Intervista a Salvo Mizzi, ceo di Invitalia Ventures, che racconta i primi dodici mesi alla guida del fondo della controllata del ministero dell’Economia.
«Molti un anno fa dicevano che mi sarei schiantato. Ma non è andata così». Salvo Mizzi, 54 anni, catanese, dal primo luglio 2015 è l’amministratore delegato di Invitalia Ventures, il fondo di venture capital della controllata del ministero dell’Economia. 12 mesi dall’incarico. Cinque mesi per completare squadra e strategia. E poi gli investimenti. Cinque. In startup che probabilmente in pochi si sarebbero aspettati. Healtcare, fintech, smart mobility. «Tecnologie che possono migliorare la vita delle persone, renderla più facile. E che ovviamente possano scalare, perché il primo obiettivo è dare ritorni agli investitori». Cinque investimenti che però già delineano la sua strategia.
In sei mesi avete investito in 5 startup e con voi altri fondi di venture per un totale di 12 milioni, il 10% di quanto si investe in startup in Italia in un anno. Era questo l’effetto leva che vi aspettavate?
«Secondo me sì. L’effetto leva è uno dei fattori più importanti per noi. Ed è uno degli indicatori da guardare per capire l’efficacia del fondo. Noi abbiamo investito 3 milioni su un totale di 12 in cinque startup. In sei mesi smossi 12 milioni di investimenti, che non è male. Con un lavoro di preparazione veloce e preciso. E a mio avviso con buona efficienza».
Cinque aziende diverse, tra loro. Ma anche diverse da quello che l’immaginario comune vuole che sia una startup. Queste sono startup che, mi passi il termine, «fanno cose».
«Sì sono un po’ diverse ma raccontano la nostra strategia. “Fanno cose”, è vero. Non fanno app ma producono oggetti. Abbiamo investito nell’health, nell’industrial, nella smart mobility, nel fintech. Sono tutti ambiti e tecnologie ad alto impatto sulle persone. Penso al tema della salute. Trovo molto interessante l’intreccio tra health e digitale. Noi sappiamo che per uno stato oggi il welfare non è più sostenibile sul lungo termine. E i nostri investimenti sono andati in tecnologie che rispondono all’esigenza di rendere più efficiente e economica la spesa in salute. Non escludo che in questo settore arrivino altri investimenti entro la fine dell’anno».
State seguendo un po’ una tendenza che negli ultimi mesi si sta riscontrando in diversi investitori. Investimenti in startup hardware e con un grande capitale di ricerca e sviluppo, come gli spinoff universitari.
«Guarda, negli ultimi anni il deal flow italiano è stato a mio avviso un po’ troppo sbilanciato su ITC e digital puro. Tante, troppe app. E tra i miei obiettivi a Invitalia Ventures c’era quello di provare a ribilanciare gli investimenti a favore di aziende con una tecnologia più distintiva. Guardiamo molto agli spinoff e ai centri di ricerca italiani. Guarda a Ecolight che viene dall’Università di Lecce, o Zehus che è uno spinoff del Politecnico di Torino. Quindi sì stiamo guardando con particolare attenzione a quel mondo».
E poi c’è Sardex. Come mai avete investito in una fintech così particolare?
«Sardex è una fintech nata quando il fintech come categoria in Italia non esisteva ancora. Ci hanno visto lungo. Però rispetto al fintech puro loro hanno un effetto leva su una community in crescita costante, che si estende regione dopo regione. Il motivo per cui abbiamo investito in loro è speculare al tema del welfare. È una tecnologia che ha oggi, e ancor di più potenzialmente, un grande impatto sulla vita persone».
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Semplifico troppo se individuo in questo il razionale dei vostri investimenti? Tecnologie che migliorano, o che hanno un impatto positivo, sulla vita delle persone.
«Esattamente. Noi ci ritroviamo in un’idea di impact investing più anglosassone. Investiamo in startup che possano avere un impatto notevole su un numero quanto più ampio di persone. Ma in più vogliamo che l’impatto sia anche positivo. Il fondo nasce come una netta indicazione di produrre ritorni agli investitori. Ed è la regola numero uno. Tutto è fatto in una logica di mercato. Ma la radice del nostro fondo è istituzionale. I 50 milioni con cui siamo partiti vengono dal Governo. E quindi c’è anche un minimo di ragionamento di sistema. Laddove il mercato è già sufficientemente strutturato, come ad esempio sull’ecommerce, non c’è bisogno di recovery e tendiamo a non intervenire. Detto questo, alla base comunque c’è anche la volontà di migliorare la vita delle persone».
A proposito della struttura del fondo. I 50 milioni dal Governo ci sono, dai privati finora avete raccolto 15 milioni.
«Sì il closing è di 100 milioni per dare a IV1 (il nome del fondo, ndr) la caratteristica individuata in origine: in sintesi, 50% dal pubblico e 50% dal privato. In questi mesi abbiamo raccolto il resto da altri investitori privati: Cisco Investment e Fondazione Sardegna. E penso sia un buon risultato. Specie per Cisco, visto che è la prima volta che una grossa corporate americana mette i propri soldi in un fondo di investimento italiano».
Quante proposte vi sono arrivate in questi mesi?
«Abbiamo valutato circa 700 progetti, io e il mio team che è composto anche da Ciro Spedaliere, Mario Scuderi, Maria Cavallo, Susanna Colletto e Svetlana Vasckel. Abbiamo 25 progetti approvati dal comitato di investimento e di questi 7 investimenti sono stati approvati in consiglio di amministrazione.
Mi sta dicendo che ci dobbiamo aspettare altri due investimenti nelle prossime settimane?
«Probabile (ride, ndr). Di fatto sì due sono in fase di closing».
Molti dicevano che si sarebbe schiantato con Invitalia Ventures. Che sarebbe stato difficile lavorare con un fondo pubblico, con la burocrazia, che i tempi dell’economia digitale sono inconciliabili con quelli della macchina statale. Che bilancio fa dei suoi primi 12 mesi?
«Per me è un bilancio molto positivo. Al di là di quello che si è detto, io, arrivando dal mondo delle aziende, dal privato, confesso che ho temuto di trovarmi delle secche della così detta burocrazia. Ma devo dire che ho avuto moltissimo supporto. Non ci sono stati i temutissimi schianti. Né lentezze. Basta guardare ai numeri portati a casa e alla macchina messa in piedi. Presto per dirlo ma per ora la scommessa è parzialmente vinta. Ma so che ora viene il difficile. Superata la fase di startup dobbiamo dare prospettiva e solidità alla macchina messa in piedi. Il bello viene adesso».
Arcangelo Rociola
@arcamasilum