La testata Fanpage ha notato un fenomeno curioso, che abbiamo verificato in prima persona e che potrete provare voi stessi: ricercando sul motore di ricerca più usato al mondo il nome della giurista italiana Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU sui territori palestinesi occupati e in prima linea contro il governo di Israele per il genocidio perpetrato a Gaza, il primo risultato che restituisce Google è una pagina “sponsorizzata da govextra.gov.il, un sottodominio del governo israeliano”.
Quel curioso contenuto su Google…
Nel testo evidenziato da Google primeggiando su tutte le altre pagine si legge: ‘Durante il suo mandato, Albanese ha ripetutamente violato i principi di imparzialità, universalità e integrità professionale, fondamentali per il suo mandato alle Nazioni Unite.’ Il documento elenca poi una serie di presunte violazioni degli standard etici delle Nazioni Unite, accusando la giurista di aver avuto ripetuti contatti con gruppi terroristici, tra questi anche Hamas”.

Da mesi, prosegue l’inchiesta, “la Israeli Government Advertising Agency – agenzia che opera come gruppo di comunicazione per il governo di Benjamin Netanyahu – sta cercando di manipolare la narrazione con strumenti propri della comunicazione commerciale. Il meccanismo è semplice, basta pagare per spingere una pagina in cima ai risultati di ricerca su Google. Funziona con un sistema a pagamento per clic (pay-per-click), dove gli utenti scelgono specifiche parole chiave legate ai loro prodotti o servizi e creano annunci testuali mirati. Ogni volta che un utente cerca una delle parole chiave, l’annuncio può comparire tra i primi risultati, segnalato dalla dicitura “Sponsorizzato”.
Francesca Albanese sanzionata anche dagli USA
L’inchiesta di Fanpage dovrebbe accendere un faro sulla terzietà di Google, che presenta le proprie fonti sulla base di quanto queste sborsano per apparire in cima alle ricerche. E soprattutto sulle mosse del governo di Israele per mettere a tacere una delle poche voci che denunciano quotidianamente il genocidio di Gaza.
Denunce che chiamano in causa gran parte del mondo hi-tech, della Silicon Valley e non solo. La scorsa settimana Francesca Albanese ha presentato un dettagliato rapporto (“From economy of occupation to economy of genocide”) sulle aziende, molte statunitensi come Amazon, Alphabet, Microsoft, Palantir, Lockheed Martin, coinvolte in quello che la relatrice ha definito il “business del genocidio”.

“Questo genocidio non è stato evitato, né è stato fermato, perché è redditizio. C’è gente che sta facendo soldi a costo del genocidio. Un sacco di soldi”, sintetizza Albanese nel suo intervento di presentazione.
In particolare, il Rapporto documenta come imprese israeliane e multinazionali (tra cui Elbit Systems, Lockheed Martin, Google, Microsoft e Amazon) abbiano fornito strumenti, tecnologie e supporto logistico che hanno alimentato il massiccio utilizzo della forza contro la popolazione civile palestinese. Queste collaborazioni includono forniture di armamenti, sistemi di sorveglianza biometrica, analisi predittive tramite intelligenza artificiale e servizi cloud critici per le operazioni militari.
Per gli USA è stata la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. Gli Stati Uniti imporranno sanzioni contro la giurista italiana, secondo quanto ha annunciato il segretario di stato americano Marco Rubio, che parla delle relazioni di Albanese come di “illegittimi e vergognosi sforzi per fare pressione sulla Corte Penale Internazionale affinché agisca contro funzionari, aziende e leader statunitensi e israeliani“.
Tacciono per ora i membri del governo italiano di Giorgia Meloni, mentre la sola difesa che si leva arriva dalla Grecia attraverso un post su X dell’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis.