Centomila chilometri quadrati per poco più di cinquantuno milioni di abitanti che condizionano i consumi e i destini di miliardi di individui nel mondo, entrando in tutte le sfere personali, professionali, sociali della nostra esistenza. E oggi, per la precisione da alcuni giorni, anche in quelle cronache internazionali legate ai destini politici di una comunità. Stiamo parlando della Corea del Sud. Pur essendo a novemila chilometri di distanza e a quindici ore di volo dall’Italia, questo Paese entra in tutti i nostri mercati, coinvolge tutte le fasce anagrafiche di consumatori, ridefinisce i nostri posizionamenti e le identità condivise. Non è un tema che riguarda solo l’Italia, ma il mondo intero. È il Fattore K, così descritto in modo assai efficace nel nuovo podcast di Radio 1 Rai curato e condotto da Massimo Cerofolini, con la regia di Leonardo Patanè. Per la nostra rubrica del venerdì legata agli “Italiani dell’altro mondo” vi portiamo in quell’ombelico del mondo e crocevia di culture, costumi, tecnologie, visioni del mondo.
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«Con il titolo Fattore K ho voluto raccogliere un fenomeno complesso che definisce un’intera industria culturale e una visione del mondo radicata nella Corea del Sud. Tutto nasce con la crisi economica alla fine dei primi anni Duemila, quando il governo di Seul pianifica in modo molto accurato una strategia per issare un Paese fino a quel momento di rilevanza marginale in un punto di riferimento per l’intero pianeta. Gli elementi chiave sono sicuramente l’intrattenimento declinato in musica K-Pop, serie televisive K-Drama e cinema. C’è anche la tecnologia con i cellulari Samsung che per primi inseriscono l’intelligenza artificiale dentro il sistema operativo e di slancio superano per vendite gli iPhone della Apple. E poi la bellezza, sempre più apprezzata nel mondo specie dal pubblico femminile con l’onda della K-Beauty, un misto di antiche pratiche e tecnologie d’avanguardia. Ma potrei continuare con il cibo, asceso a fenomeno planetario con le fermentazioni del K-Food. E la cultura, la K-Culture, dopo il recente Nobel alla scrittrice Han Kang». Così afferma Massimo Cerofolini, giornalista di lungo corso e da anni voce dell’innovazione con la sua trasmissione Eta Beta. «In Corea c’è una forte componente innovativa, una cura maniacale per la qualità e l’estetica e una spinta all’esportazione globale. La rivoluzione viene definita gentile per diverse ragioni. I prodotti culturali coreani, pur affrontando talvolta temi complessi, mantengono spesso un tono leggero, positivo e romantico, puntando su valori universali come l’amicizia, la famiglia e l’amore. A differenza di altri fenomeni di globalizzazione culturale il Fattore K sembra penetrare in modo soffice, non imponendosi con aggressività ma conquistando il pubblico attraverso il fascino dei suoi prodotti, adattandosi ai gusti locali senza stravolgere la propria identità. La Corea – partendo da una posizione di svantaggio – ha saputo sollevare un’onda, l’hallyu come la chiamano, che prima accarezza il mondo e poi lo travolge», dice Cerofolini.
Massimo, hai visitato tante volte la Corea. Cosa ti ha colpito di più?
Innanzitutto la velocità: la prima parola che impari appena scendi dall’aereo è “palli palli”, che tradurrei in “veloce, subito”. È un po’ il marchio della società coreana in cui tutto deve avvenire senza ritardi né attriti: in ogni ristornate per dire c’è un pulsante al tavolo, che basta premere per avere all’istante un cameriere a disposizione. E poi, altro aspetto d’impatto, il contrasto tra la modernità ipertecnologica palpabile ovunque, dalle luci sfavillanti di Seul ai robot nei ristoranti, e la profonda tradizione che permea ancora la società.
“La prima parola che impari appena scendi dall’aereo è palli palli che tradurrei in veloce e subito. È un po’ il marchio della società coreana”
Negli scorsi anni girando per la città che cosa hai visto?
Ho visto giovani vestiti all’ultima moda inchinarsi rispettosamente agli anziani che hanno spesso l’ultima parola sulle scelte dei figli: appena tre figli su cento nascono fuori dal matrimonio. In più ho assistito a riti gerarchici dal sapore medioevale in grattacieli avveniristici: coi dipendenti che aspettano il permesso del capo per andare a casa, fossero pure le due di notte, o che si sottomettono al rito della birra a fine giornata se così decide il gruppo. Un altro aspetto che mi ha colpito è la dedizione e la disciplina dei coreani, frutto della filosofia confuciana, che si riflette sia nella perfezione tecnica raggiunta in tutti i prodotti nazionali, sia nella rapidità con cui il paese si è trasformato da nazione povera a potenza economica globale.
Che tipo di rivoluzioni stanno avvenendo non solo nei consumi, ma anche nelle relazioni che si vengono a costruire tra utenti, creator, brand?
