L’intervista al professor Henry Chesbrough, Maire Tecnimont Chair all’Università Luiss, in occasione di SIOS22 Sardinia Edition
Distretti, stati, comparti: ma senza mai dimenticare la visione globale per disegnare il nostro business. La ricetta che il professor Chesbrough, titolare della Maire Tecnimont Chair di Open Innovation e Sostenibilità presso l’Università Luiss di Roma, ci ha raccontato lo scorso 19 maggio a Cagliari è tutto sommato semplice: puntare su talenti e nella collaborazione tra talenti, sfruttare i punti forti che accomunano i distretti produttivi italiani con luoghi dove si fa innovazione per antonomasia, come Silicon Valley.
Vi riproponiamo integralmente la trascrizione della chiacchierata avvenuta durante SIOS22 Sardinia Edition: un’analisi di sicuro interesse per chi si occupa di innovazione in qualsiasi comparto, distretto o stato.
Similitudini e differenze
StartupItalia: Grazie mille Professor Chesbrough per aver accettato il nostro invito a StartupItalia Open Summit Sardinia Edition. Ci eravamo sentiti quando era stato appena confermato nella Maire Tecnimont Chair all’Università Luiss, come professore di Open Innovation, ma è anche professore all’Università di Berkeley, California: questo la colloca in una posizione particolare, può confrontare i due ecosistemi, quello della Silicon Valley e quello italiano, magari quindi ci può parlare della differenza e delle somiglianze tra questi due ecosistemi.
Henry Chesbrough: Prima di tutto lasciatemi ringraziare per l’invito allo StartupItalia Open Summit, è un piacere essere con voi. Per cercare somiglianze e differenze tra Silicon Valley e l’Italia ci sarebbero molte cose da dire: per cominciare, in comune hanno senza dubbio una forte componente scientifica e tecnologica, c’è molta conoscenza su cui costruire una startup. E questo è senza dubbio un importante punto di partenza. Se non avessimo conoscenze e tecnologie da utilizzare, il nostro compito sarebbe molto più difficile. Un secondo punto in comune è la presenza di ottimi talenti, individui ben preparati, ben istruiti, motivati, ad affrontare sfide e problemi importanti, e anche questo è molto importante. Una potenziale differenza che osservo è nei clienti delle startup nelle due regioni: in Silicon Valley c’è una lunga tradizione di grandi aziende che fanno affari con startup appena fondate. Se la startup ha sviluppato buone tecnologie o buone soluzioni, anche una grande azienda darà loro un’opportunità. In Italia questo costituisce invece un problema, penso ci sia più scetticismo da parte dei grandi clienti nelle capacità delle startup. E questo significa che a parità di talenti e tecnologie, le startup in Italia potrebbero incontrare maggiori difficoltà a realizzare le prime vendite. E questa credo sia una possibile differenza tra le due regioni, potrei continuare ma mi pare un ottimo punto di partenza.
La visione deve essere globale
SI: Storicamente l’Italia è stata sempre una nazione divisa in molti territori: oggi parliamo di distretti produttivi, alcuni di grande successo, per esempio la Motor Valley in Emilia Romagna. Qualche volta, però, la dimensione dell’azienda può costituire un limite: ci sono delle azioni da compiere per affrontare questo problema, o magari ci sono territori con una tradizione e una vocazione unica, come la Sardegna dove siamo oggi, che possono dare vita a ecosistemi particolari che a loro volta possono integrarsi in un quadro più ampio, diventando così una risorsa utile all’intera nazione?
HC: Beh io oggi vi parlo dalla California, uno dei 50 stati degli Stati Uniti, anche gli USA sono quindi divisi in molti territori. In questo caso parliamo di divisioni amministrative, mentre quanto descrive lei è una compartimentazione industriale. Ma ci sono molte ricerche che dimostrano quanto beneficio porti la creazione di speciali distretti, dando vita ad ecosistemi di aziende che possono completarsi e supportarsi a vicenda. Ciò può intensificare la collaborazione e accelerare la velocità con cui maturano le idee: in questo senso i distretti possono essere molto efficaci, nella specializzazione e nel creare una massa critica, nel mettere insieme diversi soggetti, per farli innovare insieme nella stessa direzione e con lo stesso obiettivo. La sfida a mio avviso è nell’evitare, ed in effetti è tassativo in questo ambito, di rinchiudersi in un distretto o una nazione quando si parla di mercato potenziale. Prima abbiamo parlato di Silicon Valley: Silicon Valley vende i suoi prodotti e servizi in tutto il mondo, la stessa aspirazione che deve essere coltivata dai giovani imprenditori presenti allo StartupItalia Open Summit. Possiamo fare squadra nel nostro distretto, ma la nostra ambizione e visione deve andare ben oltre. Pensando a dove si trovano la Sardegna e l’Italia, c’è un territorio speciale che al momento è quello con il più alto tasso di crescita sul pianeta: l’Africa. Se siete in cerca di crescita, nuove opportunità, reddito pro-capite in crescita e mercati in espansione, l’Italia è nella posizione ideale per approfittare delle opportunità africane. Quindi nel dare forma e mettere in moto i nostri distretti credo che l’Africa sia un obiettivo importante a cui puntare per il prodotto di questi distretti.
Il ruolo dell’università e degli incubatori
SI: Credo sia un punto di vista molto interessante anche sul piano politico, ma non è il posto giusto per parlarne: preferirei parlare di università, lei stesso è un docente in una università italiana, e le università e i ricercatori italiani hanno un’ottima tradizione di eccellenza. Produciamo ottima scienza, come diceva anche lei, ottimi talenti: può l’università costituire il ponte tra ricerca e azienda? Penso alla open innovation, ma anche al trasferimento tecnologico: per esempio alla Luiss avete un incubatore tecnologico, chiamato Luiss EnLabs e oggi diventato LVenture Group. Sono i luoghi dove possono essere create le startup e gli spinoff: possono essere il punto di partenza per la open innovation di cui stavamo parlando?
HC: Sì, vedo le università giocare un ruolo decisivo nel creare innovazione per una nazione e una regione: soprattutto per le ragioni che ha appena descritto. Abbiamo l’opportunità di scegliere giovani brillanti: non scegliamo chiunque, ma coloro i quali dimostrano la capacità di fare di più. Di nuovo, abbiamo a disposizione ottimi talenti: oggi le università, dove 30 anni fa la parola “imprenditoria” era quasi una parolaccia e non era neppure considerata materia di studio, come la Luiss ma anche Berkeley o Stanford in California abbracciano il concetto di imprenditoria come non facevano prima. Questo significa anche che quando incontriamo un gruppo di studenti con la loro startup, che poi magari vanno incontro al mondo
con la loro nuova azienda, ciò che conta davvero è che alcuni di loro
torneranno indietro: un anno, o magari tre anni dopo, per condividere la loro esperienza con i nuovi studenti. Credo che questo ciclo di esperienza maturata e riportata alla successiva generazione di startup sia un potentissimo ingrediente segreto per far prendere all’innovazione il sentiero giusto, per dare vita a ottime imprese, e allo stesso tempo per trasformare ottimi studenti in manager e imprenditori. Che non imparino soltanto dai loro insegnanti, o dalla esperienza diretta, ma anche dall’esperienza degli studenti che li hanno preceduti.
SI: Beh allora grazie mille, anche per averci svelato la sua “salsa segreta” per dare vita a nuovi imprenditori: le diamo appuntamento alla prossima occasione Professor Chesbrough, magari proprio in Sardegna, magari a Cagliari!
HC: Sarebbe fantastico! Grazie mille per avermi invitato e auguro a tutti una fantastica conferenza.