraverso l’utilizzo di tecniche e poteri offerti dalla nuova direttiva, mira a evitare interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca (ad esempio, i depositi e i servizi di pagamento), a ripristinare condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca e a liquidare le parti restanti.
L’unica alternativa alla risoluzione sarebbe la liquidazione. In particolare, in Italia continuerà a poter essere applicata la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal Testo unico bancario, quale procedura speciale per le banche e gli altri intermediari finanziari, sostitutiva del fallimento applicabile alle imprese di diritto comune (fonte Banca d’Italia).