Il Fattore K sta rivoluzionando le relazioni tra utenti, creator e brand in diversi modi. Innanzitutto la forte interazione con i fan è un elemento centrale. Le piattaforme online come V Live e Weverse permettono ai fan di comunicare direttamente con i loro idoli, dalle band del pop alle star delle serie tv, influenzando le loro scelte artistiche e creando un senso di comunità molto forte. I brand sfruttano questa connessione, coinvolgendo gli artisti nelle campagne pubblicitarie e creando prodotti in collaborazione con loro, trasformando i fan in veri e propri ambasciatori del marchio.
Ci fai un esempio?
Gli attori nelle loro storie mangiano cibo coreano, usano cellulari e prodotti di bellezza coreani, mostrano i luoghi più interessanti del Paese. E tutto questo si traduce in aumento della popolarità del K-power, che si trasforma anche in un impulso per il turismo internazionale. Inoltre, l’onda coreana sta stimolando la creatività degli utenti, che producono fan art, fan fiction e altri contenuti ispirati ai loro idoli, contribuendo alla diffusione e alla promozione del fenomeno sul web.
Come si arriva a diventare una guida globale su stili di vita e tendenze innovative?
È un’abile combinazione di investimenti governativi nel settore culturale, sviluppo tecnologico e promozione mirata sui mercati internazionali, come per esempio gli accordi con Netflix e le altre piattaforme video. Il governo coreano già dalla fine della guerra con i cugini del Nord, in mancanza di risorse, ha investito moltissimo in istruzione, capitale umano e ricerca: in Corea oggi 3 giovani su 4 sotto i 34 anni sono laureati, in Italia per dire nella stessa fascia di età sono appena 1 su 4. In più la Corea ha finanziato la produzione di drama e film, supportato l’industria musicale e creato infrastrutture per la diffusione dei contenuti online: sono il Paese dove è più capillare la tecnologia del 5G.
“In Corea oggi 3 giovani su 4 sotto i 34 anni sono laureati, in Italia per dire nella stessa fascia di età sono appena 1 su 4”
Tutto ruota attorno alle infrastrutture hi-tech.
Perché l’avanzata tecnologia ha permesso di creare piattaforme digitali innovative per la distribuzione e la promozione dei prodotti culturali, raggiungendo un pubblico globale. Infine, la strategia di localizzazione, con l’adattamento dei contenuti ai gusti dei diversi paesi, ha contribuito al successo del Fattore K in tutto il mondo. Come spiegato nel podcast, non si tratta di un fenomeno casuale, ma di un progetto a lungo termine portato avanti con costanza e determinazione.
Non mancano però le contraddizioni di un’economia coi lustrini, che però nasconde altro.
Dietro la facciata scintillante del Fattore K si nasconde un lato oscuro. Nel podcast raccontiamo le protezioni collocate sul ponte Mapo, tristemente famoso per l’elevato numero di suicidi. E la storia di Vincenzo Bordo, sacerdote viterbese che da 34 anni raccoglie gli scarti del miracolo sul fiume Han, li consola, offre loro un pasto e un ricovero e prova a restituire loro dignità. Raccontiamo le pressioni e lo stress a cui sono sottoposte soprattutto le nuove generazioni, costrette a ritmi di lavoro sfiancanti e a rispettare standard di bellezza irrealistici.
In che modo la tecnologia – penso a robot, intelligenza artificiale, ricerca avanzata e realtà immersive – entra in ballo?
La tecnologia è un elemento fondamentale del Fattore K. La Corea del Sud è all’avanguardia nello sviluppo di tecnologie digitali, e questo si riflette nella produzione e nella distribuzione dei contenuti culturali. Nel podcast raccontiamo il ruolo di Naver, la Google coreana, usata da tutti nel Paese, l’unica che – fuori da Usa e Cina – ha realizzato algoritmi generativi tipo ChatGpt addestrati su dati nazionali. L’intelligenza artificiale viene utilizzata per personalizzare l’esperienza degli utenti e si ritrova ovunque, persino dentro forni, frigo e lavatrici, per decidere in autonomia cotture, acquisti di genere alimentari e programmi di lavaggio a seconda delle macchie riscontrate dai sensori.
Cosa ti colpisce di più su questo fronte hi-tech?
Per esempio il fatto che in Corea si usi ancora con disinvoltura una parola sparita dal vocabolario degli addetti alla tecnologia: il metaverso. I mondi virtuali immaginati da Facebook e poi dimenticati dai più sono nel Paese una realtà diffusa. Il comune di Seul ha un doppio digitale su cui vengono testate le decisioni e dentro cui gli avatar dei cittadini possono incontrare con facilità quelli degli amministratori. C’è un doppio virtuale di tutto in Corea. Un po’ il riflesso dell’onda blu e rossa impressa nella bandiera nazionale: l’idea dello Yin e dello Yang, i due opposti che si attraggono e che sono l’uno la condizione dell’altro. Ecco, la contraddizione tra antico e moderno, tra passato e futuro non è paralisi, ma dinamismo, pulsione, instancabile conquista di spazi inesplorati.