La seconda lezione di Jeremy Rifkin per una Europa più smart, green e digital. Oggi si va alla scoperta del super Internet delle Cose per capire come cambierà la nostra società da qui al 2030 (100.000 miliardi di sensori).
Oggi l’Europa sta ponendo le basi per la Terza Rivoluzione Industriale. La comunicazione digitalizzata e interattiva della rete sta convergendo tramite un’internet dell’energia rinnovabile digitalizzata, un’internet dei trasporti automatizzati a guida GPS e della logistica, nella creazione di una super Internet delle Cose.
100.000 miliardi di sensori nel 2030
In questa grande Internet delle Cose ci saranno sensori integrati in tutti i dispositivi e apparati. Sensori che faranno comunicare questi device tra di loro e con gli utenti della rete. Sarà quest’ultima a fornire i dati, al momento, sulla gestione, alimentazione, e lo spostamento delle attività economiche in una Europa digitale intelligente. Attualmente, 14 miliardi di sensori sono collegati a flussi di risorse, depositi, sistemi stradali, linee di produzione di fabbrica, reti di trasmissione di energia elettrica, uffici, case, negozi e veicoli. Sensori che tengono sotto costante controllo le loro condizioni, le loro prestazioni e l’alimentazione dei “Big Data” all’interno di Internet, della Comunicazione, dell’Energia e di Trasporti e Logistica. Entro il 2030, si stima ci saranno più di 100.000 miliardi di sensori che collegheranno l’ambiente umano e naturale in una rete intelligente globale distribuita. Per la prima volta nella storia, l’intera razza umana potrà collaborare direttamente, in una interazione capace di democratizzare la vita economica.
Il futuro dell’Interne delle cose
La digitalizzazione della comunicazione, dell’energia e dei trasporti comporta anche rischi e sfide. Non da ultimo quelle relative alla neutralità della rete, alla prevenzione della creazione di nuovi monopoli privati, alla protezione della privacy personale, garantendo la sicurezza dei dati, e al contro della criminalità informatica del cyber-terrorismo. La Commissione europea ha già iniziato ad affrontare questi problemi, stabilendo il principio generale che:
la privacy, la protezione dei dati e la sicurezza delle informazioni sono requisiti gratuiti per i servizi dell’Internet delle Cose.
In questa economia digitale allargata, imprenditori collegati nell’Internet delle Cose possono utilizzare i Big Data e sistemi di analisi avanzati per lo sviluppo di algoritmi per accelerare l’efficienza, aumentare la produttività e ridurre drasticamente il costo marginale di produzione e distribuzione di beni e servizi, rendendo le imprese europee più competitive in un emergente mercato globale post-carbon. (Il costo marginale è il costo di produzione di un’unità aggiuntiva di un bene o di un servizio, dopo che sono stati ammortizzati i costi fissi di impianto.)
Il costo marginale di alcuni beni e servizi in un’Europa digitale potrebbe perfino arrivare a zero, consentendo a milioni di prosumer connessi all’interno dell’Internet delle cose di produrre e scambiare beni tra loro, in modo quasi gratuito. La generazione digitale sta già producendo e condividendo musica, video, notizie sui blog, informazione sociale, e-books gratuiti, corsi universitari on-line aperti, e altri beni virtuali a costi marginali prossimi allo zero. Il fenomeno del “costo marginale quasi zero” ha messo l’industria musicale in ginocchio, ha scosso l’industria televisiva, ha buttato fuori dal mercato giornali e riviste, e ha azzoppato il mercato dell’editoria libraria.
Un muro non più invalicabile
Ma se c’è chi soffre nell’industria tradizionale, col fenomeno costo del marginale zero si sono anche create miriadi di nuove imprese commerciali, tra cui Google, Facebook, Twitter, e YouTube, e migliaia di altre aziende di Internet, che riescono a fare profitti creando nuove applicazioni e realizzando le reti che permettono all’Economia della Condivisione (sharing economy) di prosperare.
Gli economisti hanno riconosciuto che il costo marginale quasi zero ha avuto un forte impatto sull’industria dell’informazione ma, fino a poco tempo fa, hanno sostenuto che l’aumento di produttività dell’economia digitale non sarebbe rimasto confinato nel mondo del virtuale e non avrebbe mai potuto superare il muro invalicabile dell’economia reale, e dunque estendersi ai settori dell’energia e della produzione di beni e servizi fisici. Questo muro invalicabile, è stato ormai valicato.
L’Internet delle Cose, che è in continua evoluzione, permetterà ad aziende convenzionali, così come a milioni di prosumer, di generare e distribuire la propria energia da fonti rinnovabili, di usare veicoli elettrici e a idrogeno senza conducente, in servizi di car sharing automatizzati, e produrre una quantità crescente di prodotti fisici stampati in 3D a bassissimo costo marginale nell’economia di mercato, o a costo marginale quasi zero nell’economia della sharing economy. Proprio come già avviene nel settore dell’informazione.
Jeremy Rifkin