Prosegue anche nel 2016 la crescita della sharing economy in Italia, pur con una maggiore gradualità rispetto agli esordi, ma con un numero sempre più ampio di mercati in grado di coglierne e attivarne il forte potenziale di innovazione. E’ questa la fotografia che emerge dal terzo rapporto annuale della Mappatura delle piattaforme collaborative e dal quarto report sulle piattaforme di crowdfunding, a cura di Marta Mainieri (Collaboriamo) e Ivana Pais (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), presentati in occasione di Sharitaly 2016, il più grande e consolidato evento dedicato all’economia collaborativa in Italia, in programma il 15 e 16 novembre a BASE Milano il 15 e 16 novembre.
Le due ricerche, fra loro complementari, hanno l’obiettivo di fornire un quadro ampio e completo dell’economia collaborativa in Italia. Si calcola innanzitutto che, nel 2016, le piattaforme italiane di sharing economy (comprese quelle internazionali con sede in Italia) siano arrivate a 138 e 68 quelle di crowdfunding, per un totale di 206. Numeri che, rispetto alle 187 complessive del 2015, delineano un incremento pari all’11%.
Quanto “pesa” la sharing economy
Dalla casa ai trasporti, dal turismo al welfare, fino alla finanza, alla mobilità, alla cultura, al lavoro, alla scienza: emerge in maniera chiara come la sharing economy stia facendo il suo ingresso in un numero sempre più ampio di settori. Nella ricerca le piattaforme di sharing economy censite sono suddivise in 12 settori. Quelli che, rispetto allo scorso anno, vedono un maggior incremento dell’economia collaborativa italiana sono in particolare i trasporti, che rappresentano il 18% delle piattaforme analizzate, i servizi alle persone (16,6%), servizi alle imprese (8,7%), la cultura (9,4%), mentre rimane sostanzialmente invariato turismo (12%).
Per Ivana Pais, «l’economia collaborativa non è un settore o un modello di business, è un approccio che mette in discussione i rapporti consolidati tra economia e società. In questo momento le piattaforme italiane sono ancora immature ma mostrano una forte attenzione alla dimensione relazionale. E le nostre ricerche hanno permesso di indagare le specificità dei casi di successo, dove l’utilizzo delle piattaforme rafforza il capitale sociale degli utenti».
Molte piattaforme, ancora pochi utenti
Nonostante l’incremento dell’offerta, la domanda ha ancora molti margini di crescita. Il 51% delle piattaforme di sharing ha un numero di utenti inferiore a 5mila. In compenso l’11% ne registra però oltre 100mila, un numero che inizia a permettere alle piattaforme di innescare circoli virtuosi. Lo stesso vale per le piattaforme di crowdfunding: il 49% ha un numero di donatori inferiore a 500 mentre il 9% supera i 50mila. «D’altra parte, le piattaforme di sharing italiane sono ancora molto giovani, la maggior parte ha poco più di due anni di vita», nota Marta Mainieri.
Nel 2015 il 20% delle piattaforme sharing raggiungeva più di 30mila utenti, ora sono il 31%. Nel 2015 solo il 35% delle piattaforme di crowdfunding raggiungeva più di 1.000 finanziatori/donatori, adesso l’82%.